di Leonardo Botta
Vi piace il Bosco Verticale, il controverso e chiacchierato complesso di due grattacieli realizzato nel quartiere milanese Isola su progetto di Stefano Boeri & partners? A me sì. E non ho molto altro da aggiungere a corollario: sorvolando su valutazioni ambientali o microclimatiche, il B.V. mi piace perché secondo me è “bello”, con quella variegata coltre di piante ed essenze arboree (oltre ventimila) incastonate tra facciate e terrazzi.
Casomai avrei dubbi sulla tenuta, nel lungo termine, di questa boscaglia urbana che si arrampica fino agli oltre 100 metri del rooftop della torre più alta. Ma, poiché ogni progetto prevede il Piano di Manutenzione (Codice degli Appalti, D.Lgs. 36/2023), immagino che i progettisti abbiano previsto tutti gli interventi manutentiva atti a conservare, nel tempo, l’opera nelle sue funzionalità tecniche e di comfort. E sì: come tanti altri turisti mi sono tempo fa recato sul posto e ho ammirato e fotografato il B.V. (peccato esserci andato solo d’inverno, con il fogliame degli alberi imbrunito e spogliato dalla stagione fredda; ma anche la mutevole colorazione del “verde” ha un suo perché).
Naturalmente do per scontato che ad altre persone queste torri verdi da 80 e 110 metri possano non piacere, per svariati motivi che ritengo legittimi a prescindere, a patto di non scadere in saccenti critiche che pretendano di essere cassazione: l’architettura non è la matematica, e al netto di oggettivi parametri tecnici, legislativi, ergonomici, ciò che gusta a me può far rivoltare lo stomaco a te e viceversa. E di critiche ne ho lette diverse: questi manufatti sono sostenibili? È stata realizzata un’accurata analisi costi-benefici? Ha senso ricorrere in maniera così massiccia all’edilizia verticale? Qualcuno, spingendosi fino all’ironia dispregiativa, ha parlato addirittura di “scatole con l’edera rampicante”!
E non mancano le contestazioni anche ai premi internazionali ricevuti dal B.V.: “grattacielo più bello del mondo”, scelto tra ottocento edifici di tutti i continenti, International Highrise Award; “grattacielo più bello e innovativo del mondo”, Council on Tall Buildings and Urban Habitat, e “grattacielo tra i più iconici costruiti negli ultimi cinquant’anni”; “esempio di sviluppo urbano virtuoso ed esportabile”, COP21 (mi rimetto al giudizio di persone più competenti circa l’autorevolezza degli enti che hanno conferito tali riconoscimenti).
Allora io, per apportare un modesto contributo al ragionamento, provo a elaborare un parallelo con un’altra opera famosa, The Shard (la “Scheggia”) di Renzo Piano, grattacielo anch’esso da me visitato in una vacanza a Londra. Innanzitutto qualche dato metrico: The Shard si staglia nel plumbeo cielo londinese per quasi 310 metri. E, dico subito anche questo, secondo me è bellissimo, con quell’affusolata struttura piramidale di calcestruzzo, acciaio e (soprattutto) vetro specchiato che domina la capitale britannica. Bene, a meno di non essermi distratto, non ricordo di aver letto sul capolavoro (giudizio personale) di Renzo Piano particolari critiche.
Eppure la Scheggia ha modificato pesantemente lo skyline della città; inoltre si insedia in un’area completamente impermeabilizzata, priva anche di un solo filo d’erba (il grattacielo presenta solo un tetto giardino, lo Sky Garden, agli ultimi piani), mentre il Bosco Verticale insiste su un parco di 12 ettari, che comprende la BAM (Biblioteca degli Alberi Milano); infine, la Scheggia è stata posizionata ad appena 200 metri dal fiume Tamigi: in Italia la fascia di rispetto dai corsi d’acqua, entro la quale si impone il nulla osta paesaggistico (D.Lgs. 42/2004) è di 150 m, ma dubito che le nostre Soprintendenze non avrebbero sollevato obiezioni relativamente a un progetto del genere (quanto meno in ordine all’esigenza di un’accurata Relazione o Valutazione d’Impatto Ambientale).
Quindi, per farla breve, c’è qualcuno disposto a convincermi che The Shard sia un’opera meravigliosa e il Bosco Verticale una boiata pazzesca?
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