Docente di Politica economica all’Università di Napoli Federico II e visiting professor alla London School of Economics, Mita Marra riflette sulle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno a partire dal dibattito aperto dal fondo di Ferragosto di Roberto Napoletano, che ha posto al centro la necessità di trattenere i giovani e di creare nuove opportunità a Napoli.
Secondo Marra, l’impostazione è corretta e soprattutto urgente. «È legittima e necessaria. Oggi ci sono le condizioni per una nuova politica capace di offrire prospettive reali. Napoli sta vivendo una fase dinamica, che qualcuno ha definito “nuova Lombardia”, con attività economiche in crescita. Tuttavia non dobbiamo limitarci a guardare al centro urbano: serve una visione più ampia, che includa le aree interne, spesso escluse dal dibattito ma ricche di risorse culturali, ambientali e produttive» spiega.
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I territori
Le aree marginali non sono più solo luoghi di emigrazione o periferie vuote. «Negli ultimi anni – aggiunge Marra, già autrice del volume “Connessioni virtuose. Come nasce (e cresce) un ecosistema dell’innovazione” in cui ha affrontato il tema della terza missione dell’università e dell’impegno per la digitalizzazione nei contesti del Mezzogiorno – abbiamo riscontrato vitalità nei territori, non solo individuale ma anche istituzionale. Non parliamo più di ritorni isolati: i giovani che avviano startup nei propri luoghi non sono più un’utopia». Per la docente, la pandemia ha disegnato una linea di confine poiché «dopo si è diffuso il South Working, con nomadi digitali che hanno scelto di stabilire la propria attività nei paesi d’origine. A questo si aggiungono enti locali che non aspettano più solo aiuti esterni, ma si muovono per valorizzare risorse umane e culturali. È questa la vera sfida: costruire un ecosistema in cui non esista un unico centro decisionale ma tante teste capaci di cooperare».
Le responsabilità
Il nodo, spiega la docente, resta la capacità di prendere decisioni e di distribuire responsabilità. «Storicamente soffriamo di scarsa capacità decisionale e organizzativa. Per questo è fondamentale distribuire le responsabilità. Non possiamo immaginare Napoli come unico polo che concentra valore ed energie. Serve un modello in cui università, enti locali e settore privato assumano insieme responsabilità, verificabili attraverso i risultati sul territorio. Altrimenti rischiamo di ripetere vecchi errori, attribuendo colpe a una parte sola». Il paragone con la Silicon Valley è inevitabile, ma Marra mette in guardia da imitazioni improprie. «Non possiamo replicarlo. Ma possiamo sfruttare le nostre risorse naturali, culturali e umane. Occorre però evitare squilibri: non ha senso parlare di sviluppo sostenibile se a pochi chilometri i centri si spopolano e invecchiano. Bisogna costruire una rete capillare, che sappia trattenere i talenti, molti dei quali provengono proprio dalle province e dalle aree interne».
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La digitalizzazione
In questo quadro, la digitalizzazione assume un ruolo strategico. «È cruciale. La prossimità resta un fattore di crescita, perché nei processi di innovazione la vicinanza tra centri di ricerca e imprese stimola contaminazioni e nuove idee. Ma la digitalizzazione consente di superare in parte questo limite geografico, riducendo le distanze e permettendo a chi vive lontano dai poli tradizionali di partecipare comunque ai processi di innovazione. È stato osservato in diversi studi di economia regionale: la distanza fisica può essere compensata da connessioni digitali stabili e veloci». In questo contesto, i giovani rappresentano un punto di forza.
«Sono più disinvolti e creativi nell’uso delle tecnologie e spesso riescono a immaginare applicazioni che noi non prevediamo. Pensiamo al ruolo dell’intelligenza artificiale: non riguarda solo i grandi centri industriali, ma può essere applicata anche in contesti periferici, per migliorare la produttività agricola, per innovare i servizi sanitari, per rendere più efficiente la gestione dei piccoli comuni. La digitalizzazione, se accompagnata da investimenti in infrastrutture e formazione, diventa allora un moltiplicatore. L’università deve assumersi un ruolo decisivo: insegnare a usare le tecnologie, ma soprattutto a svilupparle, adattandole ai bisogni locali. Questo significa anche ripensare l’organizzazione del lavoro, favorendo forme di smart working sostenibile che riducano lo spopolamento e rendano attrattivi territori altrimenti marginali». Un terreno di sperimentazione è stata la Summer School “Pathways to Innovation and Entrepreneurship”, organizzata lo scorso anno. «Un’esperienza importante, che stiamo cercando di far crescere».
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Il futuro
Alla luce di tutto ciò, quali misure concrete possono aiutare a trattenere i giovani a Napoli e nel Mezzogiorno? «Tre in particolare» sentenzia Marra. «Primo: rafforzare la formazione in sinergia con gli imprenditori e con chi avvia iniziative sul territorio, perché i giovani devono capire che si può imparare e lavorare bene anche qui. Secondo: agevolare il rientro di chi è già partito, con meno vincoli burocratici e maggiore flessibilità lavorativa. Terzo: sviluppare forme di welfare e una vita culturale adeguata alle aspettative delle nuove generazioni. Non tutto è lavoro: la possibilità di coltivare attività creative e di vivere in un contesto dinamico è ciò che rende una scelta di vita soddisfacente».
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