Il responsabile Economia auspica più integrazione europea per tenere testa a Usa e Cina. Delfin e Caltagirone «agiscono insieme, le authority verificheranno eventuali anomalie»
Un sistema bancario asservito a dinamiche di potere contigue al governo. Per Antonio Misiani, responsabile Economia del Partito democratico, il doppio ruolo di parte in causa del governo, contemporaneamente azionista e giudice nelle scalate di questi mesi, rischia di condizionare ancora a lungo i movimenti degli istituti.
Con il rischio che non si occupino più di imprese e famiglie, che pure dovrebbero essere la clientela di riferimento delle banche.
Come si arriva all’assemblea dei soci di Mediobanca, in programma domani, in cui l’ad Alberto Nagel tenterà il tutto per tutto con l’operazione su Banca Generali?
Sarà una giornata cruciale per un risiko bancario che da mesi vede il susseguirsi di offerte pubbliche di scambio, con le dinamiche di potere che rischiano di prevalere rispetto a disegni industriali forti e credibili.
Qual è lo stato di salute del sistema bancario oggi?
Gran parte delle banche stanno ridimensionando il rapporto tradizionale con le famiglie e le aziende che contraggono prestiti per acquistare casa piuttosto che avviare e sviluppare attività produttive. Negli ultimi tre anni i prestiti alle piccole imprese sono crollati del 21 percento. È un problema serio per un sistema economico come quello italiano, le micro e piccole imprese rischiano l’asfissia finanziaria. Purtroppo non ne parla quasi nessuno.
La mossa di Delfin di consegnare già parte importante delle sue azioni e gli interventi continui di Francesco Gaetano Caltagirone contro la strategia difensiva di Nagel sono fuori dal galateo bancario?
In tutti i passaggi chiave di questi mesi il gruppo Delfin e Caltagirone hanno fatto quasi sempre le stesse scelte. Alcuni commentatori hanno parlato di un vero e proprio concerto. Se ci sono anomalie spetterà agli organismi di vigilanza stabilirlo.
Il fatto che il governo sia parte attiva in questa partita, da azionista di Mps e anche per altri aspetti, come nella vicenda Unicredit-Bpm attraverso l’impiego del golden power, rappresenta un problema?
Sì, è un fattore di grande distorsione. Il governo sta spingendo le operazioni gradite e sta ostacolando con ogni mezzo quelle non gradite. Non in base a un disegno di politica industriale ma secondo logiche di puro potere.
Qual è il rischio?
Se mettiamo in fila una serie di iniziative degli ultimi mesi, dall’art. 12 della legge Capitali alla golden power su Unicredit passando per la cessione dell’ultima tranche di Mps, il governo emerge come parte attiva del riassetto della grande finanza italiana. La verità è che palazzo Chigi è diventato una merchant bank “de noantri”, ma così si rischiano pasticci e commistioni dannose.
Di fronte a questa consapevolezza il golden power ha ancora ragione d’esistere?
Ha senso come strumento di condizionamento di operazioni che riguardano aziende strategiche oggetto di operazioni da parte di realtà estere. Nel caso di Unicredit, il paradosso è che si è utilizzata per un’operazione tra due banche con sede a Milano, imponendo condizioni capestro che prima da Tar e poi la Commissione europea hanno messo in discussione.
Proprio in relazione a quella vicenda, il numero uno di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, poco tempo fa si è dichiarato aperto a un’eventuale fusione con Crédit Agricole Italia e non esclude, più avanti, contatti con Mps. È un risultato auspicabile?
Molti ritengono che in Italia ci sia spazio per un terzo polo ed è sicuramente un’opzione legittima e per molti versi auspicabile. L’importante è che risponda a logiche industriali e convinca il mercato e non sia invece eterodiretta dalla politica.
In Europa, invece, si parla volentieri di consolidamenti transnazionali, ma quando poi si arriva al dunque, spesso gli interessi nazionali finiscono per avere la meglio. Ne è un buon esempio il caso Commerzbank.
Quello che sta accadendo rischia di essere la pietra tombale dell’Unione bancaria. L’interventismo dei governi nazionali sta bloccando l’integrazione ma se il sistema bancario europeo rimane frammentato così come è, questo rappresenta un enorme svantaggio competitivo nei confronti degli Stati Uniti e della Cina.
Come si possono ridurre le resistenze dei governi?
L’unione bancaria e quella dei mercati dei capitali sono fondamentali per rendere il sistema produttivo europeo più competitivo. A condizione che la riorganizzazione della finanza sia collegata allo sviluppo del sistema delle imprese e non dettata da logiche autoreferenziali.
Servono nuovi strumenti di regolamentazione o di controllo per arginare una quasi inevitabile contiguità tra poteri economici e governo di turno?
Le autorità di vigilanza nazionali ed europee devono essere attente e pronte a intervenire. Non so se siano necessarie ulteriori leggi, di sicuro serve una diversa consapevolezza da parte della politica.
Cioè?
La politica non deve rimanere un’osservatrice esterna, non è più il tempo del laissez-faire. Servono politiche attive, evitando però di tornare ad un dirigismo anni Settanta, tanto meno su base nazionale.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link