NAPOLI (Di Anna Calì) – Un colpo di forbice da 11 miliardi di euro e il Mezzogiorno si ritrova ancora una volta spettatore, non protagonista, dei grandi progetti infrastrutturali del Paese. La revisione del PNRR decisa dal governo ha ridimensionato drasticamente la tratta ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria, che da opera strategica per la coesione nazionale diventa un cantiere ridotto: dai 1,8 miliardi di fondi iniziali ne restano soltanto 720 milioni, sufficienti appena a completare 14,7 chilometri entro il 2026. Tutto il resto è stato archiviato o rinviato a data da destinarsi, ufficialmente per limitate capacità realizzative.
La decisione pesa come un macigno su un territorio che da decenni attende infrastrutture moderne in grado di colmare un divario con il resto d’Italia ormai divenuto cronico. L’alta velocità verso la Calabria non era solo un’opera ferroviaria: rappresentava un asse fondamentale per collegare più velocemente il Sud al Nord, per connettere la Sicilia alla rete continentale, per rafforzare il ruolo del porto di Gioia Tauro, nodo strategico del traffico merci nel Mediterraneo. Una visione che oggi si riduce a pochi chilometri finanziati e a un futuro incerto.
I tagli complessivi al PNRR e al PNC penalizzano il Sud per 11 miliardi di euro. Si tratta di risorse che avrebbero potuto sostenere opere già progettate e altre in fase di programmazione, cancellando di fatto la prospettiva di un rilancio infrastrutturale organico del Mezzogiorno. E se il Nord continua a vedere avanzare i cantieri delle grandi direttrici, dal Terzo Valico al Brennero, il Sud resta ancora una volta indietro, relegato a una condizione di marginalità.
Le critiche non sono mancate. La CGIL ha denunciato l’assenza di rappresentanti regionali ai tavoli ministeriali, sottolineando come la scelta di tagliare sull’alta velocità meridionale equivalga a rinunciare a qualsiasi ipotesi di riequilibrio territoriale. Ferrovie dello Stato, nei suoi documenti programmatici, aveva inserito la Salerno-Reggio Calabria tra le tratte strategiche, sottolineandone il valore non solo per i passeggeri ma anche per il traffico merci. Senza investimenti adeguati, quell’orizzonte rischia di svanire.
Ma al di là dei numeri e delle scelte di bilancio, la vicenda pone una questione più ampia e antica: perché il Sud viene sistematicamente escluso dai grandi progetti di sviluppo? La storia recente è costellata di opere incompiute, ritardi cronici e promesse mai mantenute. Dalla pianificazione industriale del dopoguerra ai corridoi infrastrutturali europei, passando per i fondi strutturali, la traiettoria si ripete: quando le risorse scarseggiano o i tempi stringono, è il Sud a pagare per primo.
Il governo parla di realismo e di necessità di concentrare i fondi su progetti effettivamente completabili entro il 2026, termine imposto dall’Unione europea per il PNRR.
Una motivazione che però apre altre domande: perché non si è pianificato per tempo? Perché non si è costruita una capacità realizzativa adeguata, e soprattutto, perché i ritardi cronici diventano sempre l’alibi per tagliare al Mezzogiorno, mentre altrove i cantieri avanzano?
Il rischio è quello di cristallizzare un’Italia a due velocità, in cui la modernità si ferma a Salerno e da lì in giù il Paese resta ancorato a una rete ferroviaria obsoleta, lenta e insufficiente. Una frattura che non è solo infrastrutturale, ma sociale ed economica: senza collegamenti rapidi e affidabili, il Sud resta fuori dalle grandi rotte commerciali, i giovani continuano a emigrare e le imprese non trovano condizioni competitive.
La vicenda dell’alta velocità Salerno-Reggio Calabria diventa così un simbolo. Non solo di un’opera tagliata, ma di una scelta politica: rinunciare a investire sul Mezzogiorno significa rinunciare a metà del Paese.
La domanda, oggi, è se l’Italia possa davvero permettersi un futuro che continua a escludere il Sud?
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