In un quadro economico completamente “tiraneggiato” dall’entrata in vigore dei dazi imposti a tutti i Paesi del mondo da parte dell’amministrazione Usa, c’è un altro dato che colpisce la nostra attenzione. E in prospettiva anche la nostra qualità di vita. Nel silenzio generale, una settimana fa, Confartigianato Imprese Padova ha dimostrato come l’accesso al credito da parte delle piccole imprese padovane e venete si sia trasformato negli anni in un percorso a ostacoli. «A marzo 2025 i prestiti alle piccole imprese padovane (snc, sas, ditte individuali con meno di venti addetti) sono diminuiti del 7,6 per cento rispetto a marzo 2024, una flessione più marcata rispetto alla media regionale (meno 7,2 per cento) e nazionale (meno 6,7 per cento) – si legge in una nota dell’associazione imprenditoriale – Ma è sul lungo periodo che emerge con maggiore evidenza la difficoltà di accesso al credito: rispetto a marzo 2013, il credito alle piccole imprese si è ridotto del 56,6 per cento, la contrazione più elevata tra tutte le province venete. Un calo che supera la media regionale (meno 51,6 per cento) e quella nazionale (43,4 per cento). Non va meglio per le micro imprese artigiane (imprese individuali o società con almeno sei addetti che svolgono attività artigiana): a Padova il credito è crollato del 10,2 per cento in un solo anno, e del 64,6 per cento negli ultimi dodici anni, anche in questo caso una contrazione superiore alle medie regionale (meno 63,5 per cento) e nazionale (meno 58,3 per cento)».
Queste percentuali a doppia cifra sono la conferma ulteriore che un certo modo di intendere il lavoro e l’impresa, in Veneto e non solo, appartengono oramai al passato. Lavorare senza accedere al credito è il sogno di tutti gli imprenditori, ma all’atto pratico è pressoché impossibile, specie in tempi di enorme incertezza sugli sviluppi macro economici. Se il nostro benessere si è fondato su migliaia e migliaia di piccole imprese, spesso unipersonali, sorte all’interno o a un passo dall’abitazione e rette sulla disponibilità a lavorare tanto e sempre dei nostri conterranei, tutto ci dice che oggi il vento è cambiato. Piccolo non è più bello; il lavoro “conto terzi” (o indotto), se non risponde a un portafoglio vario di clienti è assai rischioso. Le associazioni datoriali, ma anche confederazioni sindacali, devono perseguire modelli altri, capaci di aggregare, con l’obiettivo di sviluppare ricerca e innovazione, magari con il supporto dell’università. È noto, la nostra manifattura si distingue e ha futuro se anticipa i tempi e produce qualità.
A tutto questo si somma il cambiamento culturale nel quale siamo immersi. Ne abbiamo parlato molto in queste pagine, oggi il lavoro è una delle componenti esistenziali, non per forza una delle principali. Spesso, anzi, il lavoro deve adattarsi a esigenze altre – familiari, sanitarie, gestione del tempo libero – e non viceversa. Il famoso “le faremo sapere” non parte più solo dal datore di lavoro, ma anche dal candidato per un posto.
Applicare a tutto questo valutazioni di tipo etico o morale non ha molto senso. È più utile semmai prenderne atto e organizzare l’evoluzione, anziché subirla passivamente. Vale per le imprese, ma anche per le organizzazioni in cui vigono rapporti di lavoro. A livello territoriale servono alleanze, se non fusioni. A livello aziendale è necessario lavorare sulla comunicazione interna: gli obiettivi vanno condivisi, le responsabilità affiancate da formazione, il gruppo va coltivato con attività ludiche e costruttive. La missione è comune o può diventare impossibile.
Temi e considerazioni poco agostani, si dirà. Adesso è tempo di ferie, di stacco, di mare o montagna. Può darsi, a meno che anche questo non sia un fenomeno del passato…
A tutti voi, cari lettori de La Difesa, l’augurio di un tempo di riposo, per riparare a settembre con l’energia per programmare e realizzare nuovi progetti. Arrivederci al 31 agosto.
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