Lo aveva sottolineato anche il Governatore della Banca d’Italia nella sua ultima Relazione Annuale :” La questione meridionale è al centro del dibattito economico sin dai decenni successivi all’Unità d’Italia”. La questione meridionale è sempre stato un tema caldissimo per tutti i governi dal dopoguerra ad oggi. Dopo l’euforia degli anni 60 /70, il divario tra nord e sud iniziò ad allargarsi.
L’ incapacità della politica ad operare quella riconversione dalla grande industria pesante a quella dei servizi ha portato a quella dannosa politica dell’assistenzialismo su cui il sud Italia per troppo tempo, si è comodamente adagiato. “La convergenza ha registrato forti progressi negli anni cinquanta e sessanta, quando gli interventi hanno privilegiato la costruzione di infrastrutture e di grandi impianti industriali a partecipazione pubblica. In quella fase il PIL pro capite del Mezzogiorno in rapporto a quello del Centro Nord è aumentato dal 50 per cento alla fine degli anni cinquanta al 60 nei primi anni settanta” si legge sempre nella relazione di Panetta della Banca d ‘Italia.
Da allora la convergenza si è interrotta, risentendo della crisi dell’industria pesante. Sempre dalla relazione del governatore della Banca d ‘Italia si legge ancora “tra l’inizio degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, il tasso di crescita del prodotto interno lordo per abitante nel Mezzogiorno d’Italia ha superato il corrispondente tasso di crescita nazionale in circa un anno su tre. Lo stesso fenomeno si è, pressoché negli stessi termini, verificato fra la metà degli anni Novanta ed i primi anni della decade in corso”.
Arrivando ai giorni nostri, occorre segnalare come negli ultimi 2 anni la forbice tra sud e nord abbia ripreso a restringersi, grazie ad un risveglio robusto dell’economia meridionale, come non si vedeva da oltre un ventennio almeno. Un risveglio frutto di politiche economiche pragmatiche da parte di un governo, che aveva nel suo programma tra i suoi punti salienti proprio quello del rilancio del sud Italia. Un impegno quello del governo Meloni, che ha visto un proficuo connubio tra gli investimenti del Pnnr (che hanno anche agevolato la messa in atto di alcune riforme attese da decenni) e incentivi fiscali e facilitazione delle pratiche burocratiche, grazie all’allargamento della Zes unica a tutto il meridione, vero motore della crescita e che ora il governo vorrebbe allargare anche a Marche ed Umbria.
Nel 2023 il PIL del Sud Italia è cresciuto dell’1,5%, superando le altre macroaree del Paese: Nord Ovest (+0,7%), Nord Est (+0,4%) e Centro (+0,3%). A testimoniare questa dinamica positiva è anche l’edizione 2025 del Mediterranean Sustainable Development Index (MSDI), elaborato da TEHA per misurare attrattività e competitività del Mezzogiorno nel contesto euro-mediterraneo, che conferma per il secondo anno di fila come il Sud Italia si confermi la terza regione più attrattiva del Mediterraneo tra i 20 Paesi considerati nell’analisi socioeconomica. In particolare, il Sud si posiziona al quinto posto nella dimensione economica, al secondo nelle dotazioni territoriali (+1 rispetto allo scorso anno), al quinto per innovazione e cultura (in calo di una posizione), e all’ottavo nel dominio sociale.
Nel 2024 il Pil è cresciuto invece del 1% contro lo 0,6 del resto d’Italia. Il Pil è cresciuto complessivamente dell’8,6 per cento tra il 2022-2024 al Sud, contro il 5,6 per cento del Centro-Nord, con uno scarto cumulato di 3 punti percentuali. Nel manifatturiero, il Sud registra dal 2021 un aumento delle imprese maggiore rispetto alle altre macroregioni (+0,2%) e un incremento del 15,9% di Valore Aggiunto: una performance migliore del Centro (+10%) e del Nord (+5,4%). Il Sud Italia ospita oggi il 25,3% delle imprese manifatturiere italiane. I nuovi poli industriali del mezzogiorno non poggiano più sulla grande industria siderurgica o meccanica a partecipazione statale, ma sul piccolo e medio manifatturiero che dimostrano una vitalità imprenditoriale del sud che aspettava solo che la politica agisse, per poter esprimersi appieno. Insomma, la crescita italiana sembra da qualche anno aver cambiato direzione e volgere finalmente il suo sguardo verso sud, da decenni considerato una sorta di zavorra per il paese. Ora è diventato invece il motore della crescita. E secondo osservatori ed esperti tutto ciò grazie a due fattori principali: un diverso approccio del governo Meloni sulla questione meridionale, non più improntato come nel passato all’assistenzialismo, ma alle politiche attive di rilancio, e in secondo luogo a due misure fondamentali, come il PNRR e la Zes unica speciale.
Il Libro Bianco del forum Ambrosetti presentato all’evento Verso Sud, a maggio di quest’anno, identifica la ZES Unica come una opportunità strategica per rilanciare il Sud Italia, attrarre investimenti e valorizzare il territorio come motore di sviluppo per l’intero Paese, con una rilevante accelerazione negli ultimi 10 mesi. Delle 620 Autorizzazioni Uniche (AU) rilasciate dall’entrata in vigore della ZES Unica, 522 sono state rilasciate tra il 6 agosto e il 6 maggio (valore pari al 84,2% del totale). Il 47,4% delle AU rilasciate nel quadro normativo della ZES Unica ha come oggetto investimenti in Campania, seguita dalla Puglia (22,1%) e dalla Sicilia (14,7%). Complessivamente, nella cornice amministrativa della ZES Unica sono stati attivati 8,5 miliardi di euro di investimenti i quali potranno determinare un impatto economico superiore a 22 miliardi di euro. Per ogni euro investito nella ZES Unica del Mezzogiorno se ne sono attivati 1,6 addizionali nell’economia. Numeri che fanno dire come lo snellimento della burocrazia, vera zavorra per la crescita di tutto il paese, che la Zes garantisce, sono un volano incredibile per la crescita.
E poi ci sono i numeri del PNRR, che mette a disposizione del Sud un complesso di risorse pari a non meno del 40 per cento delle risorse del PNRR (pari a circa 82 miliardi, incluso il Fondo complementare), per le otto regioni del Mezzogiorno, a fronte del 34 per cento previsto dalla attuale normativa vigente in favore del Sud per la ripartizione degli investimenti ordinari destinati su tutto il territorio nazionale. Il Piano prevede, infatti, in aggiunta alle risorse europee, ulteriori 30,6 miliardi di risorse nazionali che confluiscono in un apposito Fondo complementare al PNRR, finanziato attraverso lo scostamento di bilancio, Investimenti in infrastrutture alta velocità e strade) in digitalizzazione della Pa e del privato e nella transizione verde, per rilanciare un’economia come quella del sud da troppo tempo dimenticata da politica ed istituzioni. Spesso si è sentito dire che senza lo sviluppo del sud si sarebbe fermato anche il resto del paese. Ora il sud mostra segnali di risveglio che non vanno assolutamente sprecati. Occorre che la politica agisca in fretta per ridurre ulteriormente il peso di vincoli e lacciuoli burocratici che frenano lo sviluppo economico del paese. Secondo una recente stima dell’Istituto Ambrosetti, il costo annuo dell’attività burocratica a carico delle imprese ammonta a 57,2 miliardi, pari allo stipendio annuale medio di quasi 2 milioni di lavoratori e al 3,3 per cento del Pil. Si tratta di “oneri di transazione”, che comprendono costi organizzativi e di consulenza e assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, spese procedurali, oneri per il contenzioso e così via.
L’Ufficio studi della Cgia ha invece, recentemente quantificato in 14,5 miliardi il costo annuo della burocrazia locale (251 euro pro capite, 334 per le amministrazioni comunali fino a 5 mila abitanti), mentre un report di PwC Italia certifica che per l’apertura di una nuova attività in Italia si spendono fino a 20mila euro fra tasse, costi per i consulenti e oneri procedurali. Una situazione insostenibile, considerando che le imprese italiane hanno anche un costo dell’energia, in media del 30% più alto rispetto al resto d’Europa.
Anche su questo aspetto il governo sta cercando di sfruttare le potenzialità geografiche, climatiche e territoriali del sud Italia per sviluppare lì un hub energetico. Il Piano Mattei avrebbe anche tra i suoi progetti alcuni legati proprio alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento energetico, per far calare il costo della bolletta energetica per imprese e cittadini. Quello realizzato dal governo, grazie anche alla spinta poderosa dei fondi del Pnrr, ha indicato la via maestra da seguire, ora però occorre agire per far sì che queste misure diventino strutturali e permettere che il paese torni a recitare quel ruolo da protagonista che le compete. E per fare ciò occorre che tutta Italia, nord centro e sud siano un corpo solo per compensare coi propri punti di forza le lacune altrui.
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