Secondo punto del “contratto” tra Pd e 5Stelle che ha blindato il campo largo in vista delle elezioni ottobrine: reddito di cittadinanza regionale. L’idea sarebbe quella di “integrare” l’Assegno di Inclusione da 600 euro (di media) con cui il governo Meloni nel gennaio ’24 ha rottamato lo strumento principe di contrasto alla povertà tanto caro agli ex grillini confezionato dal Conte I.
La Regione Toscana ha autonomia normativa per farlo?
“Sì, è fattibile perché si parla di un’integrazione a un sistema nazionale già esistente”, il giudizio tecnico di Tommaso Nannicini. Oggi professore di economia politica all’Istituto Universitario Europeo, dieci anni fa sottosegretario alla presidenza del consiglio targata Matteo Renzi e, soprattutto, “padre architetto” del Jobs Act.
Ma quanto costerebbe il reddito di cittadinanza toscano?
“I percettori dell’ADI in Toscana erano 19.467 nuclei familiari nel 2024 e prendevano in media 599 euro al mese. Ipotizzando un aumento dell’assegno di 100 euro la Regione dovrebbe stanziare circa 23 milioni l’anno”.
Il segretario di Forza Italia Stella parla però di una spesa di 3,5 miliardi in 5 anni…
“I conti non tornano per niente. Il costo va calcolato su base annua, non quinquennale. L’accordo parla di un’integrazione all’ADI, la platea di riferimento quindi non è quella dei percettori del reddito di cittadinanza di Conte e la Regione dovrebbe pagare non l’intero ammontare ma la quota integrativa. Apprezzo lo spirito dell’accordo, che non è quello di inventarsi misure di fantasia, ma ci sono incongruenze che saltano all’occhio…”.
Ovvero?
“Integrazione che vuol dire? Non si specifica il quantum delle risorse e dove reperire le coperture. Sembra più un accordo generico, un modo per piantare bandierine. Non si fa nessun accenno né alla formazione né al lavoro: la logica è solo assistenziale. E riemerge il solito paternalismo dei progetti di pubblica utilità: siccome ti do un sussidio, devi lavorare gratis per il Comune, anche se non c’è un piano formativo dietro”.
L’idea del governatore Giani sarebbe quella di agganciare la misura al treno dell’inserimento lavorativo sfruttando fondi europei. Come valuta la soluzione?
“Lo strumento diverrebbe temporaneo e non un diritto soggettivo tutelato dall’ordinamento regionale con risorse strutturali stanziate a bilancio. Sarebbe una scelta al ribasso”.
I 23 milioni da lei ipotizzati sarebbero una spesa onerosa per le casse della Regione?
“Non sono noccioline, intendiamoci, ma è una misura fattibile. A patto di reperire le risorse tagliando altre spese”.
Al quarto punto del contratto tra i dem e 5S c’è il salario minimo garantito a 9 euro l’ora.
“Anche qui, noto delle incongruenze. Posto che il governo ha sbagliato a impugnare la legge toscana, qual è il senso di dare una premialità nelle gare regionali a quelle imprese che adottano il salario minimo, per poi permettere che gli enti territoriali, dalla Regione ai Comuni, facciano bandi per il terzo settore che implicano salari da fame? Il lavoro nelle cooperative sociali deve essere ben pagato, ma per farlo il pubblico deve metterci le risorse, aumentando i bandi attuali almeno del 30%. Se si vogliono combattere i salari bassi cominciamo ad abolire quelli che dipendono dal pubblico, invece di fare misure bandierina che incidono poco”.
Francesco Ingardia
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