Più avvocati che idraulici in Italia. Questa la sintesi dell’ultima indagine redatta dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre: negli ultimi 10 anni il numero degli artigiani presenti nel nostro Paese ha subìto un crollo verticale di quasi 400mila unità.
Se nel 2014 ne contavamo 1,77 milioni, l’anno scorso la platea è scesa a 1,37 milioni (-22 per cento): in due lustri quasi un artigiano su quattro ha gettato la spugna. Anche nell’ultimo anno la contrazione è stata importante: tra il 2024 e il 2023 il numero è sceso di 72mila unità (-5 per cento). La riduzione ha interessato tutte le regioni d’Italia, nessuna esclusa.
In provincia di Cremona il dato è pari alla media italiana: -5,1% corrispondente a 491 imprese artigiane sparite tra 2023 e 2024. Registrano crolli più significativi le province di Ancona (-9,4%), Ravenna e Ascoli Piceno (-7,9%), Rimini, Terni, Reggio Emilia, appena sotto il -7%. Se nel capoluogo umbro si sono perse 384 unità, in quello emiliano 1.464.
Le diminuzioni più contenute, invece, hanno interessato quasi esclusivamente le province del Mezzogiorno. Le meno colpite sono state Crotone e Ragusa ambedue con il -2,7 per cento. La realtà calabrese ha visto scendere lo stock di artigiani di 78 unità, quella siciliana di 164.
Non tutti i settori artigiani hanno subito la crisi. Quelli del benessere e dell’informatica presentano dati in controtendenza. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori.
Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Va altrettanto bene anche il comparto dell’alimentare, con risultati significativamente positivi per le gelaterie, le gastronomie e le pizzerie per asporto ubicate, in particolare, nelle città ad alta vocazione turistica.
“Il tratto del profondo cambiamento avvenuto – si legge nello studio della CGIA – è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese. I primi sono poco più di 233mila unità mentre si stima che i secondi siano “solo” 165mila. La mancanza di tante figure professionali di natura tecnica siano imputabili a tante criticità. Le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni e l’incapacità di migliorare/elevare la qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche. Ovvero, chi al termine delle scuole medie inferiori ha dimostrato buone capacità di apprendimento è “consigliato” dal corpo docente a iscriversi a un liceo. Chi, invece, fatica a stare sui libri viene “invitato” a intraprendere un percorso di natura tecnica o, meglio ancora, professionale; creando, di fatto, studenti di serie a, di serie b e, in molti casi, anche di serie c”.
“L’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana – continua lo studio – provocato in particolar modo anche da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata nei decenni scorsi dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni in particolare dal commercio elettronico, il peso della burocrazia, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani ad alzare bandiera bianca.
“Una parte della ‘responsabilità’, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi tempi hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on-line o preso dallo scaffale di un grande magazzino”.
I possibi rimedi: “Sarebbe opportuno introdurre per legge un ‘reddito di gestione delle botteghe commerciali e artigiane‘ per chi (giovane o meno) gestisce o apre una attività, compatibile con la residenzialità, nei centri minori (fino a 10.000 abitanti)” e aggiornare la formazione professionale e l’orientamento,
“A quarant’anni dall’entrata in vigore della legge quadro n° 443, il Parlamento ha avviato da alcuni mesi un percorso di riforma dell’artigianato destinata a superare i vincoli normativi che limitano l’attività di oltre 1,2 milioni di imprese artigiane presenti nel Paese. Tra le novità previste, vi è la possibilità, per quelle che operano nel settore alimentare, di vendere direttamente al pubblico i prodotti di propria produzione. Altro aspetto significativo riguarda la maggiore flessibilità nella costituzione dei consorzi, che potranno includere anche le Pmi non artigiane.
“Di rilievo è inoltre la proposta di istituire un fondo biennale da 100 milioni di euro per facilitare l’accesso al credito, con il supporto di Confidi e della nuova Artigiancassa. Infine, l’innalzamento del tetto occupazionale da 18 a 49 addetti consentirebbe all’Italia di allinearsi alle normative sull’artigianato presenti in gran parte dei 27 Paesi dell’UE”.
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