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DFP, risoluzione Ricciardi (M5S): su impegno garanzia maggiore attenzione al settore primario e sostegno imprese


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Atto Camera

Roma – Risoluzione in Assemblea 6-00176

presentato da

RICCIARDI Riccardo

testo di

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Giovedì 24 aprile 2025, seduta n. 471

La Camera,

premesso che:

con il Documento di finanza pubblica 2025 (DFP), approvato lo scorso 9 aprile dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Presidenza il 10 aprile (Doc. CCXL N. 1 e Allegati), il Governo, tenuto conto di quanto indicato nel Piano Strutturale di Medio Termine 2025-2029 (Piano), presentato lo scorso 27 settembre 2024, aggiorna parte delle previsioni in esso contenute alla luce del mutato contesto economico e geopolitico internazionale;

il Governo rileva anzitutto che nel 2024 la crescita reale del PIL in media d’anno si è attestata allo 0,7 per cento, tre decimi di punto al di sotto della previsione contenuta nel Piano;

quanto agli anni successivi, pone in evidenza come, a partire dal secondo trimestre dell’anno in corso, l’andamento dell’economia italiana potrebbe risentire degli annunci riguardanti i dazi imposti dagli Stati Uniti e dell’elevato grado di incertezza circa l’evoluzione delle politiche tariffarie a livello globale. Per tale motivo, adotta stime prudenziali per quanto riguarda l’andamento del PIL nei prossimi trimestri. In sostanza, la crescita reale del 2025 viene rivista al ribasso di sei decimi di punto e di tre decimi di punto per quello successivo, rispettivamente allo 0,6 per cento e allo 0,8 per cento, così come vengono altresì analizzati scenari di rischio al ribasso;

vengono confermati invece gli obiettivi di spesa netta e di riduzione di deficit e debito enunciati nel Piano;

è utile ricordare che il presente DFP è frutto della riforma delle regole della governance economica europea, realizzata a seguito dell’entrata in vigore del regolamento (UE) 2024/1263 del Parlamento europeo e del Consiglio, del regolamento (UE) 2024/1264 del Consiglio e della direttiva (UE) 2024/1265 del Consiglio del 29 aprile 2024, ha modificato l’impostazione della programmazione economica degli Stati membri dell’Unione europea e gli strumenti da utilizzare;

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a tal fine, il Gruppo di Lavoro (GdL) parlamentare finalizzato a predisporre i disegni di legge di modifica delle leggi n. 196 del 2009 e n. 243 del 2012 ha predisposto le risoluzioni che, tramite l’approvazione delle Commissioni bilancio di Senato e Camera, hanno autorizzato il Governo, nelle more della definizione del nuovo quadro normativo di contabilità e finanza pubblica, a presentare il documento in oggetto;

le risoluzioni sono state approvate a maggioranza, senza il consenso delle opposizioni, poiché il Governo non ha recepito le richieste, sostenute dal Gruppo M5S, volte a inserire nel DPF un numero di informazioni e dettagli previsionali non inferiori a quelli attualmente previsti nel DEF;

in particolare, sarebbe stato necessario che il documento contenesse previsioni programmatiche per un orizzonte temporale quanto più esteso possibile, almeno fino al 2028 e che riguardasse anche le politiche invariate; tale impostazione avrebbe consentito di acquisire un quadro maggiormente trasparente rispetto agli indirizzi economici del nostro Paese e agli strumenti utilizzati per realizzarli;

il DFP contiene, invece, le sole stime tendenziali senza nulla chiarire in merito ad eventuali interventi correttivi per rilanciare la crescita o i consumi e in generale le politiche future che il Governo intende adottare, anche in considerazione della prevista riduzione della crescita e del mutato contesto economico e geopolitico;

su questo punto occorre preliminarmente sottolineare che l’ufficio Parlamentare di bilancio (UPB), nella nota di validazione del Quadro macroeconomico tendenziale (QMT), ha evidenziato i rischi delle previsioni inserite nel DFP, soprattutto con riguardo ai grandi margini di incertezza relativi, tra gli altri, alle guerre commerciali, ai conflitti e ai piani di riarmo, alla dinamica degli investimenti e il PNRR e alla volatilità dei mercati e delle politiche monetarie;

in generale, il Governo pone in rilievo l’incertezza delle prospettive economiche in considerazione della maggiore complessità in confronto al periodo di elaborazione del Piano. Si rimarca, in particolare, la necessità di «dover rispondere» alle nuove esigenze legate alla sicurezza e alla difesa e al mutamento della politica estera e commerciale della maggiore economia del mondo, auspicando un utilizzo innovativo del bilancio dell’UE a sostegno degli investimenti per la sicurezza e la difesa;

basti pensare che, con riferimento al «più rilevante tema di politica economica, con importanti impatti potenziali sulla finanza pubblica dei prossimi anni» (così viene classificato nel DFP) ovvero il rafforzamento della capacità di difesa europea in considerazione del mutato contesto geopolitico, il Governo si limita a precisare che «sta attualmente valutando» la possibilità di richiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale a tale scopo, facoltà riconosciuta ai singoli Stati dalla Commissione europea nell’ambito del Piano Defence Readiness 2030 e da comunicare alla Commissione possibilmente entro il prossimo 30 aprile;

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fatto sta che, in uno scenario più che mai in evoluzione, può oggi affermarsi con certezza che, a distanza di soli pochi mesi dalla definizione del Piano, le «due ipotesi» su cui esso poggiava possono considerarsi ampiamente superate;

va ricordato che, per quanto attiene alle principali variabili macroeconomiche, la prospettiva complessiva del Piano si è basata sulla piena e tempestiva realizzazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e sull’assenza di un deterioramento del contesto internazionale;

riguardo all’attuazione del PNRR, a parte le ulteriori modifiche presentate dall’Italia in data 10 ottobre 2024 (due settimane dopo la presentazione del Piano), dalla consultazione della banca dati ReGiS emerge come i dati che riguardano il nostro Paese, aggiornati al 31 dicembre 2024, siano oltremodo preoccupanti: dei 120 miliardi di euro già incassati dall’Unione europea, ne risultano essere stati spesi appena 62,2 miliardi, pari a solo il 32 per cento dei 194 miliardi complessivi ottenuti grazie all’operato del Governo Conte; ma il dato più allarmante è quello riferito al drastico rallentamento della spesa negli ultimi mesi: dalla fine di settembre 2024 a gennaio 2025, sono stati messi a terra solo 5 miliardi di euro in quattro mesi, un ritmo assolutamente insufficiente a garantire la spesa di tutti i fondi previsti per raggiungere gli obiettivi prefissati entro giugno 2026;

il completamento del PNRR richiede ancora la realizzazione di 284 traguardi e obiettivi previsti nei prossimi tre semestri, di cui 177 da conseguire nell’ultimo semestre che avrà scadenza il 30 giugno 2026; secondo le valutazioni economiche effettuate dall’Osservatorio Recovery plan, ipotizzando un andamento costante del regime di spesa, sarebbero infatti 94 i miliardi di euro di spesa a rischio;

il trend negativo è confermato anche dall’ultima Relazione semestrale della Corte dei conti al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR pubblicata il 9 dicembre 2024, in cui si evidenzia come l’avanzamento finanziario, seppur in linea con le scadenze concordate, continui a segnalare – come peraltro già messo in luce in occasione di precedenti relazioni – scostamenti significativi rispetto al cronoprogramma: al 30 settembre 2024, il livello della spesa si era attestato sui 57,7 miliardi di euro, il 30 per cento delle risorse e circa il 66 per cento di quelle che erano programmate entro il 2024;

quanto al contesto internazionale, a seguito della presentazione del Piano, esso risulta profondamente alterato, in conseguenza delle crescenti tensioni e dei mutati scenari geopolitici internazionali;

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sul piano geopolitico, infatti, le tensioni hanno anzitutto aperto la strada alla corsa al riarmo. Già nella raccomandazione del 21 gennaio 2025 in merito al Piano, il Consiglio aveva rilevato come le tensioni geopolitiche potevano essere «fonte di pressioni sulle spese per la difesa». In effetti, le conclusioni del successivo Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2025 hanno confermato la pericolosa quanto concreta svolta militarista dell’Europa, preannunciata nel Libro Bianco della Difesa europea e anticipata nella raccomandazione del 21 gennaio, ribattezzando il Piano di riarmo europeo «Rearm Europe» in «ReArm Europe Plan/Readiness 2030», intendendo sottolineare la capacità di prontezza e risposta militare, in totale contrasto con i principi e i valori comuni dell’Unione europea ossia libertà, democrazia, uguaglianza e Stato di diritto, promozione della pace e della stabilità;

il Piano, declinato in 5 punti, vale 800 miliardi di euro e segna un deciso cambio di rotta dell’Unione a favore di una vera e propria militarizzazione dell’Unione europea, come a più riprese denunciato dal gruppo parlamentare «Movimento Cinque Stelle», in cui le priorità politiche su temi centrali quali la transizione verde e digitale, la sanità, l’istruzione e la green economy cedono il passo al rafforzamento della capacità di produzione di armi e munizioni;

in particolare, il piano dell’Unione europea prevede un aumento esponenziale della spesa per la sicurezza e la difesa dell’Europa, declinata nel senso di un rafforzamento della capacità militare, attraverso l’istituzione di un nuovo strumento finanziario basato su prestiti agli Stati membri garantiti dal bilancio dell’Unione europea, per l’acquisto, tra l’altro, di sistemi di difesa aerea e missilistica, artiglieria, missili e munizioni, droni e sistemi anti-drone, nonché investimenti in infrastrutture critiche e protezione dello spazio, mobilità militare, cyber, intelligenza artificiale e guerra elettronica;

gli Stati membri avrebbero inoltre la possibilità di innalzare la propria spesa militare a livello nazionale, tramite l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita (PSC), ipotesi che – consentendo lo scorporo degli investimenti per la difesa dal calcolo deficit/PIL — libererebbe, nelle intenzioni della Presidente della Commissione europea, complessivamente 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni, da aggiungersi ai 150 miliardi del nuovo strumento di prestiti per la difesa sostenuti dal bilancio dell’Unione europea;

come messo in rilievo anche nel DFP, il piano di riarmo rischia di avere forti ripercussioni sull’Italia e soprattutto sulla programmazione economica dal momento che gli spazi di indebitamento a disposizione degli Stati membri verrebbero così occupati dalle spese per il riarmo, a svantaggio dello stato sociale e dei servizi alla persona, con evidenti disparità a seconda delle disponibilità di bilancio, creando un progetto di investimento industriale non organico, che potrebbe falsare la concorrenza interna, minando i principi stessi del mercato comune, in luogo di una sana e ordinata competizione intra-UE;

alle tragiche «guerre sul campo» e alla corsa agli armamenti si è aggiunta, a livello internazionale, una «guerra commerciale» con l’introduzione di nuove politiche protezionistiche e l’applicazione di dazi commerciali, una linea fortemente voluta dall’amministrazione Trump, entrata in carica il 20 gennaio 2025;

come rilevato nella nota sull’andamento dell’economia italiana diffusa da Istat lo scorso 20 marzo 2025, il contesto degli scambi commerciali internazionali è attualmente caratterizzato da significativi rischi al ribasso, tra cui spiccano gli attriti commerciali internazionali e la potenziale escalation delle tensioni geopolitiche, fattori che potrebbero ostacolare le catene globali di distribuzione e approvvigionamento. L’incremento di politiche industriali «introverse» e orientamenti protezionistici, in particolare da parte degli Stati Uniti, rappresentano ulteriori elementi di incertezza per la crescita del commercio nel breve e medio termine. In tale scenario, l’Italia si distingue per una significativa esposizione dei propri scambi commerciali al di fuori dell’Unione europea, con oltre il 48 per cento del valore totale dell’export indirizzato verso mercati extra-UE nel 2024, una quota superiore a quella di importanti partner europei come Germania, Francia e Spagna. Gli Stati Uniti, in particolare, rappresentano un mercato cruciale per l’export italiano, assorbendo nel 2024 oltre il 10 per cento delle vendite totali all’estero del nostro Paese e più di un quinto delle vendite destinate ai mercati extraeuropei, evidenziando una rilevante interdipendenza commerciale che rende l’Italia particolarmente sensibile alle dinamiche e alle politiche commerciali statunitensi;

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le indagini del Centro studi di Confindustria mettono in luce una notevole concentrazione delle esportazioni italiane dirette verso gli Stati Uniti in comparti di primaria importanza come le bevande, il settore automobilistico, altri mezzi di trasporto e l’industria farmaceutica. Tale specificità settoriale rende questi ambiti particolarmente vulnerabili all’introduzione di nuove imposizioni tariffarie;

le proiezioni elaborate da Svimez indicano, nell’eventualità di applicazione di dazi pari al 20 per cento, perdite considerevoli per settori strategici dell’export nazionale, con l’agroalimentare, il comparto farmaceutico e l’industria chimica che potrebbero subire una flessione compresa tra il 13,5 per cento e il 16,4 per cento. Particolarmente preoccupante è la stima fornita da Coldiretti, che quantifica in sei milioni di euro al giorno i potenziali costi per il solo comparto vinicolo italiano;

gli Stati Uniti, infatti, sono il primo mercato di destinazione per i vini italiani, tanto che lo scorso anno ha raggiunto i 2 miliardi di euro, assorbendo oltre 3,5 milioni di ettolitri di vino; ma più in generale, è fondamentale considerare che nel 2024, l’export agroalimentare italiano negli Stati Uniti ha toccato una cifra pari a 7,8 miliardi di euro e, come rilevato dalle associazioni di categoria, una tassazione del 20 per cento sulle esportazioni potrebbe costare ai consumatori fino a 2 miliardi di euro in più;

oltre al vino saranno colpiti in maniera particolare i settori di eccellenza dell’olio extravergine di oliva e dei formaggi che costituiscono un’importante fetta della domanda di beni alimentari italiani oltreoceano. Basti pensare che il primo mercato estero per il parmigiano reggiano è proprio quello statunitense;

i possibili effetti avversi di una simile presa di posizione si sostanzierebbero non solo in un drastico calo degli acquisti da parte dei consumatori americani, ma anche in una dilagante diffusione delle imitazioni e del fenomeno dell’Italian sounding, arrecando un gravissimo danno alle imprese italiane e agli stessi consumatori;

le ripercussioni delle nuove tariffe statunitensi si prospettano eterogenee a livello territoriale. Sebbene Liguria, Campania, Molise e Basilicata identifichino gli Stati Uniti come principale mercato di sbocco, in termini di volumi assoluti di vendite oltreoceano spiccano Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana (dati Istat 2023). La CGIA di Mestre segnala come le regioni meridionali, in particolare Sardegna, Molise e Sicilia, risulterebbero le più esposte al rischio a causa di una minore diversificazione del loro export, con la potenziale conseguenza di esacerbare le preesistenti difficoltà economiche e sociali di tali aree;

le stime complessive sull’impatto economico per l’Italia oscillano tra i 4 e i 7 miliardi di euro, con la concreta possibilità di perdita di posti di lavoro e una significativa contrazione delle esportazioni in uno scenario di dazi generalizzati;

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a deteriorare ulteriormente il quadro economico descritto contribuisce anche il nuovo aumento dei prezzi dell’energia. L’aumento delle tariffe energetiche sta gravando nuovamente e in modo significativo su famiglie e imprese, peggiorando ulteriormente una situazione economica già segnata da un generale incremento del costo della vita. L’ennesimo aumento del costo delle bollette, infatti, si inserisce in un contesto economico già caratterizzato da un generale incremento dei prezzi di beni e servizi essenziali: il caro vita, i tassi d’interesse sui mutui ancora elevati, sebbene in riduzione, e l’inflazione riducono il potere d’acquisto delle famiglie, mettendo in difficoltà soprattutto quelle a basso reddito e i pensionati;

peraltro, sul piano fiscale la pressione sui contribuenti non migliora: secondo i dati diffusi da Istat, nel 2024 la pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al PIL) è risultata pari al 42,6 per cento, in aumento rispetto all’anno precedente (41,4 per cento), per effetto di una crescita delle entrate fiscali e contributive (+5,7 per cento) superiore a quella del PIL a prezzi correnti (+2,9 per cento);

stando all’ultimo «Rapporto sulla politica di bilancio – 2024» elaborato dall’UPB, attraverso un’analisi basata su un modello di micro-simulazione, l’inflazione ha completamente neutralizzato il beneficio fiscale del 3 per cento precedentemente garantito ai lavoratori dipendenti nell’ultimo decennio grazie alla decontribuzione e al taglio del cuneo fiscale. Tale vantaggio è stato interamente assorbito dall’effetto del fiscal drag (che rappresenta una quota significativa di Irpef aggiuntiva pagata da dipendenti e pensionati senza un proporzionale incremento del reddito), il quale ha eroso i redditi disponibili del 3,6 per cento;

il provvedimento da ultimo adottato dal Governo per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, attraverso il decreto-legge cosiddetto «Bollette», si limita a prevedere il riconoscimento nel 2025 di un contributo di 200 euro per il pagamento delle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con ISEE fino a 25.000 euro, che si potrà cumulare con la misura del bonus sociale elettrico già esistente. Una misura di sostegno molto contenuta, anche a causa dell’esiguità delle risorse finanziare rese disponibili (peraltro a carico della collettività), e sorretta, in futuro, da fantasiose applicazioni delle regole di finanza pubblica, come nel caso del reimpiego del cosiddetto extra gettito IVA di dubbia compatibilità con la disciplina di cui all’articolo 17, comma 1-bis, della legge n. 196 del 2009 e alla regolamentazione europea;

a livello di produzione industriale, lo stesso anno 2024 si è chiuso con una diminuzione della produzione industriale del 3,5 per cento. Secondo i dati Istat, il PIL ai prezzi di mercato è stato pari a 2.192.182 milioni di euro correnti, con un aumento del 2,9 per cento rispetto all’anno precedente. In volume il PIL è cresciuto dello 0,7 per cento, smentendo dunque le dichiarazioni del Ministro Giorgetti che, solo in autunno, aveva dichiarato «realistico» l’obiettivo dell’1 per cento del PIL per il 2024;

le analisi condotte da certificati centri studi prevedono che con lo scenario più avverso di un’escalation protezionistica il rallentamento possa spingersi fino al +0,2 per cento, ben al di sotto degli obiettivi fissati dal Governo;

le difficoltà dell’industria stanno avendo ripercussioni anche sul mercato del lavoro, con un aumento della cassa integrazione e una possibile riduzione delle nuove assunzioni nel settore manifatturiero;

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lo stesso Ministro dell’economia e delle finanze ha recentemente ammesso la necessità di sospendere il Patto di stabilità e di adottare una nuova programmazione;

ritenuto altresì che:

va ribadita con fermezza la netta contrarietà agli insufficienti obiettivi di riforma proposti dal Governo nel Piano, anche alla luce delle misure attuative realizzate nella manovra di bilancio e negli ultimi provvedimenti d’urgenza;

in dettaglio, si rileva quanto segue:

sul piano fiscale:

nell’ambito della riforma Irpef ad avviso dei firmatari del presente atto, l’ingannevolezza delle misure realizzate è manifesta;

l’assorbimento nella disciplina Irpef della decontribuzione temporanea ha comportato una riduzione del netto in busta paga per alcune fasce di contribuenti, in particolar modo per i contribuenti con reddito tra gli 8.500 e i 9.000 euro, per i quali l’effetto in busta paga si sostanzia in una decurtazione della retribuzione netta di circa 100 euro mensili (pari al trattamento integrativo Irpef introdotto dal Governo Conte);

altra significativa distorsione deriva dai criteri di determinazione degli acconti dovuti per i periodi d’imposta 2024 e 2025, che generano acconti d’imposta maggiori rispetto a quelli effettivamente dovuti;

secondo l’analisi sulle misure condotta dall’ufficio parlamentare di bilancio, la riforma IRPEF aumenta le già ampie differenze nel trattamento fiscale delle diverse categorie di contribuenti (dipendenti, pensionati e autonomi) e produce un’architettura fiscale complessa e difficilmente intellegibile per i suoi destinatari;

le misure introdotte anche all’esito della definitiva conversione del decreto-legge n. 155 del 2024, producono effetti negativi anche per le imprese e il mondo delle partite Iva;

analizzando il complesso degli interventi di cui alla manovra di bilancio 2025 e del decreto-legge n. 155 del 2024, convertito con modificazioni dalla legge n. 189 del 2024, l’Upb sottolinea come nel solo 2025 imprese e professionisti vedranno incrementarsi il proprio carico fiscale di 4,5 miliardi di euro, migliorando il saldo in tutti gli anni del triennio 2025-27 rispetto allo scenario a legislazione vigente, per effetto di interventi sia sulle entrate sia sulle spese;

a legislazione vigente, il 2025 sarà anche l’anno in cui termineranno importanti leve fiscali quali Transizione 4.0, l’accesso ai crediti d’imposta per l’attività di innovazione tecnologica (sia nella versione base sia nella versione maggiorata per tecnologie 4.0 e per la transizione energetica) e quelle di design e ideazione estetica nonché Decontribuzione Sud, misure che favoriscono le imprese nazionali attraverso la previsione di un insieme di misure organiche e complementari in grado di sostenere gli investimenti e lo sviluppo tecnologico del tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato in prevalenza da realtà produttive piccole e medie;

le già menzionate misure, come confermano i dati dell’Osservatorio Mecspe, hanno avuto un impatto significativo sulla crescita delle aziende sotto il profilo della trasformazione digitale (31 per cento), della ricerca e sviluppo (14 per cento), della formazione (26 per cento) e della sostenibilità (14 per cento) consentendo un miglioramento della produttività aziendale (44 per cento), della strumentazione tecnologica (35 per cento) e delle condizioni di lavoro generali (25 per cento);

va inoltre considerato il fallimento del Piano transizione 5.0, di fatto mai partito e che nelle ultime settimane ha visto decretata la sua fine a seguito delle dichiarazioni del nuovo Ministro per gli affari europei, il PNRR e le politiche di coesione, Tommaso Foti, dalle quali si deduce l’inefficacia della misura, essendo stato annunciato che parte delle risorse del piano verranno riprogrammate in modo diverso rispetto a quanto previsto. Si tratta di circa la metà dei fondi attualmente riconducibili al piano per un ammontare di circa tre miliardi di euro;

la legge di bilancio 2025 da ultimo approvata prevede poco o nulla in materia di investimenti capaci di consentire alle imprese di avere un orizzonte programmatico, limitandosi a concentrare le scarse risorse disponibili sulla realizzazione di specifici progetti infrastrutturali, primo fra tutti il Ponte sullo Stretto di Messina, e solo residuali misure di sostegno agli investimenti di portata generale;

l’attuale Governo non è andato oltre le solite dichiarazioni generali, prevedendo generiche «misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi», anche per favorire la diffusione delle tecnologie avanzate. Intenti che, de facto, non hanno visto concreta realizzazione. Prova ne è il già menzionato calo della produzione industriale, quale segno evidente dell’assenza di politiche industriali capaci di dare respiro e rilancio alle imprese tramite investimenti urgenti per modernizzazione, la transizione ecologica e digitale dei processi produttivi e un Piano nazionale che sappia valorizzare i settori strategici produttivi attraverso cui le piccole e medie imprese possono guadagnare competitività sui mercati internazionali;

le transizioni digitale ed ecologica costituiscono dei driver di sviluppo che impattano su una molteplicità di interessi generali, i quali richiedono una visione d’insieme per il sistema industriale italiano, fatto di imprese anche piccole e medie (Pmi). Ciò implica non solo «programmare» l’innovazione ma anche fare scelte mirate e consapevoli rispetto a dinamiche che toccano la società e l’ambiente nel loro complesso e che esigono una nuova governance nazionale basata su un efficace coordinamento, suscettibile di consentire il dialogo tra i diversi livelli di governo del territorio nelle sedi istituzionali deputate, e al contempo una sintesi dei diversi interessi;

in merito alle politiche per il lavoro e l’occupazione:

il PNRR attualmente ci consegna uno dei dati più sensibili: le riforme delle politiche attive del mercato del lavoro hanno raggiunto, a oggi, solo il 43 per cento dei traguardi e obiettivi prefissati. Si tratta della percentuale più bassa di tutti gli interventi PNRR. Ciò significa che il cronoprogramma prevede un numero proporzionalmente molto elevato (57 per cento) di obiettivi e traguardi da raggiungere negli anni finali del Piano, con tutte le incognite e i dubbi che possono giustificatamente sorgere rispetto al successo di tali strategiche misure;

il Governo rivendica una crescita degli occupati, ma sottovaluta un dato preoccupante: la produttività del lavoro è in calo (-1,6 per cento). Un’economia che crea lavoro ma non genera valore è un’economia ferma. Il calo della produttività è il segno di un modello basato su lavoro povero e instabile. Appare fondamentale evidenziare che il tasso di partecipazione delle donne è fermo al 57,6 per cento, tra i più bassi in Europa. Le donne pagano il prezzo più alto della precarietà, della mancanza di servizi e della scarsità di politiche realmente incentivanti;

a queste considerazioni deve aggiungersi il fatto che il Programma Garanzia per l’Occupabilità dei Lavoratori (GOL) – il cui obiettivo è qualificare 2,7 milioni di persone entro il 2026 – ha finora avuto un impatto inferiore alle aspettative, contribuendo solo marginalmente alla riduzione della disoccupazione e all’incremento delle competenze professionali;

è del tutto assente una visione politica finalizzata ad assicurare un lavoro stabile, giustamente retribuito, che permetta di costruire un progetto di vita. Il Documento di finanza pubblica ignora colpevolmente la distanza crescente tra domanda e offerta di lavoro. Non è previsto nessun piano serio per l’orientamento professionale nelle scuole e nelle università né alcun tipo di riqualificazione dei lavoratori in settori in trasformazione e sarebbe stato utile apprezzare il rafforzamento dell’apprendistato duale;

un altro tema di grande rilievo è costituito dalla necessità di introdurre il salario minimo nel nostro Paese. Attualmente, circa tre milioni di lavoratrici e lavoratori percepiscono salari inferiori a tale soglia, configurando una situazione di diffusa povertà lavorativa e disuguaglianza retributiva che non può essere ulteriormente ignorata. L’introduzione del salario minimo rappresenta una misura essenziale per contrastare il lavoro povero, garantire dignità salariale e promuovere un’economia più equa;

per comprendere il reale stato del mercato del lavoro italiano, è necessario seguire l’andamento della Cassa integrazione guadagni (CIG), che continua a rappresentare un indicatore sensibile dello stato di salute del mercato del lavoro. Nonostante la narrazione ottimistica sull’occupazione, i dati più recenti mostrano un aumento significativo delle ore autorizzate rispetto al periodo prepandemico, in particolare nei comparti industriali e manifatturieri. L’uso reiterato e passivo dell’ammortizzatore, in mancanza di reali strategie di riconversione produttiva o di riqualificazione dei lavoratori rischia di diventare strumento di congelamento dell’occupazione, più che di tutela transitoria. Invece, dovrebbe essere integrata in un quadro coerente con le politiche attive, con percorsi personalizzati di formazione e reinserimento lavorativo. La mancata riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, più volte annunciata, rappresenta l’ennesima promessa disattesa da parte del Governo;

si rileva, inoltre, con preoccupazione il progressivo indebolimento delle tutele per i lavoratori, come dimostrano alcune recenti modifiche normative introdotte con il cosiddetto «Collegato Lavoro». Tra queste, si segnala il rischio di un ritorno alle pratiche delle «dimissioni in bianco», che minano gravemente i diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori, specialmente in contesti di maggiore vulnerabilità;

riguardo alle politiche per l’ambiente:

l’obiettivo della transizione ecologica viene fortemente ridimensionato nel documento, così come gli obiettivi di decarbonizzazione e di raggiungimento della neutralità climatica e della sicurezza energetica per i quali si punta prevalentemente su tecnologie improntate a modelli produttivi inadeguati – come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della CO2 – o inadatti a garantire il rispetto degli obiettivi assunti a livello europeo ed internazionale, come il ricorso all’energia nucleare;

il quadro delle misure indicate nel DFP non sembra coerente con le indicazioni del Consiglio dell’Unione europea in merito all’esigenza di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, soprattutto alla luce dell’implementazione degli approvvigionamenti di gas naturale;

la stessa attuazione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) appare in ritardo rispetto agli obiettivi fissati, come evidenziato nello stesso Documento di Finanza Pubblica e confermato da un’analisi della Piattaforma di Monitoraggio del Piano, nella quale peraltro si registra il mancato aggiornamento del dato sulle emissioni di gas climalteranti nette, fermo all’anno 2022;

giova sottolineare che la finestra temporale per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi è sempre più stretta e che sono necessarie azioni più incisive e che bisogna impegnarsi per ottenere riduzioni delle emissioni significativamente maggiori rispetto a quelle previste dagli attuali impegni e la quasi totale assenza di riferimenti ai cambiamenti climatici nel DFP costituisce un forte elemento di preoccupazione sulla consapevolezza del Governo degli scenari che ci attendono;

in merito alla coesione territoriale:

nonostante il vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse complessive a favore dei territori del Mezzogiorno previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza – che si aggiunge alle soglie del 37 per cento delle risorse per interventi per la transizione ecologica e del 25 per cento per la transizione digitale – preoccupano i divari fra i territori a livello di macroaree e fra le regioni del Mezzogiorno che continuano a sussistere: la riduzione delle disuguaglianze territoriali è infatti un elemento essenziale non solo dei fondi strutturali e di investimento europei ma anche del NextgenerationEU e, quindi, dei Piani nazionali di ripresa e resilienza;

oltre ai ritardi nel PNRR, destano preoccupazione le frequenti modifiche che hanno portato al definanziamento di diverse misure. Il Governo sembra intenzionato a richiedere un’ulteriore revisione alla Commissione europea, la quinta in due anni, con il rischio di posticipare o ridurre gli obiettivi, impattando anche gli investimenti per il Mezzogiorno;

le modifiche finora hanno spostato la spesa verso la fine del piano, generando incertezza e rallentando l’attuazione dei progetti, anche a causa di problemi con la piattaforma ReGiS. Contrariamente all’andamento nazionale, i comuni, soprattutto quelli del Sud (dove proviene il 54 per cento dei progetti comunali), stanno contribuendo significativamente al rispetto della quota del 40 per cento degli investimenti per il Mezzogiorno;

tuttavia, preoccupano la certezza e la puntualità dei pagamenti ai comuni e le difficoltà nel monitorare la spesa per il Sud. Nonostante il vincolo del 40 per cento per il Mezzogiorno e le quote per la transizione ecologica e digitale, permangono divari territoriali tra macroaree e regioni del Sud, mettendo a rischio l’obiettivo di coesione territoriale del PNRR;

ai certificati ritardi nell’attuazione del PNRR si aggiungono le preoccupazioni legate all’annunciata intenzione del Governo di destinare parte delle risorse dei fondi di coesione non spesi per finanziare obiettivi inconciliabili con le finalità originarie di inclusione economica, sociale e territoriale di tali risorse, rischiando di aggravare ulteriormente il divario Nord-Sud, con inevitabili ricadute sui bilanci delle regioni destinatarie dei suddetti finanziamenti, oltre alla impossibilità per le stesse di realizzare le opere individuate quali necessarie per l’inclusione sociale e la coesione economica e occupazionale;

la coesione rappresenta un pilastro costitutivo dell’Unione europea e il principio di «non nuocere» alla coesione – come ribadito anche in sede di Consiglio europeo – dovrebbe essere alla base di tutte le politiche e le iniziative dell’Unione europea con un approccio coerente di rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale unionale, attualmente messo a rischio proprio dalla proposta contenuta nel Piano Defence Readiness 2030 e dall’auspicata maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi di coesione che si traduce nella possibilità di dirottamento dei fondi verso le spese relative alla difesa, senza mantenere l’originaria distribuzione delle risorse;

in riferimento al potenziamento del SSN:

nel DFP si dà conto del completamento degli investimenti del PNRR per rafforzare le cure primarie, velocizzare le prestazioni e migliorare l’assistenza territoriale e da esso emerge come vi sia un rilevante ritardo nell’attuazione delle misure: a dicembre 2024, su 612 Centrali Operative Territoriali ne sono state sono state attivate 230; su 1028 interventi per le Case della Comunità solo 44 risultano collaudati; su 310 interventi relativi agli Ospedali della Comunità solo 14 risultano collaudati;

viene evidenziata l’attuazione di diversi obiettivi intermedi del PNRR, relativi a tra i quali, ad esempio il potenziamento dell’Assistenza domiciliare; tuttavia a riguardo i dati dimostrano che la limitata crescita riguarda solo l’assistenza di breve durata e con scarsa frequenza degli accessi, per gestire esigenze di bassa complessità di tipo episodico (ad esempio per i prelievi) o per fare sanità d’iniziativa; sugli interventi più intensivi, continuativi e multidisciplinari la risposta è ancora estremamente debole; non risulta che sia stata risolta la carenza di un servizio domiciliare pensato per la presa in carico della non autosufficienza e per la disabilità, anche in ragione della mancata attuazione tanto della delega sulla disabilità quanto quella sulle persone anziane;

quanto al personale sanitario, non si fa altro che registrare e confermare che l’incremento del personale sanitario si è avuto solo ed esclusivamente dal 2020 al 2022, grazie agli interventi posti in essere dai Governi precedenti: dai dati risulta infatti che «che dopo aver attraversato un periodo di contrazione annuale tra il 2009 e il 2020, il contingente del personale sanitario è tornato a crescere, fino a tornare, nel 2022, i livelli del 2009». Dal 2019 al 2022, si è registrato un aumento di circa 32.000 unità di personale (pari al 5,0 per cento); in questo periodo, la variazione più significativa in valore assoluto riguarda il personale infermieristico, che è aumentato di oltre 15.000 unità, pari al 6,0 per cento;

tuttavia negli anni 2023 e 2024, con il Governo attualmente in carica, il personale medico e sanitario torna a decrescere e nonostante il documento all’esame evidenzi che rispetto al personale a tempo indeterminato e dirigente per categoria nel 2022, la rilevante componente di ultrasessantenni (il 25,0 per cento dei medici e dirigenti delle professioni sanitarie; il 20,0 per cento dei professionisti con ruolo tecnico), non si evince una programmazione assunzionale idonea a far fronte a tali criticità;

piuttosto gli interventi presenti e futuri si caratterizzano per sovraccaricare ripetutamente il personale sanitario con esigui incrementi delle indennità per alcune attività professionali e una tassazione agevolata per i compensi per il lavoro straordinario dai dipendenti di aziende ed enti del SSN;

quanto alla riduzione delle liste di attesa e altre misure per assicurare un’assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera tempestiva e di qualità il provvedimento all’esame rivendica il decreto-legge cosiddetto «Liste di attesa», sostanzialmente ancora inattuato, e la cui inefficacia è stata constatata dallo stesso Ministro della salute che ha avuto modo di recriminare alle regioni diffuse inadempienze; a riguardo il documento rileva l’avvio a fine marzo 2025 della Piattaforma nazionale Liste di Attesa, prevista nell’ambito del PNRR, avvio che tuttavia non risulta essere effettivo;

le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute rischiano di compromettere la salute e la vita dei soggetti più fragili, come ampiamente rilevato anche nel corso dell’esame parlamentare dell’ultima legge di bilancio, con particolare riferimento: all’assenza o all’insufficienza degli incrementi delle risorse destinate alla salute delle persone;

non si rileva, dunque, un indirizzo politico e di un progressivo rilancio del finanziamento del Servizio sanitario nazionale; alle grandi problematiche irrisolte, e non affrontate dal Governo ovvero affrontate inadeguatamente, come quelle del pronto soccorso o delle liste d’attesa, caratterizzate da gravissime criticità strutturali e dalle carenze di personale e dall’ostinazione a voler mantenere il personale in una condizione di perdurante precarietà;

con particolare riferimento al settore giustizia:

si rileva come nel Piano il Governo abbia dichiarato di voler continuare nello sforzo avviato con il PNRR – da un lato – potenziando gli investimenti nell’edilizia giudiziaria i cui interventi dovrebbero essere estesi, in particolare, al settore penitenziario, in vista di un miglioramento delle condizioni delle carceri, la riduzione del tasso di affollamento e l’efficientamento economico; dall’altro, attuando le riforme in materia di giustizia civile;

tuttavia, le politiche messe in atto fino ad ora dimostrano un interesse del Governo in carica e della maggioranza che lo sostiene rispetto ad obiettivi ben lontani da quelli dichiarati, se non addirittura in contrasto con gli stessi, come comprovato anche dai più recenti interventi normativi, che, ad avviso dei firmatari del presente atto, sembrano ispirati esclusivamente da logiche repressive e securitarie;

in particolare, sebbene nel Piano il Governo abbia dichiarato di aver rafforzato l’impegno nella riforma del processo civile, prevedendo la prosecuzione e il potenziamento degli obiettivi del PNRR dopo il 2026, basti ricordare, come – invece – la stessa Legge di Bilancio approvata lo scorso dicembre difetti di adeguate risorse volte ad incidere in concreto sulla lentezza dei processi: si ricordi che ciò impedisce ineludibilmente la piena attuazione del principio della ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 111 della Costituzione, posto che appare evidente come il vero e unico antidoto alla lentezza dei processi sia costituito dall’incremento delle risorse umane, per rafforzare l’organico della magistratura e consentire di smaltire l’annoso problema dell’arretrato degli uffici giudiziari. Una parte non indifferente della progettualità richiesta per lo smaltimento dell’arretrato negli uffici ed il contenimento in termini fisiologici della durata media dei procedimenti passa per la disponibilità di adeguate risorse umane; ciò incide altresì sulla capacità del nostro Paese di attrarre gli investimenti stranieri;

preliminarmente, desta preoccupazione la grave carenza del personale della magistratura ordinaria, dei giudici di pace – che rischia di paralizzare la giustizia di prossimità, alla luce dei nuovi dati forniti dall’O.C.F. a novembre 2024, secondo cui i Giudici di Pace in funzione giudicante in servizio sono il 33 per cento di quelli previsti dalla pianta organica, mentre negli uffici con pianta organica superiore alle 50 unità, i giudici in servizio sono solo il 20,8 per cento, come quella di Torino dove solo 7 dei 139 magistrati in pianta organica sono attivi. Si riscontrano altresì difetti e interruzioni di servizio nella piattaforma telematica, carenze nella connessione internet, ritardi nella gestione delle cause civili di oltre quattro mesi, depositi di sentenze in cronico ritardo – e del personale amministrativo della giustizia. Siamo, infatti, di fronte ad una situazione di scopertura dell’organico magistratuale senza precedenti: circa 1.500 unità su 10.900;

sotto altro profilo, si stigmatizza come – contrariamente a quanto dichiarato nel Piano, che si limita a richiamare l’impegno del Governo rispetto alla riorganizzazione delle strutture amministrative, alla pianificazione dei posti di servizio, alla razionalizzazione del personale negli istituti penitenziari e all’adeguamento degli impianti di videosorveglianza; nonché all’efficientamento energetico e il miglioramento tecnologico delle strutture penitenziarie tramite interventi di riqualificazione strutturale del patrimonio edilizio penitenziario e partenariato pubblico-privato per ridurre i costi di fornitura – nulla di concreto e risolutivo sia stato ancora disposto per fronteggiare il gravissimo dilagare dei suicidi negli istituti penitenziari: nonostante l’approvazione del decreto-legge Carceri sia avvenuta nello scorso agosto 2024, è innegabile che il nostro Paese stia attraversando una gravissima crisi del sistema penitenziario, esasperata dalle critiche condizioni delle strutture e dal sovraffollamento degli istituti penitenziari – con un drammatico record di 85 suicidi registrato nel 2024 e 22 solo nel 2025 ed una popolazione carceraria progressivamente aumentata da 54.000 a oltre 61.500 detenuti;

nonostante l’indice di sovraffollamento dei penitenziari italiani sia ancora cresciuto esponenzialmente, con una capienza regolamentare di 48.000 posti, da quanto emerge dallo stato di previsione del Ministero della giustizia allegato alla Legge di Bilancio (Tabella n. 5) approvato dal Governo, il Programma Amministrazione penitenziaria presenta uno stanziamento per il 2025 di 3.408,8 milioni. La manovra finanziaria ha, quindi, inciso su questo programma con un decremento della dotazione di 50,9 milioni, derivante per 32,1 milioni da definanziamenti di spesa e per 18,8 milioni dagli effetti finanziari determinati dalla Sezione I del disegno di legge di bilancio. Tale decremento si concentra soprattutto nell’azione «Realizzazione di nuove infrastrutture, potenziamento e ristrutturazione nell’ambito dell’edilizia carceraria». Si segnala inoltre che l’azione «Accoglienza, trattamento penitenziario e politiche di reinserimento delle persone sottoposte a misure giudiziarie», è interessata da un definanziamento di 2,8 milioni nell’ambito della Sezione II;

del pari, non sono state destinate adeguate risorse per far fronte alla situazione del personale di Polizia penitenziaria, che presenta gravissime carenze, a cui occorre fare fronte con investimenti massivi, considerando, altresì, le gravi ripercussioni da ciò derivanti, sia in termini di condizioni di impiego dei lavoratori e di situazioni di stress correlato, che in termini di sicurezza all’interno degli istituti penitenziari;

riguardo al settore dei trasporti:

alcuni cantieri inseriti nell’elenco delle opere del PNRR, alla luce dell’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione, specie dell’acciaio, hanno registrato in taluni casi un aumento esponenziale dei costi, il che, in assenza di efficaci politiche compensative, ha reso più difficile non solo la conclusione di quelle iniziate ma anche l’avvio delle gare per nuove opere;

le nuove politiche protezionistiche e l’applicazione di dazi commerciali avranno un impatto determinante sulle merci, come rilevato recentemente da Conftrasporto, che ha lanciato recentemente l’allarme sul fronte della logistica, del trasporto delle merci via mare e delle ricadute che i dazi possono avere sui porti italiani. Un dato che i tecnici di Conftrasporto ricavano sulla base dell’elaborazione dei numeri che riguardano l’export verso gli Usa è che il 60 per cento (in valore) e il 90 per cento in volumi dei circa 65 miliardi di export verso gli Usa si muove via mare;

Svimez stima un effetto diretto sui dazi pari a circa 6 miliardi di euro, con conseguente riduzione di merce trasportata, solo via mare, per oltre 3 miliardi e mezzo di euro e una decina di porti commerciali esposti a rilevanti danni economici;

è necessario che il Governo riveda gli assunti fin qui delineati e, in particolare, sostenga le amministrazioni qualora i cantieri in essere, con particolare riguardo alle infrastrutture di trasporto, abbiano dei costi maggiorati a causa dell’aumento del costo dei materiali valutando una necessaria ed urgente redistribuzione dei fondi PNRR al fine di completare le opere nel tempo richiesto senza alcuna distrazione di fondi per politiche belliciste;

fondamentale risulta inoltre, nell’attesa di valutare le azioni del Governo americano in tema di dazi commerciali, pianificare per tempo una politica di sostegno alla filiera logistica, alla portualità italiana e a tutto il suo indotto, ad oggi non nota;

alla luce della crisi in atto si ritiene urgente interrompere immediatamente l’iter per la progettazione del Ponte sullo Stretto di Messina nonché lo sperpero di ulteriori fondi – stanziati con l’ultima legge di bilancio – per il completamento degli interventi relativi al nuovo collegamento ferroviario Torino- Lione, impegnando invece maggiori risorse a sostegno di un sempre più efficace ed efficiente trasporto pubblico locale, stabilizzando anche la misura del cd. bonus trasporti, che in un’epoca di stagflazione, rappresenta un sostegno diretto alle famiglie e ai lavoratori;

è altresì necessario rivedere le politiche introdotte nell’ultima legge di bilancio sull’aumento delle tasse di imbarco per voli extra UE, considerata la rilevanza del trasporto aereo per l’economia italiana e per l’impatto diretto con il turismo che ad oggi rappresenta una risorsa certa ed insostituibile;

sarebbe invece auspicabile continuare a investire nel green new deal, quale volano della politica economica, scongiurando che la guerra commerciale in corso rappresenti una giustificazione per affossare ideologicamente le politiche di sostenibilità sociale e ambientale con particolare riguardo al settore dei trasporti urbani e alla qualità dell’aria;

quanto al settore dell’istruzione e dell’educazione:

nel DFP, come nei provvedimenti sino ad ora adottati da questo Governo, quali la filiera formativa tecnico-professionale, il liceo del Made in Italy e la riforma del voto in condotta, e in quelli annunciati, come le nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di formazione, emerge chiaramente l’esigenza non solo di subordinare i desideri educativi delle giovani generazioni ai bisogni contingenti provenienti esclusivamente dal mondo produttivo, ma anche quella di reinterpretare le funzioni dell’intero sistema scolastico in chiave ideologica, condizionandone le finalità educative senza un reale coinvolgimento della comunità scolastica e ricorrendo ad espedienti che minano il diritto di espressione, favorendo, altresì, politiche di spesa indirizzate verso il settore privato, a discapito del sistema pubblico d’istruzione. Inoltre, si specifica come una delle politiche chiave del PNRR in materia di istruzione e formazione, la realizzazione del piano asili nido e scuole dell’infanzia, sia fortemente in ritardo rispetto a quanto indicato dal cronoprogramma, con una spesa effettiva del 25,2 per cento rispetto al totale delle risorse stanziate, già fortemente ridimensionate nella revisione dell’8 dicembre 2023. Un’incertezza che permane e che mette a serio rischio il conseguimento dell’obiettivo sia in termini quantitativi, sia temporali;

quanto al settore dell’università e della ricerca, le politiche evidenziate nel documento, come la riforma del sistema reclutamento e organizzazione dell’università, vanno nella direzione opposta a quella auspicata: nonostante la necessità di investimenti, infatti, il sistema universitario statale ha subito una drastica riduzione di finanziamenti, con tagli significativi al Fondo di finanziamento ordinario in un quadro europeo che colloca l’Italia tra gli ultimi posti in termini di percentuale di laureati sugli occupati. A ciò si aggiungono riforme come quella del pre-ruolo, che introduce ulteriori figure precarie e ridimensiona il più tutelante contratto di ricerca, e quella del sistema di accesso ai corsi di laurea magistrale in Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria e medicina veterinaria, che creerà ulteriori barriere d’ingresso e peggiorerà la qualità formativa a causa, ancora una volta, dell’assenza di risorse. L’assenza di investimenti in settori cruciali per lo sviluppo del Paese si riflette anche nella mancanza di politiche attive rivolte ai giovani e nelle difficoltà a garantire loro il diritto allo studio, come dimostrato dal rischio concreto di non riuscire a raggiungere il target (rimodulato) dei 60.000 nuovi posti letto per studenti universitari fuori sede entro il 2026, con la drammatica conseguenza che, in un Paese con la popolazione sempre più vecchia e un bassissimo tasso di fecondità (1,18 nel 2024), l’emigrazione dei giovani in cerca di una qualità della vita migliore continua ad aumentare: nell’ultimo anno, secondo il rapporto ISTAT, sono 113 mila i giovani espatriati, di cui 93.410 tra i 18 e i 39 anni e quasi ventimila sotto i 17 anni;

il settore della cultura, nonostante lo straordinario patrimonio artistico presente sul nostro territorio, continua a rimanere assente dalle priorità politiche dell’Esecutivo. Il recente provvedimento approvato, al di là delle finalità altisonanti, rischia di rimanere lettera morta se non accompagnato da uno sforzo in termini economici e finanziari, così come la salvaguardia dei beni culturali e patrimoniali non può esistere senza la tutela delle professionalità e dei lavoratori che ogni giorno contribuiscono a valorizzare il nostro immenso patrimonio culturale. Tuttavia, la programmazione del Governo non prevede politiche di superamento del precariato ed investimenti, come l’attuazione della riforma del codice dello spettacolo che sta lasciando interi settori senza risorse, tra i quali il mondo della danza, dei corpi di ballo e quello del cinema, quest’ultimo fortemente destabilizzato anche dal blocco del tax credit, né politiche di rafforzamento delle industrie culturali e creative, le quali continuano a produrre valore aggiunto ed occupazione nonostante la loro assenza tra le priorità dell’Esecutivo;

a ciò si aggiungono le disposizioni approvate dalla recente legge di bilancio, le quali, per il settore della conoscenza, hanno destinato tagli e riduzioni del personale sia nel mondo dell’università e della ricerca, sia nel settore della scuola, che vedrà, nel successivo anno scolastico per i docenti e in quello dopo per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, una riduzione del contingente rispettivamente di 5.660 e di 2.174 unità;

in merito alla riforma P.A.:

con particolare riguardo alla «riduzione dei costi burocratici e del divario rispetto alla frontiera efficiente» indicata nel DFP, esso si rivela un assunto apodittico che non appare sostenuto da dati e risultati concreti, anche da parte degli utenti, né confortato dalla conoscenza in ordine alle rilevazioni dell’eventuale monitoraggio svolto;

in ordine al rafforzamento della capacità amministrativa e del ricambio generazionale delle pubbliche amministrazioni non poche norme adottate o non adottate dal Governo in carica – l’accensione di contratti a tempo determinato di durata anche superiore ai 36 mesi in deroga alla disciplina vigente, quest’ultima, oltre ad alimentare il precariato ci espone ad infrazioni in sede europea, la deroga al divieto di incarichi dirigenziali a lavoratori pubblici in quiescenza, la possibilità di ridurre ad una sola prova scritta le procedure di reclutamento, l’assenza di misure di riqualificazione dei profili professionali, le innumerevoli mini-procedure concorsuali autorizzate in spregio allo scorrimento di graduatorie vigenti, per effetto di una recente interpretazione autentica adottata con decreto-legge – appaiono aggravare le annose criticità in cui versano le pubbliche amministrazioni, né appaiono soddisfare i principi di efficacia, efficienza ed economicità;

il paragrafo dedicato alla pubblica amministrazione è declinato, anche in questa occasione, al pari dell’omologo documento dell’anno passato, al futuro, su ciò che sarà adottato e approntato, che corrisponde esattamente a ciò che avrebbe dovuto essere già fatto da tempo – in particolare con riguardo agli investimenti e alle riforme attuative del PNRR;

il DFP non menziona azioni specifiche né interventi di programmazione e ottimizzazione delle politiche nazionali per il prossimo triennio a sostegno e in attuazione dei tre obiettivi trasversali del PNRR – la parità generazionale, la parità di genere e la coesione territoriale, quest’ultima posta vieppiù a rischio dalla ventilata sottrazione di fondi;

risalta l’assenza di disposizioni che possano favorire l’emancipazione e l’autonomia dei giovani – le norme vantate dal Governo in carica a decorrere dall’avvio del mandato sono esclusivamente proroghe, in alcuni casi monche, quale è il caso dei mutui per la prima casa acquistata da giovani under 36, privati dell’esenzione dalle relative imposte – di misure adottate dai Governi immediatamente precedenti;

la crisi demografica dovrebbe rappresentare una delle principali fonti di preoccupazione per i Governi a causa del suo impatto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e sul finanziamento del sistema di welfare. Ciò vale per tutti i Paesi avanzati, ma, in particolare per le condizioni economico-finanziarie in cui versa il nostro Paese – debito pubblico sconfortante, in particolare nel medio/lungo periodo, crescita debole, spesa per investimenti in forte calo, spesa in aumento – a fronte di una tendenza demografica non solo allarmante, ma, considerando i dati menzionati, la peggiore tra i principali Paesi UE;

il DFP – al pari delle politiche finora adottate o previste per il futuro dal Governo in carica – non assume la sostenibilità del grave impatto economico, sociale dell’inverno demografico in cui versa il nostro Paese, incastrato nel combinato disposto della scarsità di nascite e l’espatrio di cittadini italiani, soprattutto giovani, alla ricerca di opportunità e condizioni migliori, soprattutto in termini di impiego, che rischia di arrestare le possibilità di crescita del Paese in assenza di contro-misure verso un declino irreversibile;

in relazione al settore agricolo ed agroalimentare:

oltre alla necessaria difesa del comparto dovuta alla recente introduzione dei dazi da parte degli Stati Uniti, l’obiettivo del prossimo futuro è quello del raggiungimento di produzioni sostenibili, economicamente, socialmente e ambientalmente, che non compromettano però la redditività degli agricoltori. Ciò sarà possibile solo attraverso politiche che accompagnino l’agricoltore e il produttore attraverso questa complessa ma certamente realizzabile transizione ecologica: dall’investimento nelle agricolture di precisione e nelle nuove tecnologie applicate all’agricoltura, al potenziamento delle misure di gestione del rischio, alla valorizzazione di giovani generazioni e donne che si avvicinano al mondo agricolo;

ritenuto altresì che:

complessivamente, i nuovi parametri di base contenuti nel Patto – in cui sono rimaste immutate le soglie di riferimento del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL e del 60 per cento nel rapporto debito/PIL – rischiano di spingere non solo l’Italia, ma l’intera Unione, in recessione, dal momento che comporteranno pesanti conseguenze sulla riduzione degli investimenti; in ragione delle modifiche, ritenute peggiorative, apportate nel corso dei negoziati alla proposta di riforma che hanno dato seguito a regole più severe sul deficit e a un controllo più restrittivo sulla spesa pubblica degli Stati membri, il Movimento 5 Stelle, in sede parlamentare, a livello nazionale ed europeo, si è sempre espresso, coerentemente con gli indirizzi politici a più riprese manifestati, in maniera contraria alla suddetta proposta di riforma. La ferma contrarietà del Movimento 5 Stelle alla riforma è stata ribadita con il voto del 23 aprile 2024 in sede di ultima plenaria del Parlamento europeo prima delle elezioni europee, unica forza politica italiana ad essersi espressa contro nella votazione finale della proposta di regolamento sul «braccio preventivo» del Patto di Stabilità e sulle altre due proposte relative al regolamento sul «braccio correttivo» e alla direttiva sui quadri di bilancio nazionali;

anche alla luce del grave peggioramento del contesto macroeconomico internazionale, si ravvisa la necessità di rinegoziare l’accordo al fine, da una parte, di evitare nuovi vincoli e tagli agli investimenti per l’Italia e, dall’altra, di includervi, tra i fattori da considerarsi rilevanti, anche le spese in investimenti strategici — tra i quali gli investimenti destinati all’istruzione, quelli in ambito di spesa sanitaria, gli investimenti green, quelli destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici europei che sono ostacolati dall’attuale quadro di bilancio;

è necessario prevenire politiche di austerità, preservare la qualità e il livello di spesa pubblica, evitare pesanti tagli allo stato sociale e sostenere una crescita inclusiva e sostenibile di medio e lungo termine;

alla luce di tutto quanto superiormente esposto,

impegna il Governo:

   1) in materia di rinnovata governance economica europea:

a) ad intraprendere ogni iniziativa utile, in sede europea, finalizzata a rinegoziare l’accordo, al fine, da una parte, di evitare nuovi vincoli e tagli agli investimenti per l’Italia, e dall’altra, di includervi, tra i fattori da considerarsi rilevanti, anche le spese in investimenti strategici – tra i quali gli investimenti destinati all’istruzione, quelli in ambito di spesa sanitaria, gli investimenti green quelli destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici europei che sono ostacolati dall’attuale quadro di bilancio;

b) a promuovere nelle sedi opportune percorsi di rientro dal debito realistici che tengano conto delle specificità degli Stati membri e del loro quadro macroeconomico complessivo, opponendosi a qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito pubblico, a sostegno di un quadro di bilancio più favorevole alla crescita economica, finalizzata a rendere le norme sul debito più semplici, più applicabili e concepite per sostenere le priorità politiche per la doppia transizione verde e digitale, con adeguati investimenti pubblici e privati;

c) ad intraprendere inoltre tutte le opportune iniziative volte a adattare alla nuova architettura della politica di bilancio europea, nella prospettiva di una rinnovata governance UE ispirata ai criteri anzidetti, gli elementi di successo dell’esperienza del dispositivo di ripresa e resilienza, trasformando il programma NGEU in uno strumento permanente, da finanziare attraverso il bilancio europeo;

d) in attesa della revisione del codice di condotta sull’attuazione del patto di stabilità e crescita e sulla riforma della normativa di contabilità e finanza pubblica, volta a modificare le disposizioni della legge 24 dicembre 2012, n. 243, e della legge 31 dicembre 2009, n. 196, a preservare e garantire, sotto il profilo qualitativo e quantitativo ai fini delle conseguenti deliberazioni parlamentari, i contenuti informativi attualmente previsti per il Documento di economia e finanza e per la Nota di aggiornamento al medesimo documento ai sensi dell’articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196;

2) in materia di difesa:

a) a non proseguire nel sostegno del Piano di riarmo europeo «ReArm Europe/Readiness 2030»;

b) al fine di recuperare i valori fondanti dell’Unione europea, a sostenere nelle opportune sedi europee la sostituzione integrale del «ReArm Europe/Readiness 2030» con un Piano di rilancio e sostegno agli investimenti che promuovano la competitività, gli obiettivi a lungo termine e le priorità politiche dell’Unione europea quali: spesa sanitaria, sostegno alle filiere produttive e industriali, incentivi all’occupazione, istruzione, investimenti green e beni pubblici europei, per rendere l’economia dell’Unione più equa, competitiva, sicura e sostenibile;

c) ad opporsi, altresì, in tutte le competenti sedi istituzionali nazionali ed europee, alla possibilità di reindirizzare i fondi della politica di coesione verso le spese relative alla difesa, distogliendo tali fondi dalla finalità del rafforzamento della coesione economico e sociale, in quanto pilastro fondamentale su cui poggia la programmazione e il contenuto dell’intero Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha tra i suoi obiettivi proprio il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud, come priorità trasversale a tutte le missioni del Piano;

c-bis) a difendere in tutte le sedi istituzionali, nazionali ed europee, la necessità di rispettare il principio trasversale di «non nuocere» alla coesione, affinché nessuna azione o politica intrapresa a livello nazionale ed europeo sia di ostacolo al processo di convergenza o contribuisca ad aumentare le disparità regionali, assicurando altresì, in un’ottica di sinergia e complementarietà, il rispetto dei principi fondamentali della coesione in termini di partenariato, governance multilivello e programmazione dei finanziamenti.

d) a adottare urgentemente le opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte a una graduale diminuzione delle spese per i sistemi di armamento, che insistono sul bilancio dello Stato, al fine di non distrarre ingenti risorse che potrebbero contribuire al sostegno di misure di carattere sociale;

3) in materia di dazi commerciali:

a) a realizzare, al fine della tutela del mercato unico e dell’economia europea, tutte le necessarie, tempestive iniziative affinché l’Europa dia una risposta efficace e proporzionata all’apposizione di dazi da parte degli Stati Uniti, esplorando al contempo l’apertura dell’Italia a nuovi mercati in direzione di una maggiore diversificazione degli scambi commerciali;

b) a valutare, in maniera particolare, le conseguenze dei dazi sul settore agroalimentare italiano e soprattutto sulle più importanti eccellenze del made in Italy, non sottovalutando la portata di questa «tassa» ma al contrario cercando la strada migliore per garantire concreto sostegno ai comparti, anche attraverso l’istituzione di fondi dedicati, nonché ponendo in essere azioni volte a scongiurare i rischi di imitazione e contraffazione dei prodotti ai quali l’introduzione dei dazi potrebbe esporre maggiormente il settore agroalimentare;

4) in materia di attuazione del PNRR:

a) ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, al fine di garantire l’integrale, tempestivo ed efficiente utilizzo da parte dell’Italia dei fondi europei del programma NextgenerationEU, come previsto da Piano nazionale di ripresa e resilienza e Piano nazionale complementare in tempi celeri e rispettosi del cronoprogramma, in particolare assicurando prioritariamente il raggiungimento di obiettivi trasversali, come la sostenibilità economica, sociale e ambientale degli interventi, incluso il rispetto delle clausole in materia di pari opportunità e inclusione lavorativa dei giovani e delle donne, nonché la relativa attuazione nell’ambito delle transizioni digitali e green e del riparto bilanciato delle risorse con la destinazione minima del 40 per cento delle stesse al Sud;

b) a informare costantemente il Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR e sugli eventuali aggiornamenti dello stesso, sostenendo anche, a tal fine e nelle opportune sedi istituzionali, l’iniziativa parlamentare inerente all’istituzione di una commissione per l’indirizzo, la vigilanza e il controllo dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dei Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR;

c) a procedere con l’urgenza prevista dal caso, in ottemperanza all’articolo 2, comma 6-bis del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, alla pubblicazione della Quarta relazione istruttoria sul rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del Mezzogiorno di almeno il 40 per cento delle risorse territorialmente allocabili, al fine di verificare l’effettiva attuazione del predetto obiettivo in termini di riequilibrio territoriale e di rilancio del Sud come priorità trasversale a tutte le missioni del Piano e a scongiurare eventuali tagli ai progetti destinati alle regioni meridionali conseguenti alla revisione del PNRR;

5) in materia di salute e politiche sociali:

a) a delineare un programma idoneo a tutelare e salvaguardare il Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico attraverso un recupero integrale di tutte le risorse economiche necessarie, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza e soddisfacendo in modo più efficace le esigenze di pianificazione e di organizzazione nel rispetto dei princìpi di equità, di solidarietà e di universalismo, anche prevedendo che l’incidenza della spesa sanitaria sul prodotto interno lordo (PIL) sia in linea con i Paesi del G7 e che non sia, comunque, inferiore alla media europea;

b) a superare la sperequazione esistente sul territorio nazionale, introducendo indicatori ambientali, socioeconomici e culturali nonché l’indice di deprivazione economica che tenga conto delle carenze strutturali presenti nelle regioni o nelle aree territoriali di ciascuna regione che incidono sui costi delle prestazioni sanitarie e sottraendo la salute da qualsiasi progetto volto a conferire ulteriori forme di autonomia alle realtà regionali;

c) ad assicurare un’azione strutturale di incremento delle risorse da destinare al funzionamento del Servizio sanitario nazionale, sia in termini di risorse finanziarie che professionali, con particolare riferimento agli investimenti necessari per il personale sanitario – anche programmando e ridefinendo percorsi formativi in relazione ai fabbisogni futuri di professionalità mediche e sanitarie e ai fabbisogni di assistenza alla popolazione – rimuovendone il tetto di spesa per le assunzioni a tempo indeterminato, al finanziamento dei cicli di specializzazione, della domiciliarità, della medicina territoriale, al rafforzamento della governance dei distretti socio-sanitari nonché al potenziamento dell’organico dei consultori, assicurando la presenza di personale non obiettore di coscienza, anche al fine di garantire un accesso sicuro alle procedure per l’interruzione volontaria di gravidanza;

d) a provvedere al potenziamento del SSN e al completamento degli investimenti del PNRR per rafforzare le cure primarie, velocizzare le prestazioni e migliorare l’assistenza territoriale, assicurando che le risorse destinate nell’ambito del PNRR non sia distratte o sottratte in alcun modo e in particolare non siano trasferite per finalità di riarmo;

e) a dare continuità alla tendenza di crescita del personale medico e sanitario registrato dagli anni dal 2020 al 2022, assicurando un piano assunzionale che sia efficace anche nell’affrontare la rilevante questione della crescente componente di ultrasessantenni nel SSN, desistendo da interventi che finiscono per sovraccaricare ripetutamente il personale sanitario in servizio;

f) a rivedere il piano per la riduzione delle liste di attesa, per assicurare un’assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera tempestiva e di qualità, contemplando più efficaci interventi, anche penalizzanti, per le regioni e per le strutture sanitarie che non assicurano il corretto equilibrio dell’attività istituzionale e dell’attività intramoenia e che non garantiscono la trasparenza e l’unicità dei sistemi di prenotazione;

g) a provvedere ad un effettivo potenziamento dell’assistenza domiciliare per gli interventi più intensivi, continuativi e multidisciplinari, risolvendo la carenza del servizio domiciliare rivolto alla presa in carico della non autosufficienza e della disabilità, dando sollecita attuazione tanto della delega sulla disabilità quanto quella sulle persone anziane e potenziando le tutele per i caregiver;

h) a riordinare gli strumenti per la sanità integrativa e i fondi sanitari con l’unico obiettivo di salvaguardare la sanità pubblica e i presidi sociali pubblici, assicurando che la sanità integrativa e i fondi sanitari intervengano solo ed esclusivamente sulle prestazioni sanitarie e sociali non incluse nei LEA o nei LEP, assicurando in ogni caso trasparenza, risoluzione di ogni conflitto d’interesse nella gestione di fondi e polizze sanitarie ed eliminando ogni forma di beneficio fiscale a soluzioni che, anche indirettamente (es. banche e assicurazioni), comportino lucri o speculazione;

i) a rafforzare l’assegno unico, prima misura universalistica e progressiva a tutela e a sostegno delle famiglie, aumentando gli importi previsti, ampliando la platea dei beneficiari e rafforzando le clausole di salvaguardia;

j) a introdurre una tassazione agevolata per il secondo percettore di reddito, al fine di incrementare il tasso di occupazione femminile; a adottare misure dirette ad ampliare i congedi parentali, incrementandone il trattamento economico e la fruibilità da parte di entrambi i genitori; a rafforzare l’indennità di maternità e di paternità, rendendo gli istituti paritari e remunerati al 100 per cento;

k) ad assicurare la realizzazione degli asili nido, come previsto dal PNRR, e il loro buon funzionamento attraverso un’adeguata dotazione di personale, con l’obiettivo di aumentare l’offerta di lavoro, dare impulso all’occupazione femminile, far emergere il lavoro nero e favorire il reinserimento nel mondo del lavoro dopo il congedo di maternità obbligatorio;

l) a adottare le iniziative necessarie a risolvere le numerose problematiche di carattere sociale, rafforzando le misure per affrontare la povertà alimentare e per ridurre il tasso di persone a rischio di povertà o esclusione sociale che resta ancora superiore alla media dell’Unione europea;

6) in materia di istruzione e cultura:

a) a reperire adeguate risorse da destinare all’incremento dei finanziamenti dei settori pubblici dell’istruzione, dell’università e della ricerca, al fine di portare gli investimenti in istruzione, educazione e formazione al 5 per cento del PIL come nel resto dei paesi OCSE e di rimettere al centro delle politiche di spesa due ambiti fondamentali per lo sviluppo e la crescita del nostro Paese;

b) a rivedere interamente le politiche di riduzione del personale e le disposizioni concernenti i tagli lineari dei contingenti delle professionalità della scuola, dell’università e della cultura, reperendo, altresì, le risorse economiche necessarie per incrementare i salari dei lavoratori di tutti i settori della conoscenza e per stabilizzare il personale precario operante nei medesimi settori;

c) ad attuare urgentemente la riforma del codice dello spettacolo, reperendo le risorse necessarie da destinare ai vari settori coinvolti, con particolare riferimento al mondo della danza e dei corpi di ballo, afflitti dal precariato, e al settore del cinema, paralizzato dal blocco del tax credit e sottoposto a continui definanziamenti;

d) a adottare politiche di investimento e rafforzamento delle industrie culturali e creative, al fine di potenziare uno dei settori economici che produce maggior valore aggiunto ed occupazione per la crescita e lo sviluppo del Paese;

e) ad adottare tutte le iniziative necessarie volte a velocizzare l’attuazione degli obiettivi della Missione 4 «Istruzione e Ricerca» del PNRR, al fine di scongiurare le ipotesi di rimodulazioni di obiettivi e possibili definanziamenti, con particolare riguardo alla realizzazione di nuove residenze universitarie, sempre più fondamentali nel contrasto all’aumento del costo degli affitti per gli studenti fuori sede, anche incrementando adeguatamente il fondo affitti studenti universitari, nonché alla realizzazione di nuovi posti negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia;

f) a adottare urgentemente politiche rivolte alle giovani generazioni, garantendo incentivi adeguati all’accesso alla pratica sportiva, alla cultura, all’istruzione e alla formazione, al fine di invertire la tendenza dei giovani ad espatriare alla ricerca di un futuro migliore;

g) ad intervenire urgentemente per sostenere le famiglie in difficoltà a causa dell’inflazione e del caro energia nell’acquisto di libri e materiali scolastici, approvando il prima possibile la proposta di legge concernente l’istituzione di una dote educativa da destinare a tutte le alunne e alunni, studentesse e studenti del primo e del secondo ciclo di istruzione, nonché, al fine di garantire il diritto allo studio in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, combattere la povertà educativa e garantire un’istruzione di qualità, ad adottare misure volte a contrastare l’eccessivo affollamento delle classi e a rivedere le disposizioni concernenti il dimensionamento scolastico e le nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di formazione, garantendo, altresì, un reale coinvolgimento delle comunità di settore nell’attuazione di tali politiche, senza ricorrere a stratagemmi finalizzati a reprimere il dissenso;

7) in materia di lavoro;

a) a ripristinare il Reddito di cittadinanza, prevedendo il rafforzamento e la riorganizzazione delle politiche pubbliche volte a contrastare la povertà e l’esclusione sociale, potenziando la componente di servizi alla persona e l’attivazione di un progetto personalizzato di inclusione sociale e lavorativa per l’effettivo superamento della condizione di povertà;

b) a dare piena e tempestiva attuazione, con la massima sollecitudine, ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento ai lavoratori e alle lavoratrici di ciascun settore economico di un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, assicurando in ogni caso livelli retributivi in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, anche attraverso l’introduzione del salario minimo legale, corrispondente a un trattamento economico minimo orario non inferiore a 9 euro, aggiornato annualmente per tenere conto, in particolare, dell’aumento della produttività e dell’inflazione;

c) per quanto di competenza e con il pieno coinvolgimento delle parti sociali, a definire una disciplina normativa di sostegno per la regolamentazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro che restituisca certezza nelle relazioni industriali e superi la proliferazione di sigle di comodo, così come la moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da organizzazioni che non hanno alcuna rappresentatività reale, in particolare valorizzando i contratti collettivi «leader», ossia quelli siglati dai soggetti comparativamente più rappresentativi sul Piano nazionale che presentino maggiore connessione, in senso qualitativo, all’attività produttiva del luogo di lavoro, nonché definendo specifici criteri atti a misurare il grado di rappresentatività sia delle organizzazioni sindacali che datoriali e tenendo in debita considerazione i criteri autoprodotti dall’ordinamento intersindacale negli accordi interconfederali stipulati dalle confederazioni maggiormente rappresentative;

d) a favorire, per quanto di competenza, l’adozione di misure volte a promuovere la sperimentazione della riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario;

e) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, anche attraverso la realizzazione di un Piano straordinario pluriennale per il lavoro, che metta al centro la buona e stabile occupazione, il contrasto a ogni forma di precarietà e l’incremento della partecipazione al lavoro, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, così come al Mezzogiorno e alle aree interne e coerente con la transizione e conversione ecologica;

f) a rafforzare le politiche attive del lavoro, anche attraverso il potenziamento del fondo nuove competenze; a contrastare le crescenti disparità generazionali, di genere e territoriali, in particolare con interventi volti a favorire l’inserimento lavorativo dei giovani e delle donne; ad assicurare la lotta al lavoro sommerso; a contrastare il precariato, rafforzando gli incentivi volti a favorire le assunzioni a tempo indeterminato, nonché collegando strettamente le tipologie contrattuali a tempo determinato a specifiche causali; ad abolire gli stage extra curriculari in forma gratuita;

g) a favorire l’evoluzione del sistema previdenziale mettendo al centro le donne, i giovani e chi svolge lavori gravosi, prevedendo l’aggiornamento e l’ampliamento della platea dei lavori usuranti, garantendo una prospettiva pensionistica sostenibile e dignitosa;

h) al fine di contrastare gli effetti negativi delle tensioni inflazionistiche, nel pieno ed effettivo rispetto del principio costituzionale di adeguatezza dei trattamenti previdenziali, a adottare altresì le necessarie iniziative volte ad aumentare le pensioni minime, anche attraverso la riduzione delle imposte sulle pensioni più basse;

i) a completare il sistema di tutele in favore dei lavoratori autonomi, avviato con l’introduzione dell’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa, attraverso l’estensione delle misure già previste per i lavoratori dipendenti;

j) a adottare, in linea con le esperienze più avanzate in Europa, le opportune misure per assicurare l’estensione in termini di durata, nonché di copertura del congedo di paternità obbligatorio, prevedendo altresì che il congedo di maternità e il congedo di paternità godano di una copertura retributiva pari al 100 per cento, in modo da ridurre il disincentivo economico all’utilizzo dei congedi parentali per i padri;

k) ad avviare un serio confronto con le parti sociali realmente rappresentative volto a definire una nuova strategia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, da implementare annualmente favorendo il pieno coinvolgimento del Parlamento, assicurando, nelle more, l’adozione di immediate misure volte ad affrontare le principali criticità, quali l’equiparazione delle tutele disposte nella disciplina degli appalti pubblici anche agli appalti tra privati, nonché l’eliminazione degli appalti a cascata e delle gare al massimo ribasso;

l) a riconsiderare ogni ipotesi di privatizzazione in atto di aziende controllate e/o partecipate dallo Stato, che, oltre a rappresentare la perdita di asset strategici per il Paese, spesso determinano, come accaduto in passato, fenomeni di precarizzazione del lavoro e riduzione dei livelli occupazionali;

m) a ripristinare il lavoro agile quantomeno in favore dei lavoratori fragili per rendere pieno e garantito il diritto al lavoro;

8) in materia di politiche abitative:

a) a stanziare adeguate risorse per fronteggiare il grave e diffuso disagio abitativo, attraverso la revisione e il rifinanziamento del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e del Fondo per la morosità incolpevole, nonché a prevedere misure di sostegno per far fronte alla maggiore spesa conseguente all’aumento dei tassi di interesse sui mutui in favore di coloro che versano in situazione di obiettiva difficoltà, e a incrementare l’offerta di alloggi a canone di locazione sociale mediante interventi di recupero e riqualificazione del patrimonio esistente nell’ambito di una adeguata programmazione nazionale pluriennale;

9) in materia di rafforzamento della sicurezza e controllo del territorio:

a) ad incrementare le risorse economiche sotto il profilo contrattuale e stipendiale del comparto sicurezza nonché a potenziare i presìdi di sicurezza e i servizi di prevenzione e di controllo del territorio;

b) a istituire un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’interno volto a sostenere iniziative in materia di sicurezza urbana da parte dei comuni, con particolare riguardo alle assunzioni di ulteriore personale di Polizia municipale, prescindendo dagli equilibri di bilancio e dal cosiddetto «valore soglia», al potenziamento delle sale operative nonché all’installazione e al potenziamento dei sistemi di videosorveglianza;

10) in materia di giustizia:

a) a potenziare gli strumenti di contrasto alle mafie già esistenti, a salvaguardare e rafforzare il regime speciale di cui all’articolo 41-bis Ordinamento Penitenziario;

b) a investire nella lotta alla corruzione, in particolare attraverso l’adozione di misure volte a garantire maggiore trasparenza e controllo dei fondi del PNRR; a ripristinare le fattispecie penali che costituiscono capisaldi nella lotta alla corruzione, tra cui l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze illecite, nonché ad intraprendere tutte le necessarie iniziative, nelle opportune sedi istituzionali nazionali ed europee, volte ad una rapida approvazione della proposta di direttiva UE 2023/0135 (COD) in materia di lotta contro la corruzione;

c) a proseguire nella politica di contrasto alle agromafie ed ecomafie, tutelando il diritto alla salute attraverso un efficace sistema di repressione delle attività della criminalità organizzata e dei reati ambientali in generale;

d) ad intervenire con gli investimenti necessari per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza sulle donne anche garantendo la continuità dei finanziamenti alle attività e al funzionamento dei centri e delle reti antiviolenza territoriali;

e) a potenziare l’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria, al fine di ovviare alla grave scopertura di organico, così da rendere maggiormente efficienti gli istituti penitenziari e garantire migliori condizioni di lavoro al personale addetto alla sicurezza all’interno delle carceri; a prevedere risorse aggiuntive per l’assunzione straordinaria di personale nei ruoli di funzionario giuridico-pedagogico e di funzionario mediatore culturale considerando, altresì il ruolo fondamentale che questi ultimi rivestono all’interno dell’ordinamento ai fini del reinserimento in società dei ristretti;

f) ad assumere iniziative specifiche per contrastare il grave sovraffollamento carcerario, incluso la realizzazione delle case di comunità di reinserimento sociale, ponendo un freno al dilagante e preoccupante fenomeno dei suicidi dei detenuti, anche attraverso la promozione e il sostegno di tutte le attività trattamentali, con particolare riguardo alla prosecuzione del finanziamento del Fondo per il sostegno delle attività teatrali negli istituti penitenziari, nonché percorsi formativi e culturali che favoriscano l’acquisizione di nuove competenze nell’ambito dei diversi mestieri;

g) a stanziare ulteriori risorse per consentire l’ampliamento della pianta organica della magistratura ordinaria di 1000 unità, al fine di avvicinare il rapporto magistrati-cittadini, dagli attuali 11 ogni 100.000 abitanti, alla media europea di 22;

h) in riferimento ad interventi in materia di edilizia giudiziaria, a riqualificare e potenziare il patrimonio immobiliare dell’amministrazione della giustizia in chiave ecologica e digitale, che si tratti di area facilmente accessibile e dotata di servizi e ambienti da adibire a nidi per l’infanzia, nell’attuazione delle politiche volte alla conciliazione tra vita familiare e professionale, con ricadute positive in termini di incremento dell’occupazione femminile e di effettività della parità nell’accesso alle professioni caratterizzanti il comparto giustizia;

i) ad incrementare le risorse destinate alle attività di intercettazione, nonché nel rispetto delle prerogative parlamentari, ad astenersi da qualsivoglia intervento – anche normativo – volto a restringerne l’utilizzo o depotenziarne l’efficacia come strumento di ricerca della prova determinante per l’attività investigativa ed indispensabile per contrastare le forme più insidiose di criminalità organizzata e dei fatti di corruzione, i cui effetti finali ricadono sull’utente, ovvero il cittadino;

l) ad investire adeguate risorse per rendere effettiva la transizione al digitale sia della giustizia penale – considerando che il Processo Penale Telematico, entrato ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2025, avrebbe dovuto rappresentare una svolta epocale per il sistema giudiziario italiano, ed invece, già dai primi giorni di operatività ha causato la paralisi di molti tribunali – sia del giudice di pace, alla luce soprattutto del gravissimo arretrato che non si riesce a smaltire a causa della scopertura dell’organico.

11) in materia di coesione territoriale, cooperazione e sviluppo:

a) a rafforzare le politiche per la riduzione dei divari territoriali, con particolare riferimento al Mezzogiorno, alle aree interne, ai territori montani e alle isole, nonché a prevedere, in favore degli enti territoriali, risorse dirette a contenere l’aumento dei prezzi dell’energia anche mediante l’utilizzo di flessibilità di bilancio, nonché a implementare il finanziamento per lo svolgimento delle funzioni fondamentali e servizi in favore dei cittadini;

b) a garantire il rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del Mezzogiorno di almeno il 40 per cento delle risorse territorialmente allocabili del PNRR nonché il vincolo di concentrazione delle risorse nelle regioni del Mezzogiorno previsto dal Fondo di sviluppo e coesione, al fine di mantenere l’obiettivo di riequilibrio territoriale quale elemento qualificante del Piano e consentire, nell’ottica dell’obiettivo della coesione territoriale, il pieno superamento delle disuguaglianze e dei divari territoriali a livello di macroaree e fra le regioni del Mezzogiorno;

12) in materia fiscale:

a) avviare una riduzione significativa e progressiva delle tasse per famiglie (soprattutto quelle a reddito medio-basso) e imprese, incentivando lavoro e partecipazione (giovani, donne, percettori di sostegno), garantendo la progressività del sistema tributario e la tassazione in base alla reale capacità contributiva;

b) intensificare la lotta all’evasione fiscale, stabilizzare il gettito (rinunciando a sanatorie) e basare il sistema tributario sui principi di «lealtà e liceità» come prerequisiti per semplificazioni e benefici;

c) razionalizzare i regimi fiscali alternativi, armonizzando deduzioni e detrazioni per diverse categorie di contribuenti, al fine di eliminare disparità di trattamento e garantire maggiore equità del sistema impositivo;

d) introdurre modalità alternative per usufruire delle agevolazioni fiscali (a partire da detrazioni e deduzioni per spese essenziali, soprattutto pagate elettronicamente), come rimborsi diretti o crediti in busta paga, per semplificare e rendere più chiara la percezione del beneficio fiscale;

e) introdurre meccanismi per compensare e redistribuire le maggiori entrate derivanti da consumi, capitale (speculazioni, eventi eccezionali) o dalla lotta all’evasione (inclusi i «giganti del web» e l’elusione internazionale), destinando tali maggiori entrate prioritariamente al contenimento degli effetti negativi sul potere d’acquisto delle famiglie;

13) in materia di trasporti:

a) a sostenere un robusto programma di incentivazione all’uso del trasporto pubblico nonché a sostenere l’attraversamento dinamico dello stretto di Messina migliorando la viabilità sulle due sponde e investendo sul naviglio, definanziando contestualmente il progetto di attraversamento stabile per mezzo del ponte, posto che nella legge di bilancio 2024 l’opera è stata quantificata con un indebitamento per lo Stato di 13 miliardi fino al 2032 e che nelle more dell’iter si era annunciata la riduzione dell’onere attraverso la partecipazione a bandi europei nonché attraverso finanziamenti di altri enti pubblici e privati di cui, tuttavia non si ha ancora certezza;

b) a sostenere le amministrazioni qualora i cantieri in essere, con particolare riguardo alle infrastrutture di trasporto, abbiano dei costi maggiorati a causa dell’aumento del costo dei materiali valutando una necessaria ed urgente redistribuzione dei fondi PNRR al fine di completare le opere nel tempo richiesto;

c) a scongiurare che, nell’attesa di valutare le azioni del Governo americano in tema di dazi commerciali, non si pianifichi per tempo una politica di sostegno alla filiera logistica, alla portualità italiana e a tutto il suo indotto;

d) alla luce della crisi in atto, a interrompere l’iter per la progettazione del Ponte sullo Stretto di Messina, lo sperpero delle risorse dei fondi di sviluppo e coesione destinati alla Calabria nonché gli ulteriori fondi stanziati con l’ultima legge di bilancio per il completamento degli interventi relativi al nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, dando priorità allo sviluppo dell’alta velocità calabrese e all’elettrificazione dell’intera tratta ferroviaria jonica nonché impegnando maggiori risorse a sostegno di un sempre più efficace ed efficiente trasporto pubblico locale, stabilizzando anche la misura del cd. bonus trasporti, che in un’epoca di stagflazione rappresenta un sostegno diretto alle famiglie e ai lavoratori;

e) a rivedere le politiche introdotte in legge di bilancio sull’aumento delle tasse di imbarco per voli extra UE, considerata la rilevanza del trasporto aereo per l’economia italiana e per l’impatto diretto con il turismo che ad oggi rappresenta una risorsa certa ed insostituibile;

14) in materia di Green New Deal e transizione ecologica:

a) a corredare i principali documenti di programmazione economica, come il Piano Strutturale di Bilancio, con adeguate valutazioni di impatto delle misure rispetto agli obiettivi clima ed energia in un quadro temporale pluriennale;

b) a rafforzare le politiche e le misure per la transizione ecologica, il contrasto alla crisi climatica ed il raggiungimento degli obiettivi di clima ed energia, in linea con le misure decise nell’ambito del Green New Deal europeo;

c) a perseguire, senza indugi, il raggiungimento dei target di decarbonizzazione al 2030 e di neutralità climatica al 2050, attraverso il pieno superamento della dipendenza del Paese da importazioni di combustibili fossili e l’incremento degli investimenti nelle fonti rinnovabili, accelerando il recepimento nell’ordinamento nazionale delle direttive Red III e «Case green» allo scopo di introdurre adeguate misure per aumentare l’efficienza energetica e la sicurezza sismica degli edifici, prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con prestazioni energetiche basse, ivi compresi gli edifici pubblici, in linea con gli indirizzi europei, anche attraverso la previsione di misure a carattere strutturale e finanziariamente sostenibili;

d) a orientare la strategia nazionale per l’indipendenza energetica verso un ulteriore potenziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili, anche mediante la definizione, in tempi certi, di un percorso finalizzato allo sviluppo e alla costruzione di filiere strategiche ed innovative in questo settore nonché alla creazione di un sistema interconnesso e sempre più slegato dagli approvvigionamenti di fonti fossili anziché verso il ricorso a tecnologie, come quella della cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della CO2 (CCS) e del nucleare che, come noto, presentano notevoli limiti e richiedono ancora un’attenta valutazione dei potenziali effetti ambientali ed economici, oltre a presupporre, ai fini dell’equilibrio economico e finanziario, ricadute dirette sulle bollette di cittadini ed imprese;

e) a garantire la messa in sicurezza, la completa bonifica e il ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi, e a adottare adeguate misure volte a dare soluzione al problema del deposito unico dei rifiuti radioattivi a media e alta attività attivando specifiche procedure di consultazione pubblica e coinvolgimento dei territori;

f) ad adottare misure volte a sviluppare una fiscalità favorevole alla transizione verso la decarbonizzazione del sistema economico ed industriale, che persegua in modo efficace la progressiva eliminazione dei sussidi dannosi all’ambiente e la tempestiva definizione di appositi indicatori per gli investimenti ecosostenibili, destinando le relative risorse all’incentivazione di processi produttivi e di consumo con minore impatto ambientale nonché all’adozione di misure compensative per le famiglie e le imprese più vulnerabili;

g) a adottare idonee misure per promuovere iniziative di concreto sostegno alla risoluzione delle varie crisi aziendali afferenti al settore automobilistico nazionale;

h) a finanziare gli interventi di riqualificazione dei corpi idrici naturali e del reticolo minore e a istituire un fondo per la sostituzione e manutenzione degli acquedotti, rimodulando il fondo complementare del PNRR;

i) a recepire le misure previste dalle strategie per la «Biodiversità 2030», «Firm farm to fork» e «Suolo» nell’ambito del Green New Deal UE e riprese dalla recente «Nature restoration law»;

j) a individuare strategie ed obiettivi di implementazione dell’economia circolare mediante l’adozione di pratiche gestionali finalizzate alla riduzione della produzione di rifiuti, alla raccolta differenziata, alla tariffazione puntuale e alla promozione di filiere produttive volte al riuso, al riciclo, alla riparabilità e alla compostabilità, escludendo il ricorso a soluzioni impiantistiche basate sull’incenerimento dei rifiuti e allo smaltimento in discarica in quanto pratiche idonee a incidere negativamente sulla qualità dell’aria e dei suoli;

k) al fine di rispondere alle sfide inerenti la salvaguardia del clima e la riduzione dell’inquinamento atmosferico, e in linea con quanto previsto dalla Country-specific Recommendation CSR 3.6, a potenziare la mobilità sostenibile mediante l’elettrificazione del parco veicolare per il trasporto pubblico e privato e la relativa impiantistica di ricarica, anche indirizzando le politiche di mobilità urbana su un consistente spostamento dal trasporto privato motorizzato alle altre forme di mobilità (trasporto pubblico, sharing, bicicletta, mobilità leggera), nonché a rilanciare il settore della logistica cosiddetto «green» prevedendo un Piano di evoluzione del sistema anche attraverso strumenti di governance dedicati all’incentivazione del trasporto intermodale – in considerazione di quanto già previsto con i contributi al trasporto combinato strada-mare (Marebonus) e strada-rotaia (Ferrobonus) –, alla digitalizzazione e all’automazione, per garantire la sostenibilità del settore e la sua compartecipazione agli obiettivi del Green New Deal europeo;

l) a dare tempestiva attuazione alla strategia nazionale per la biodiversità in linea con gli obiettivi di ripristino degli ecosistemi danneggiati e con gli impegni internazionali dell’Unione europea in materia di clima e di biodiversità e a stanziare ulteriori risorse da destinare all’attuazione delle misure di ripristino della natura, quali la rinaturalizzazione, il reimpianto di alberi e il rinverdimento dei contesti urbani ed extraurbani;

15) in materia di energia:

a) a presentare alla Commissione, nei tempi previsti dal regolamento 2023/955 ovvero entro il 30 giugno 2025, il Piano sociale per il clima al fine di garantire alle famiglie e alle micro-imprese vulnerabili, nonché agli utenti vulnerabili dei trasporti l’accesso ai finanziamenti finalizzati a mitigare l’impatto dell’inclusione nel sistema ETS2 dei settori degli edifici e del trasporto stradale; ad utilizzare, coerentemente con le finalità e le condizionalità stabilite dal regolamento (UE) 2023/955, le risorse del Piano per interventi strutturali e di lungo periodo capaci di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili ed aumentare la resilienza dei predetti soggetti;

b) a adottare con urgenza, nel primo provvedimento utile, opportune iniziative normative volte ad introdurre idonee misure correttive al Fondo nazionale per l’efficienza energetica di cui all’articolo 15, comma 1, del decreto legislativo 4 luglio 2014 n. 102, in linea con le deliberazioni n. 26/2023/CCC e n. 14/2025/CCC della Corte dei conti, al fine di rimuovere le criticità da quest’ultima evidenziate e necessarie al concreto funzionamento del fondo medesimo;

c) allo scopo di rendere lo strumento del Conto termico maggiormente efficace in termini di efficientamento del patrimonio edilizio privato e pubblico e di contenimento della povertà energetica, ad adottare le opportune iniziative volte ad includere tra i beneficiari della misura anche gli alloggi di edilizia residenziale pubblica; ad estendere gli incentivi per la PA anche agli interventi di miglioramento sismico, dilazionando i tempi di realizzazione degli interventi e incrementando i relativi massimali di spesa;

d) nell’ambito del processo di semplificazione e potenziamento del sistema dei certificati bianchi, a prevedere che una percentuale obbligatoria minima dell’obiettivo annuale di risparmio energetico cui sono obbligati i distributori di energia elettrica e di gas naturale sia destinata e vincolata, in via prioritaria, alla realizzazione di misure e interventi a beneficio delle famiglie vulnerabili, delle famiglie a basso reddito, delle famiglie che vivono in alloggi sociali e delle famiglie in condizione di povertà energetica;

e) ad esentare dall’imposta sul reddito delle persone fisiche i contributi alla spesa percepiti per l’efficientamento energetico delle abitazioni delle persone in condizioni di povertà energetica, dei clienti vulnerabili, delle persone appartenenti a famiglie a basso reddito e delle persone che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale;

f) ad adottare iniziative volte a ristabilire con urgenza, nei rispettivi mercati del gas naturale e dell’energia elettrica, un equilibrio a favore dei consumatori per preservare i clienti finali da ulteriori abusi; ad intraprendere idonee iniziative normative volte a contrastare, in modo nuovo e più incisivo, il fenomeno del telemarketing e del teleselling aggressivo, anche valutando di inserire tali fenomeni nel novero delle c.d. pratiche sempre aggressive, e quindi vietate, di cui all’articolo 26 del codice di consumo, considerati i risultati non completamente soddisfacenti prodotti dal registro pubblico delle opposizioni nonché a rendere più efficaci e funzionali le periodiche campagne di comunicazione istituzionale a carattere pubblicitario in relazione agli strumenti e gli incentivi disponibili per la realizzazione di interventi rivolti alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica, alla riduzione e all’efficientamento dei consumi di energia, alla produzione di energia rinnovabile, anche mediante configurazioni di autoconsumo individuale e collettivo e la costituzione di comunità energetiche rinnovabili;

16) in materia di crescita economica, digitalizzazione e innovazione:

a) a sostenere e rilanciare gli investimenti pubblici e le politiche dell’innovazione per favorire la crescita economica, la digitalizzazione, l’industrializzazione equa, responsabile e sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro; ad adottare con urgenza le necessarie iniziative affinché i fondi non impegnati a valere sulla misura «Piano Transizione 5.0» siano resi disponibili, in via immediata e senza ulteriori difficoltà, per il rifinanziamento del Piano transizione 4.0 al fine di incentivare gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione, formazione del personale, a partire dal potenziamento della ricerca di base e applicata, preservando in ogni caso, con particolare riferimento agli investimenti finalizzati alla transizione ecologica ed energetica, il pieno automatismo degli incentivi e la più ampia diffusione tra le imprese;

b) ad intraprendere tutte le necessarie iniziative finalizzate ad assicurare all’interno della ZES unica adeguate risorse per la copertura nonché per la proroga – almeno su base triennale – della durata della concessione dei benefici fiscali del credito di imposta previsto a favore delle imprese del Mezzogiorno, così come un quadro regolamentare stabili e certi nel tempo, al fine di permettere al tessuto imprenditoriale di programmare con maggiore certezza i propri investimenti;

17) in relazione alla politica agricola:

a) a garantire maggiore attenzione al settore primario e maggiore sostegno nel percorso verso la transizione ecologica e la sostenibilità alla quale il comparto è chiamato, senza dover rinunciare alla propria redditività, attraverso:

1) interventi concreti volti ad incrementare le risorse destinate all’agricoltura a garanzia di un vero sostegno alle imprese;

2) il potenziamento dei contratti di filiera mettendo in atto politiche volte a rafforzare il ruolo degli agricoltori all’interno della catena che va dal produttore al consumatore;

3) l’attuazione di misure volte a realizzare politiche che valorizzino e potenzino il ruolo delle giovani generazioni e delle donne che decidono di investire in agricoltura poiché il ricambio generazionale è fondamentale sia per la competitività di lungo periodo della nostra agricoltura, sia per il percorso di transizione ecologica e sostenibilità a cui il settore è chiamato;

4) il rafforzamento del contrasto ad ogni forma di pratica commerciale sleale che tocca la filiera agroalimentare, sia per i canali classici che nelle vendite online;

5) uno studio, attraverso il potenziamento del lavoro degli enti preposti, sui costi di produzione dei prodotti agricoli tenendo conto del ciclo delle colture, della loro collocazione geografica, della destinazione finale dei prodotti, delle caratteristiche territoriali e organolettiche, delle tecniche di produzione medie ordinarie e del differente costo della manodopera negli areali produttivi, stimato sulla base dei dati forniti annualmente dai singoli Stati dell’Unione europea;

6) il potenziamento della ricerca in agricoltura, che è uno strumento fondamentale poiché l’innovazione è un tassello imprescindibile per il settore e anch’essa è parte integrante del percorso verso la transizione ecologica agricola;

7) il sostegno alla sperimentazione delle nuove tecnologie applicabili all’agricoltura, affinché attraverso l’innovazione tecnologica si possano aumentare e valorizzare le produzioni in maniera sempre più sostenibile;

8) l’incremento concreto delle politiche di sostegno per gli interventi inerenti alla gestione del rischio, supportando in particolare quelli relativi alla prevenzione.

18) nell’ambito delle decisioni strategiche in tutti i settori, in particolare dell’occupazione, della salute e dell’inclusione sociale, valutarne gli effetti sui giovani, promuovendo il principio di equità generazionale e introducendo strumenti di valutazione dell’impatto generato sulle giovani generazioni dalle politiche pubbliche; prevedere un adeguato sistema previdenziale e di protezione sociale per i giovani lavoratori.
(6-00176) «Riccardo Ricciardi, Torto, Alfonso Colucci, D’Orso, Pellegrini, Fenu, Caso, Ilaria Fontana, Iaria, Pavanelli, Barzotti, Quartini, Caramiello, Scerra, Dell’Olio, Donno, Carmina».

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