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Nelle Marche la sanità è vicina al collasso, ma Meloni parla d’altro


Il 6 agosto, Giorgia Meloni è atterrata ad Ascoli Piceno per annunciare l’ingresso delle Marche nella Zona Economica Speciale unica. Al suo fianco, il presidente della Regione Francesco Acquaroli ha definito l’estensione della Zes «un’opportunità storica». Ma mentre si moltiplicano le promesse di crediti d’imposta e investimenti futuri, la realtà della sanità pubblica – finanziata dal Pnrr – è già scritta, ed è una cronaca del disastro.

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Su 431,2 milioni di euro assegnati alla sanità marchigiana, a metà 2025 ne risultano spesi solo 91,7: il 21,3 per cento. Il resto è fermo, tra progetti mai partiti, cantieri bloccati, opere non collaudate. E la scadenza europea del giugno 2026 si avvicina. Il rischio concreto, come denuncia la Cgil Marche, è duplice: perdere i fondi o vederli dirottati verso altre priorità, magari proprio verso la voce imprese o, peggio, spesa militare.

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Le province

La provincia di Ancona è il paradigma dell’emergenza: 20,2 milioni assegnati alle Case della Comunità, ma appena 577mila euro spesi, cioè il 2,9 per cento. Sei strutture su otto non sono nemmeno in fase esecutiva: tra queste l’ex Crass, l’ex Umberto I, Loreto, Filottrano, Corinaldo. Per gli Ospedali di Comunità, stesso copione: spesi 368mila euro su 6,7 milioni. Percentuale: 5,5 per cento

Ad Ascoli Piceno, dove Meloni ha parlato di «volano per lo sviluppo», i numeri raccontano l’opposto. Per la Casa della Comunità di San Benedetto del Tronto sono stati stanziati 6,2 milioni, ma spesi appena 105mila euro: 1,7 per cento. Anche gli ospedali di Ascoli e San Benedetto sono fermi. Dei 5,4 milioni assegnati, risultano utilizzati 534mila euro, ovvero il 9,9 per cento.

A Pesaro-Urbino, per le Case della Comunità il bilancio è di 4,5 milioni assegnati e 550mila spesi: 12,2 per cento. La struttura di Galantara è ancora in attesa dell’avvio dei lavori, quella di Fossombrone in fase di chiusura lavori. Peggio va per gli Ospedali di Comunità: spesi 1,42 milioni su 12,4 (11,5 per cento).

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A Macerata, per gli Ospedali di Comunità la spesa è ferma a 466mila euro su 3,7 milioni: 12,6 per cento. Zero strutture collaudate. A Fano e Senigallia, su 17,9 milioni per l’ammodernamento ospedaliero sono stati spesi appena 482mila euro: 2,7 per cento. Anche qui progettazioni non concluse, cantieri mai aperti.

In parallelo, il governo celebra l’estensione della Zes alle Marche, promettendo sgravi a chi investe almeno 200.000 euro in beni strumentali. Una misura che favorisce le medie e grandi imprese, ma rischia di escludere proprio le piccole realtà produttive che costituiscono l’ossatura economica regionale. Non solo: la Zes è incompatibile con gli incentivi di Transizione 5.0. E mentre si promettono nuove filiere e occupazione, le Case della Comunità restano vuote e inutilizzabili.

Regionaliapuntate

La campagna CGIL

L’impressione è che la Zes serva da distrazione. L’annuncio ad Ascoli arriva dopo mesi di campagna della Cgil che ha denunciato ritardi e immobilismo sul Pnrr sanitario. È il classico gioco delle tre carte: si oscura il fallimento dei servizi pubblici con una narrazione di sviluppo trainato dal mercato. Peccato che intanto il diritto alla salute si sgretola.

La giunta Acquaroli rivendica con orgoglio l’acquisto di 45 grandi apparecchiature sanitarie (Tac, risonanze, mammografi), sostenendo che ciò migliorerà le diagnosi. Ma i macchinari, da soli, non curano. Servono strutture, personale, continuità assistenziale. E la filosofia stessa della Missione Salute – rafforzare la prossimità e uscire dall’ospedalocentrismo – viene così svuotata. È un Pnrr senza muri, senza infermieri, senza porte aperte.

Servirebbero almeno 400 nuovi infermieri per rendere operative le strutture previste. Ma il personale non è finanziato dal Pnrr. Senza assunzioni stabili, il rischio è costruire scatole vuote: edifici nuovi ma inutilizzabili. E nel frattempo, aumenta la mobilità passiva verso altre regioni. Perché chi può, si cura altrove.

Il governo e la Regione parlano di rimodulazione. Che tradotto significa: spostare i fondi non spesi. La Cgil l’ha detto chiaramente: «Sarebbe inaccettabile usare risorse della sanità per altri scopi». Eppure l’ipotesi circola. Anche perché un recupero in extremis appare irrealistico. I numeri parlano da soli, e non sono opinioni.

Il Movimento 5 Stelle ha denunciato l’inerzia della giunta, accusandola di aver «lasciato la sanità ostaggio della propria incapacità». Il Pd chiede un piano di emergenza. La giunta risponde parlando del bilancio in ordine e di Tac installate. È un dialogo tra sordi, che fotografa il fallimento non solo amministrativo, ma politico.

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Il modello che si sta imponendo è chiaro: lo Stato non realizza più, ma agevola chi può. Lo sviluppo passa per incentivi, non per diritti. La Zes è il fiore all’occhiello, il Pnrr sanitario l’imbarazzo da nascondere. Ma è lì che si misura la qualità della politica: non nei bandi per chi investe, ma nelle corsie per chi non può pagare.

Le Marche, oggi, sono il laboratorio di questa regressione. A meno di un anno dalle elezioni regionali, la fotografia è nitida: promesse in vetrina, sanità in rovina.

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