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Milano ha bisogno di poteri veri per affrontare le sfide di una grande metropoli


Non mi sembra completo il dibattito estivo che si è sviluppato su Milano. Mi pare, salvo rarissime eccezioni, maggiormente concentrato alla ricerca di colpevoli e responsabilità piuttosto che su nuove soluzioni. Un dibattito riduttivo rispetto alla complessità di una fase in cui una città di ridotte dimensioni si è trovata su una nuova frontiera fatta di trasformazioni e cospicui investimenti di attori internazionali. Occorre con serietà concentrarsi su proposte utili al ripensamento che la città merita.

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La politica a Milano sta affrontando una fase di frustrazione. Una fase dovuta sia a fattori esterni — come l’aumento del costo dei fattori produttivi a fronte della stagnazione dei salari, l’eccesso di domanda abitativa rispetto all’offerta, gli effetti sociali e finanziari locali della pandemia — che a fattori interni, come una certa stanchezza della politica che si è via via “normalizzata”, rinunciando a ricercare specificità e originalità.

La città sembra essersi seduta sul refrain molto romano del “tanto Milano ce la fa da sola”, così caro a chi non è interessato ad aiutare Milano nel difficile compito di coniugare sviluppo e inclusione.

Negli ultimi due decenni, in effetti, Milano è riuscita ad attrarre capitale economico e umano – tramite investimenti, competenze, università eccellenti – che altrimenti sarebbero finiti all’estero, con un relativo depauperamento dell’intero sistema Paese. Solo nell’ultimo anno accademico 2024/2025 le Università milanesi hanno visto un aumento delle immatricolazioni del sette per cento.

A partire dal post Lehman Brothers, passando per la Brexit, fino a oggi si è gestita la più grande massa di investimenti internazionali che hanno riguardato sia l’edilizia si i settori produttivi, la logistica, la gestione dei dati e i settori ad alta specializzazione.

La provincia di Milano ha visto una crescita superiore all’economia lombarda e nazionale, con un particolare aumento degli investimenti nei settori di alta tecnologia e nei servizi alle imprese, come da ultimi dati pubblicati da Bankitalia. La città ha visto crescere la sua quota di crescita occupazionale regionale dal quarantacinque per cento al cinquantatré per cento, come indicato nell’ultimo Rapporto Territoriale di Città metropolitana. Tutto ciò è possibile grazie a un tessuto di sindacati e corpi intermedi vivi, capaci di intervenire nel dibattito politico e una vitalità del terzo settore che è unica rispetto a tutto il resto del Paese.

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Il bilancio non può che essere positivo seppur ovviamente pone nuove domande e la necessità di un ripensamento profondo della città sul tema abitativo, della lotta alle diseguaglianze e di una maggior centralità dell’azione pubblica. Sfide che credo possano essere una valida opportunità per risvegliare un sentimento che unisce le milanesi e i milanesi: la voglia di rinnovarsi e di rilanciare il progetto di una città che ha un ruolo cruciale per tutta l’Italia e, in particolare, il suo Nord produttivo.

L’appello a una maggiore azione pubblica e un rinnovato senso di comunità rischiano però di rimanere lettera morta se non si traducono in un piano di azione che, a mio avviso, metta al centro le risorse umane, l’organizzazione dell’azione pubblica e le risorse economiche per raggiungere gli obiettivi che si propongono.

Per ciò che riguarda le risorse umane occorre rilevare che quegli stessi giovani che Milano ha attratto e formato hanno concentrato le loro energie quasi esclusivamente nel mercato privato, trovandolo maggiormente attrattivo rispetto all’impegno per la cosa pubblica. È limitativo pensare che in una città come Milano la politica e il percorso di crescita nelle istituzioni pubbliche sia un circuito chiuso, rispetto alle forze che si potrebbero dispiegare diventando attrattivi per nuove competenze e capacità.

Attrarre capitale umano non basta: Milano deve chiedersi se ha davvero gli strumenti istituzionali per affrontare le sfide epocali che toccano tutte le grandi metropoli europee. Su questo si sconta una debolezza strutturale: la struttura istituzionale di governo del territorio è frammentata e non consente politiche integrate, sia per la debolezza con cui è nata Città metropolitana sia per la difficoltà con cui i nove municipi della città, nonostante il prezioso ruolo di rappresentanza territoriale e ascolto delle istanze locali che svolgono, possono intervenire nelle scelte dell’amministrazione civica.

Tutte le altre grandi città europee possono sviluppare politiche integrate, metropolitane, affrontando con la giusta scala istituzionale i bisogni avvertiti dai cittadini. La realtà ambrosiana è assai diversa, alle esigenze di mobilità e pendolarismo si fa fronte con il trasporto ferroviario gestito dalla Regione secondo logiche che spesso penalizzano la città e il trasporto pubblico, fuori dai confini comunali, gestito da diversi attori e sottofinanziato da interventi penalizzati i grandi nodi urbani.

Parimenti, l’accesso alle case popolari, e in generale le politiche per l’abitare dedicate ai lavoratori, sono normate dalla Regione, così come la cura degli anziani, delle persone con disabilità o la gestione dei medici di base, delle guardie mediche, delle case di comunità, dei consultori e dei presidi di cura, tutti servizi pubblici di grande importanza per assicurare salute e lotta alla solitudine ma con indirizzi e previsioni slegate dal potere metropolitano e cittadino. E così sulla sicurezza, come visibile anche in questi giorni, si gioca una partita elettorale più che una valutazione funzionale di ciò che servirebbe per aumentare la presenza dello Stato nei quartieri.  Sicurezza e cura nei quartieri dovrebbero invece andare di pari passo con il rafforzamento dei presidi pubblici di quartiere che siano il volto dell’amministrazione e dello Stato sul territorio e dove i cittadini, soprattutto ma non solo quelli con maggiore fragilità, possano trovare una risposta accogliente e pubblica di qualità.

La medesima frammentazione vale per le politiche del lavoro e del sostegno ai salari, su cui mancano funzioni per promuovere una programmazione della formazione coerente con i bisogni della produzione, sostenere la partecipazione dei sindacati alla vita dell’impresa e favorire la contrattazione secondaria per aumentare i salari dei lavoratori così colpiti dall’inflazione in questo territorio.

Questo elenco, pur non esaustivo, meriterebbe da subito una riflessione nazionale per un intervento normativo che assicuri a Milano metropolitana le giuste leve per affrontare le sfide della città. Temo però che dovremo attendere a lungo, mentre il Governo assegna poteri e risorse speciali a Roma Capitale quasi a ogni legislatura. Si stimano in diversi miliardi le risorse che strutturalmente la capitale ha ricevuto negli ultimi quindici anni in forza del suo ruolo, se solo Milano avesse avuto un quarto delle stesse i servizi per l’inclusione si sarebbero potuti fortemente rafforzare.

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Nel frattempo Milano può giocarsi con coraggio le sue carte, avviando da subito una collaborazione dal basso che coinvolga tutto il sistema delle partecipate locali e regionali, integrando i servizi e rilanciandoli. La nascita di un fenomeno aggregativo pubblico — favorito anche dalla creazione di una holding che indirizzi l’interesse pubblico dell’amministrazione in modo più cogente verso le singole partecipate — consentirebbe di ricucire le fratture tra Milano e i territori metropolitani e lombardi, riducendo lo “scalino” della rendita che blocca lo sviluppo del Nord, e garantirebbe alle amministrazioni ingenti risorse per gli investimenti, derivanti dalla bancabilità del prolungamento delle concessioni in alcuni settori pubblici.

Risorse economiche che sarebbero fondamentali per intervenire come risposta strutturale alle esigenze espresse e soprattutto disponibili per una azione di carattere pubblica sostitutiva delle ingenti risorse legate agli oneri di urbanizzazione che inevitabilmente mancheranno nei prossimi anni per effetto delle inchieste legate all’edilizia.

Capitale umano, nuova organizzazione dell’amministrazione e risorse economiche per una nuova azione pubblica di investimento e rilancio. Elementi certo essenziali ma privi di senso senza uno scatto di orgoglio e un ritrovato senso di comunità richiamato dalle recenti parole dell’Arcivescovo. Questo è possibile se la politica non si limita a dare giustamente voce ai bisogni, ma si pone l’obiettivo di rilanciare la passione per Milano, come avvenuto nel 2011 con le primarie vinte da Giuliano Pisapia e poi nelle primarie del 2016 vinte da Beppe Sala, in entrambe le occasioni, non a caso, con due momenti di alta partecipazione civica e politica e una classe dirigente che non si è nascosta nel proporre idee concrete per la città del futuro.



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