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lo spread scivola ai minimi


Giugno consegna all’Italia una fotografia in chiaroscuro: il debito tocca nuovi massimi, ma le casse dello Stato si gonfiano grazie a un gettito in crescita sostenuta e lo spread scende a livelli che non si vedevano da quindici anni, offrendo al governo qualche margine di manovra in vista della legge di bilancio.

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Il peso del nuovo record

Con i dati di giugno, la fotografia scattata da Bankitalia fissa il passivo complessivo delle amministrazioni pubbliche a 3.070,7 miliardi di euro, cioè altri 18 miliardi sopra la soglia già record di maggio. Si tratta di un livello che colloca l’Italia nella fascia più alta d’Europa in rapporto al prodotto interno lordo e che riaccende le preoccupazioni sui costi di servizio del debito, soprattutto in uno scenario di tassi ancora elevati e di esigenze crescenti sul fronte degli investimenti e delle spese correnti.

Secondo l’istituto di via Nazionale, l’avanzata di giugno è principalmente l’effetto del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, pari a 16,4 miliardi, a cui si è sommato l’irrobustimento delle disponibilità liquide del Tesoro per altri 0,8 miliardi. Vi contribuiscono, inoltre, le dinamiche tecniche degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso dei titoli, la rivalutazione dei bond indicizzati all’inflazione e, non ultimo, l’oscillazione dei cambi: da sola, la variazione euro-dollaro ha pesato per circa 800 milioni, segno di quanto le fluttuazioni valutarie possano incidere sui conti dello Stato anche in archi temporali molto brevi.

Spazi di manovra e vincoli di bilancio

Sul perimetro di queste cifre pesa lo sguardo prudente del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che fin dall’inizio dell’anno ripete in ogni sede istituzionale come il debito pubblico e i ridotti spazi di bilancio siano un dato incontrovertibile. Il responsabile di via XX Settembre ha chiarito che qualunque scelta, dalla politica industriale agli interventi sociali, deve misurarsi con quel vincolo, perché la sostenibilità resta condizione necessaria per mantenere la fiducia dei mercati e, di riflesso, scongiurare tensioni sui rendimenti dei titoli di Stato.

Al tempo stesso, l’avanzata del gettito offre a Palazzo Chigi un piccolo cuscinetto in vista della prossima legge di bilancio, attesa in Parlamento entro l’autunno. L’obiettivo dichiarato è reperire risorse per alleggerire il carico fiscale sul lavoro e sostenere famiglie e imprese senza compromettere gli equilibri. Il dossier, infatti, deve fare i conti con le richieste di aumento delle spese per la Difesa, con l’impatto dei due conflitti aperti alle porte dell’Europa e con la necessità di preservare gli investimenti finanziati dal PNRR, tutti capitoli che si contendono un margine di manovra sempre più sottile.

Entrate tributarie in accelerazione

Nei primi sei mesi dell’anno le entrate tributarie hanno raggiunto 257,3 miliardi, in crescita di 8,5 miliardi rispetto allo stesso arco del 2024, cioè un incremento del 3,4%. Il dato, elaborato da Bankitalia, conferma una tendenza già emersa nei mesi precedenti: la resilienza dei consumi e del mercato del lavoro continua a irrorare il gettito, compensando in parte l’erosione provocata dall’inflazione sul potere d’acquisto e alimentando le speranze di chi, nel governo, intravede nella curva dell’Irpef la leva per rilanciare la domanda interna.

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La performance di giugno ha rafforzato questo scenario: le somme contabilizzate nel bilancio dello Stato sono ammontate a 43,8 miliardi, il 4,2% in più, cioè 1,8 miliardi, rispetto a dodici mesi prima. Partendo da queste proiezioni annue – che stimano entrate aggiuntive nell’ordine di 17 miliardi – Maurizio Casasco, responsabile Economia di Forza Italia, propone di destinare un quarto di quella cifra, circa 4,2 miliardi, a ridurre l’aliquota del ceto medio dal 35 al 33% fino a 60.000 euro di reddito. Sulla stessa linea il senatore di Fratelli d’Italia, Giorgio Salvitti, che rivendica la ricetta “meno tasse, più entrate” come motore di crescita.

Lo spread scivola ai minimi dal 2010

Mentre il debito viaggia a nuovi massimi, il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi segnala un cambiamento di clima: nella seduta esaminata da via Nazionale lo spread è sceso in maniera stabile sotto i 77 punti base, con un minimo intraday a 76,4, livelli che non si registravano dal marzo 2010. In chiusura la distanza si è fissata a 77,6 punti, un risultato più volte evocato dagli esponenti dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni come barometro di solidità e di fiducia dei mercati nei confronti dei conti pubblici italiani.

Il restringimento non è però soltanto figlio delle politiche di Roma: pesa anche la debolezza congiunturale della Germania, che riduce l’appeal del Bund e contribuisce a comprimere il differenziale. In altre parole, una parte del beneficio deriva dalle difficoltà dell’altra sponda del confronto. Resta il fatto che un premio di rischio così basso alleggerisce le aste del Tesoro, offre ossigeno alla spesa per interessi e permette al governo di rivendicare credibilità proprio nel momento in cui si discute di aumentare la dotazione della Difesa e di finanziare nuove misure di sostegno a famiglie e imprese.

Debiti locali e ruolo di Bankitalia

Un segnale di buona gestione arriva dai territori. Nella ripartizione per sottosettori, Bankitalia evidenzia che, a giugno, il debito delle amministrazioni centrali è salito di 19,7 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali si è ridotto di 1,7 miliardi. Gli enti di previdenza, dal canto loro, hanno mantenuto sostanzialmente invariata la propria esposizione. La durata media residua dell’intero stock resta stabile a 7,9 anni, un parametro considerato compatibile con la strategia di rifinanziamento del Tesoro e con il profilo di rischio indicato dalla Commissione europea per i Paesi ad alto debito.

Si modifica, intanto, il profilo dei detentori: la quota nelle mani della Banca d’Italia si è ridotta al 19,6% dal 20% del mese precedente, confermando il lento disimpegno seguito alla fine del quantitative easing; nello stesso periodo, la partecipazione dei non residenti è salita al 33,2%, mentre quella attribuibile a famiglie e imprese non finanziarie – classificata tra gli altri residenti – è scesa al 14,1%. Il quadro disegna una platea di creditori sempre più internazionalizzata, fattore che impone ulteriore attenzione alla stabilità politica e alla reputazione sui mercati esteri.

Gestione virtuosa ed evidenze finali

Di fronte a questi numeri, Osvaldo Napoli, voce di Azione, sottolinea come i Comuni rappresentino un modello di gestione virtuosa, capace di contenere la spesa e di garantire al contempo servizi essenziali. L’esponente centrista invita a prendere esempio dall’esperienza dei municipi per introdurre meccanismi premianti nelle future revisioni della spesa, ricordando che la disciplina dei conti locali si traduce in margini più ampi per gli investimenti in infrastrutture, scuola, welfare di prossimità e digitalizzazione, anche in un contesto di risorse limitate per le autonomie territoriali.

Il quadro complessivo, insomma, è quello di un Paese che convive con un fardello imponente ma che riesce a mettere a segno segnali incoraggianti: maggior gettito, spread ai minimi, amministrazioni locali in controtendenza. Resta però ineludibile l’effetto combinato di fabbisogno, gestione della liquidità e variabili tecniche – dagli scarti di emissione alla indicizzazione, fino alle fluttuazioni valutarie – che a giugno hanno aggiunto altri 800 milioni al saldo debitorio. È su questi dettagli, apparentemente marginali, che si gioca la sostenibilità di lungo periodo.

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