Un’indagine del Censis rileva che gli italiani, come da dettato costituzionale, ripudiano la guerra. Piuttosto l’appalterebbero a mercenari mentre sarebbero disposti a fare scorte di cibo
A parlare di guerra, gli italiani non tremano: alzano gli occhi al cielo e preparano scorte di tonno e fagioli in scatola. Secondo l’indagine Gli italiani in guerra: indagine sulla percezione dei conflitti e sul riarmo nella società italiana, realizzata dal Censis, il 31% dei cittadini ritiene probabile che l’Italia possa essere coinvolta in un conflitto armato nei prossimi cinque anni. Un dato che, in altri tempi, avrebbe acceso dibattiti istituzionali e risvegliato lo spirito civico. Oggi, invece, suscita più ironia che allarme.
MEGLIO DISERTORI CHE SOLDATI (PER IL 20% DEGLI INTERPELLATI)
Tra i giovani adulti, dai 18 ai 45 anni, la risposta è netta, solo il 16% si dichiara disposto a combattere, con una chiara differenza di genere: il 21% degli uomini contro il 12% delle donne. La maggioranza sceglierebbe altre strade. Il 39% si definisce pacifista e pronto a manifestare contro qualsiasi coinvolgimento militare; il 26% propone di appaltare le operazioni a soldati professionisti – i mercenari; mentre, un disarmante 19% ammette che, se chiamato alle armi, diserterebbe senza troppi rimorsi. Nel frattempo, il senso pratico prevale: il 78% degli italiani farebbe scorte alimentari in caso di bombardamenti.
ANCHE IN MEZZO A UN NAUFRAGIO SI DEVE MANGIARE
Il ritratto che registra il Censis è quindi quello di un’Italia che rifiuta la retorica bellicista, “optando per strategie di resistenza passiva”. Le scelte individuali per affrontare un eventuale conflitto confermano questa attitudine: l’81% cercherebbe un rifugio sicuro per proteggersi dai bombardamenti, il 78% farebbe scorta di provviste a lunga conservazione, il 66% (con un picco del 77% tra i giovani sotto i 35 anni) si doterebbe di un kit di sopravvivenza per resistere il più a lungo possibile, il 59% valuterebbe il trasferimento in aree lontane dai combattimenti, con una propensione più marcata tra i giovani (il 68%). Infine, il 27% prenderebbe in considerazione l’idea di armarsi per autodifesa (il 39% tra i più giovani).
LA RUSSIA È LA MINACCIA NUMERO UNO, MA CRESCE LA DIFFIDENZA VERSO GLI STATI UNITI
Chi rappresenta oggi il pericolo militare più concreto per l’Italia? Secondo i dati del Censis, la risposta per un italiano su due è chiara: la Russia. Il 50% la considera la principale minaccia, seguita dai Paesi islamici (31%), un dato che sale al 37% tra i laureati. Ma a sorprendere è soprattutto la crescente diffidenza verso gli Stati Uniti: il 23% degli intervistati – il 27% tra i più istruiti – vede nello storico alleato una possibile fonte di rischio. Seguono Israele (16%), la Cina (12%), la Corea del Nord (10%) e la Turchia (3%). Tuttavia, la sensazione di insicurezza non si traduce in un largo sostegno al riarmo. Solo il 26% degli italiani ritiene che investire nella difesa militare sia una risposta efficace per rafforzare la sicurezza del Paese, con un divario evidente tra uomini (32%) e donne (21%).
Questa cautela nei confronti del riarmo si inserisce in un contesto in cui la Nato continua a essere percepita come un punto di riferimento: il 49% degli italiani la considera un pilastro irrinunciabile, con un consenso più marcato tra i laureati (55%) e gli over 65 (57%), “che vedono nell’Alleanza atlantica una garanzia di stabilità”. Allo stesso tempo, emerge una chiara preferenza per soluzioni condivise a livello europeo: il 58% degli italiani si dichiara favorevole alla creazione di un sistema di difesa comune dell’Ue, con un esercito unico e un comando integrato tra i 27 Stati membri. Di contro, il 22% rifiuta qualsiasi forma di potenziamento militare, mentre solo l’11% sarebbe d’accordo a dotare l’Italia di un arsenale nucleare. Dati che evidenziano una propensione netta verso approcci diplomatici piuttosto che strategie improntate alla forza.
PRENDERE LE DISTANZE DALLA GUERRA
“Il Paese, lontano dal sognare imprese epiche, si prepara a resistere con astuzia, forte di un’eredità culturale che ha insegnato agli italiani a navigare nell’incertezza con intelligenza e strategie pratiche di sopravvivenza”. Insomma, i dati del Censis raccontano di una nazione che affronterebbe l’ipotesi di una guerra con lo stesso spirito con cui gestirebbe una crisi dei trasporti: rassegnazione e corsa ai beni di prima necessità.
Tale riluttanza può essere letta come semplice codardia o come frutto del rapporto problematico e complesso tra cittadini e Stato, segnatamente della sfiducia crescente verso i processi decisionali, ancor più quando questi sono su scala internazionale. L’idea di affidare il conflitto a dei professionisti della guerra o di opporvisi con la fuga o con manifestazioni pacifiche, rappresentano in fondo due facce della stessa medaglia: l’esigenza di prendere le distanze dalla guerra, non solo fisicamente ma anche moralmente.
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