Fino a non molto tempo fa, il mantra diffuso a livello globale era semplice: l’America innova, l’Europa regolamenta e la Cina imita. Negli anni Duemila, Pechino era famosa per una zona della megalopoli dove era possibile acquistare copie di qualsiasi cosa, dalle ultime borse di lusso fino ai videogiochi e DVD più recenti.
Ma i tempi sono radicalmente cambiati. Con la comparsa di DeepSeek, all’inizio di quest’anno 2025 in Cina, un’azienda non statale con soli duecento dipendenti e sede nella città di Hangzhou, la capacità cinese di sviluppare intelligenza artificiale ha acquisito un’influenza globale. Quasi improvvisamente un trilione di dollari del valore quotato in borsa delle aziende statunitensi operanti in questo settore si è volatilizzato, mentre la versione cinese, più economica e moderna, sembrava “cadere dal cielo”. Persino il presidente cinese Xi Jinping ne ha preso atto, ospitando il fondatore dell’azienda, Liang Wenfeng, a un incontro del settore delle imprese non statali che ha avuto luogo nel febbraio 2025.
Che la Cina potesse un giorno diventare un’azienda innovativa non sembra essere mai stato preso in considerazione seriamente, almeno in Occidente . Ma la Cina – va ricordato- è la terra di Sun Tzu che scrisse al capitolo 3 de “L’Arte della Guerra” :« 知彼知己,百战不殆 > Zhī bǐ zhījǐ, bǎizhànbùdài» ( Conosci il tuo nemico e conosci te stesso, e cento battaglie saranno vinte). Negli anni Duemila , si cominciò ad elogiare la capacità delle scuole di Shanghai di formare studenti dotati di elevate abilità nel campo matematico e altamente qualificati, capaci di raggiungere i vertici delle classifiche mondiali. Ma a partire da quei tempi ormai lontani un’ondata sempre crescente di studenti cinesi, molti dei quali specializzati in ingegneria e materie STEM – Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica (Science, Technology, Engineering and Mathematics in inglese), è stata prodotta nelle università cinesi. Purtroppo tra i politici occidentali continuava ad esserci un “bias”, una distorsione pregiudiziale di pessimismo e cioè che, per essere davvero creativa e innovativa, nonostante tutti i discorsi, la Cina avrebbe avuto bisogno di un ambiente più aperto e liberale, affinché le idee avessero lo spazio per essere esplorate, contestate e condivise.
Non è stata prestata, però, molta attenzione a una delle tendenze molto chiare che stavano emergendo: da un’epoca in cui meno dell’1% della popolazione frequentava un’università, – fino agli anni ’90 c’erano solo 122 università di livello nazionale- la Repubblica Popolare ha vissuto una rivoluzione educativa, a partire sempre dagli anni Duemila, e ora ci sono 3.000 università, con una percentuale di iscritti tra i 18 e i 25 anni, pari al 60% della popolazione studentesca . Il bilancio governativo per l’istruzione è raddoppiato a partire dal 2012 e università cinesi come l’Università di Pechino e la Tsinghua hanno scalato inesorabilmente le classifiche mondiali, mentre molte controparti occidentali, purtroppo, hanno marciato nella direzione opposta. I 5 milioni di laureati in materie STEM della Cina di oggi sono la sua risorsa più grande e la chiave del suo piano per un modello economico sviluppato e ad alta tecnologia. E questo fattore difficilmente potrà essere ignorato dal resto del mondo.
CarloMarino
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