La Legge di Bilancio 2026 in preparazione dopo la pausa estiva vede a rischio alcuni interventi chiave, dal promesso taglio dell’Irpef per il ceto medio al nuovo intervento sulle pensioni, a causa della mancanza di fondi.
Il governo Meloni, impegnato a rassicurare i mercati mantenendo i conti pubblici in ordine, punta a riportare il deficit sotto il 3% del Pil entro il 2026. Nonostante l’aria di maggiore fiducia sui mercati, segnalata da uno spread tra titoli italiani e francesi sceso sotto i 10 punti base, il livello più basso dal 2005, la ricerca di risorse per la prossima Manovra autunnale rimane aperta.
Taglio Irpef a rischio: perché mancano le coperture nella Manovra 2026
Settembre si avvicina, le lancette scandiscono queste ultime giornate di agosto non troppo lentamente, e già si pensa alla prossima Manovra. Per quanto riguarda il taglio Irpef, l’esecutivo punta a un alleggerimento per il ceto medio, ma ogni scelta in questa direzione comporta costi importanti e la necessità di trovare risorse certe.
L’ipotesi è alleggerire l’aliquota applicata al secondo scaglione (redditi tra 28 e 50 mila euro), oggi al 35%, intervenendo sul prelievo del ceto medio e consolidando l’assetto a tre scaglioni introdotto nel 2024. Si valuta di portarla al 33%.
Un intervento di questo tipo produrrebbe un beneficio medio fino a circa 440 euro l’anno per contribuente nella fascia interessata, ma implicherebbe minori entrate nell’ordine di 4 miliardi: sostenibili solo con coperture certe, per non compromettere gli equilibri di finanza pubblica ribaditi dal ministro Giancarlo Giorgetti.
La questione della Rottamazione quinquies
Sul tavolo c’è anche l’idea, sostenuta dalla Lega, di una nuova “rottamazione” delle cartelle (la Rottamazione quinquies) per ridurre i contenziosi e recuperare risorse. La sostanza però non cambia: ogni riduzione d’imposta o sanatoria richiede coperture e deve convivere con vincoli di bilancio sempre più rigidi.
Riforma pensioni in bilico: l’età pensionabile potrebbe salire
Il tema delle pensioni rimane uno dei più delicati. Secondo la normativa vigente, dal 2027 scatterebbe un aumento automatico di tre mesi sull’età di uscita, che passerebbe da 67 a 67,3 anni per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita.
Il governo vorrebbe evitarlo, o come si dice in gergo “sterilizzarlo”, ma per farlo servono fondi: il costo stimato è di almeno 300 milioni di euro l’anno. La Lega insiste perché questa misura entri in Manovra e, attraverso il sottosegretario Durigon, assicura che le risorse saranno trovate. Intanto ha messo sul tavolo uno stanziamento iniziale di 200 milioni.
Oltre a questo, il partito spinge per consentire l’uscita a 64 anni utilizzando la previdenza integrativa e per riaprire il capitolo “Opzione donna”.
Senza coperture certe, però, questi progetti restano solo annunci politici che vanno dritti alla pancia di un elettorato sempre più stanco e povero. Quanto a Quota 41, la formula che permetterebbe il ritiro dopo 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, viene ormai considerata insostenibile per i conti pubblici e non è più in discussione.
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