Le lobby europee e quelle dell’universo Make America Great Again – Maga hanno sistematicamente boicottato la direttiva europea sulla due diligence (Csddd). Lo confermano due diversi studi, secondo i quali da un lato le imprese europee e le loro associazioni di categoria, dall’altro l’ecosistema ideologico legato al presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbero agito parallelamente per minare alla base l’efficacia delle norme di sostenibilità.
Le lobby che lavorano da anni per sabotare la direttiva sulla due diligence
L’inchiesta parla di 88 aziende e gruppi industriali europei che avrebbero lavorato per indebolire la direttiva sulla due diligence nei quattro anni precedenti alla sua approvazione. Tra queste ci sono 10 aziende energetiche. L’attività intensa delle lobby ha dato i suoi frutti. La proposta originaria, infatti, imponeva la due diligence alle imprese con più di 500 dipendenti e 150 milioni di euro di fatturato. Il testo approvato prevede, tuttavia, soglie più alte: mille dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato. Il numero di aziende coinvolte si riduce così dell’80%.
L’intervento di indebolimento delle norme ambientali arriva dopo anni di lavoro, sia delle istituzioni comunitarie sia delle imprese stesse, che stavano adeguandosi ai nuovi standard. Kenneth Haar, ricercatore del Osservatorio europeo sulle imprese, ha dichiarato: «Migliaia di aziende possono aver compiuto passi significativi per implementare nuove regole sulle catene del valore, e ora si sentono dire che altre aziende e gruppi di pressione aziendali sono riusciti a minare l’intera idea. Questo è distruttivo. Stanno premiando i ritardatari, il che è di cattivo auspicio per l’Unione europea».
Il nodo della vigilanza sui diritti umani nella filiera
Le attività di lobbying dei gruppi di imprese si sarebbero concentrate nei momenti politici chiave. Ad esempio a ridosso dell’annuncio, da parte del governo tedesco, che non avrebbe sostenuto il pacchetto votato in Consiglio a febbraio 2024. In realtà in alcuni casi le singole aziende si sono mostrate molto più ben disposte verso la direttiva rispetto alle associazioni di categoria. Come nel caso della società energetica danese Ørsted che a febbraio 2024 ha firmato una lettera a sostegno della tutela dei diritti umani nella direttiva, pur essendo un membro della Confindustria danese, contraria alla due diligence obbligatoria.
Tra gli ambiti di intervento della Csddd contestati più duramente c’è la tutela dei diritti umani. Il testo originale della direttiva, ricordiamo, prevede l’obbligo di garantire che nelle attività di impresa e lungo le catene di approvvigionamento siano garantiti i diritti di tutti gli attori coinvolti. In particolare nei settori ad alto rischio, come quello dell’abbigliamento. Proprio dalla moda, però, sono arrivate le rimostranze più forti, con la richiesta di rendere volontaria la rendicontazione.
Dagli Stati Uniti di Donald Trump un ulteriore attacco alla Csddd
Gli Stati Uniti di Donald Trump sono impegnati, a loro volta, a svuotare la nozione di sostenibilità. Basti guardare cosa è accaduto a novembre scorso 11 Stati repubblicani hanno citato in giudizio tre tra i più grandi fondi patrimoniali al mondo – BlackRock, Vanguard e State Street – per le loro politiche Esg (ambientali, sociali e di governance). O in West Virginia e Oklahoma, dove più di venti banche si sono viste escludere dai contratti pubblici perché stavano disinvestendo dalle fossili. Le conseguenze sono facilmente intuibili: le imprese statunitensi sono sempre più restie a prendere posizione pubblicamente su temi ambientali e sociali.
Ma gli sforzi per boicottare qualsiasi meccanismo di responsabilità e sostenibilità di impresa arrivano fino all’Unione europea. Il think thank Maga Heartland Institute, noto per le sue posizioni negazioniste sul clima, lo scorso marzo ha twittato: «La Csddd è la più grande minaccia alla sovranità dell’America dalla caduta dell’Unione sovietica». Toni non proprio concilianti, che si inseriscono in un più vasto attacco ordito dai sostenitori di Trump.
Le lobby Maga scatenate contro la due diligence
La campagna, condotta dai gruppi dell’ecosistema Maga (Make America Great Again), è molto aggressiva ed è partita all’indomani della seconda elezione di Trump. Dopo l’attacco alle iniziative di diversity, equity & inclusion e ai programmi Esg, lo scorso dicembre la Heritage Foundation – che ha scritto il manifesto ultraconservatore Project 2025 – ha pubblicato un rapporto intitolato Esg, Dei, and what to do about them. Il testo menziona anche la Csddd, definendola come «un problema serio». Nella stessa direzione la lettera aperta della State Financial Officers Foundation che, a febbraio scorso, ha chiesto al neo presidente di indagare sulla direttiva. Sostenendo che, come molte altre, sia basata su «ipotesi non scientifiche sulla natura degli impatti dei cambiamenti climatici».
Già il 12 febbraio il segretario al Commercio Howard Lutnick ha dichiarato in una commissione del Senato che la Csddd poteva imporre «oneri significativi» per le imprese statunitensi. E che quindi la presidenza stava esplorando «strumenti commerciali» per il contrattacco. Il 24 febbraio una lettera aperta firmata dall’Heartland Institute e altre 31 sigle chiedeva a Trump di intervenire per «punire le nazioni dell’Unione europea per aver eroso la sovranità, le libertà e la prosperità dell’America». A inizio aprile è arrivato l’annuncio dei dazi da parte di Trump, poi più volte rivisto e smentito.
La Commissione europea vuole indebolire le normative sulla sostenibilità
La Commissione europea, nel frattempo, attraverso il pacchetto Omnibus – reso noto il 26 febbraio – prova a ridimensionare la Csddd. Alleggerendo di molto la quantità e la qualità delle informazioni richieste e la rete di fornitori da monitorare. Le proposte sono ancora in discussione. È invece ufficiale lo stop the clock, cioè il rinvio di un anno (da luglio 2027 a luglio 2028) dell’applicazione per le aziende con più di 3mila dipendenti e 900 milioni di euro di fatturato.
A maggio il presidente francese Emmanuel Macron e il suo omologo tedesco Friedrich Merz sono andati persino oltre. Chiedendo di eliminare la Csddd, a tutela della competitività europea. Mentre la Germania di Merz cancella la legge nazionale (già in vigore) che impone di vigilare sulla filiera anticipando gli obblighi europei, Macron invita apertamente l’Europa a «sincronizzarsi con gli Stati Uniti e il resto del mondo».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link