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«Senza un cambio culturale continueremo a contare i morti»


Riconoscere e valorizzare le competenze, rafforzare i Dipartimenti di prevenzione e promuovere, in modo capillare, una solida cultura della sicurezza sul lavoro: sono queste alcune delle proposte avanzate dalla Commissione di albo nazionale dei Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (TPALL) della FNO TSRM e PSTRP (Federazione nazionale degli Ordini delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e prevenzione) – in occasione della Giornata mondiale sulla sicurezza e la salute sul lavoro – per contrastare il fenomeno delle morti e degli infortuni che nel nostro Paese, ancora oggi colpisce tanti, troppi lavoratori.

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«Questa giornata, ci ricorda che in Italia si continua a morire di lavoro – afferma Vincenzo Di Nucci, Presidente della Commissione di albo nazionale dei TPALL -. È l’ora di prendere coscienza del fatto che, ogni giorno, all’interno di cantieri, negli impianti, nei laboratori, negli allevamenti e nei capannoni di logistica, si consumano vere e proprie tragedie, che prendono il nome di “infortuni sul lavoro” o “malattie professionali” e che, anno dopo anno, continuano a fare più vittime delle calamità naturali».

I dati

I numeri parlano chiaro. Per l’INAIL, solo nei primi due mesi di quest’anno, sono 97 le persone che hanno perso la vita sul lavoro. A questi vanno conteggiati i morti degli incidenti in itinere (che si verificano, cioè, nel tragitto casa-lavoro), i casi di invalidità permanente, a cui restano da aggiungere le 15 mila nuove denunce per malattie professionali. Studi epidemiologici hanno rilevato che, nel nostro Paese, le casistiche di tumori causati da esposizione professionale sono comprese tra il 4 e il 7% delle nuove diagnosi, ovvero ogni anno vengono colpiti tra i 7mila e i 13mila lavoratori. Si tratta di una strage silenziosa, che si somma a quella degli infortuni e che equivale, per dimensioni, alla scomparsa di interi centri abitati. «Non sono solo cifre o semplici statistiche, ma nomi, volti, storie spezzate, comunità lavorative e famiglie che non saranno più le stesse», spiega Di Nucci.

Secondo l’INAIL, nei primi due mesi di quest’anno, sono 97 le persone che hanno perso la vita sul lavoro

I dati in possesso dalla Commissione di albo nazionale dei TPALL, circa lo stato attuale dei professionisti della prevenzione in servizio presso le Aziende sanitarie locali (ASL) italiane non sono confortevoli: portano alla luce una grave carenza di personale, che mette in crisi la capacità del sistema di garantire prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro.

In particolare, la Commissione di albo fa sapere che in Italia, i Tecnici della prevenzione deputati alla funzione ispettiva, sono circa 2.108, a fronte di una popolazione di quasi 59 milioni di abitanti e di oltre 3 milioni di imprese con dipendenti, per un totale di circa 25 milioni di addetti. Il quadro che emerge è allarmante: in sintesi, per ogni 28mila abitanti è presente un solo TPALL, che si traduce in uno ogni 1.500 imprese, ovvero un Tecnico della prevenzione per 11.800 lavoratori.

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Le conseguenze

Da ciò emergono implicazioni operative piuttosto gravi, che rendono evidente quanto il sistema attuale sia distante da una reale capacità di controllo del territorio. Con l’organico oggi disponibile, si stima che per completare una sola visita a tutte le imprese, in alcune regioni di Italia, potrebbero servire oltre quindici anni. Cifre, queste, che evidenziano un divario profondo anche rispetto agli standard europei, che prevedono almeno un TPALL ogni 10 mila abitanti. Dunque, mancano circa 3.600 professionisti e, secondo la Commissione di albo, per essere maggiormente efficaci, sarebbero necessari almeno 5.900 Tecnici operativi in questo settore.

Con l’organico oggi disponibile, si stima che per completare una sola visita a tutte le imprese, in alcune regioni di Italia potrebbero servire oltre quindici anni

«Senza un investimento deciso e duraturo nella dotazione di personale, la sicurezza sul lavoro rischia di rimanere un obiettivo solo su carta» sottolinea Di Nucci. Secondo l’Associazione internazionale di sicurezza sociale (ISSA) – a cui aderiscono INAIL e INPS – per ogni euro investito in prevenzione si genera un risparmio di almeno tre euro in spesa sanitarie e sociale. «Prevenire non è un costo, ma un dovere, un atto di civiltà, nei confronti di chi lavora, di chi produce e per l’intera popolazione. Finché non ci sarà il giusto riconoscimento della valutazione del rischio, continueremo a contare le vittime sul lavoro. E non saranno morti per caso, ma per assenza di cultura, per carenze strutturali e per miopia politica. È tempo di un cambio di passo. Va costruito un modello di prevenzione organizzato, capace di mettere la salute al centro, come diritto fondamentale e non come variabile accessoria», incalza Di Nucci.

Da queste considerazioni, per contrastare in modo concreto i morti e gli infortuni sul lavoro, la Commissione di albo propone, quindi, una svolta netta, strutturata, che punta su tre direttrici fondamentali: i professionisti, l’organizzazione e i mezzi.

L’importanza della formazione

I Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro possiedono una formazione universitaria solida sul tema della sicurezza sul lavoro: una laurea triennale con oltre 4.500 ore tra didattica e 1.500 ore di tirocinio sul campo. Per lavorare nell’ambito della salute e sicurezza occorrono competenze certificate, frutto di un percorso di studi rigoroso. Eppure, ancora oggi, la prevenzione è spesso affidata a figure non qualificate e formate con corsi di poche ore. Ciò che la Commissione di albo nazionale ritiene fondamentale è che la prevenzione nei luoghi di lavoro sia affidata in primis ai TPALL e che le assunzioni nel pubblico impiego, siano riservate solo a figure con lauree tecniche e sanitarie. Sul versante imprese, invece, si propone che la qualità della formazione dei Responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e dei formatori sia verificata e riconducibile a standard scientifici, come per i percorsi formativi e l’aggiornamento dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS), che dovrebbe avvenire solo presso strutture pubbliche, al fine di garantire qualità e indipendenza. Inoltre, è da instaurare un collegamento con le ASL per favorire un dialogo diretto tra lavoratori e operatori pubblici.

La disomogeneità territoriale

Il personale che opera nei Dipartimenti di prevenzione è insufficiente, pertanto, secondo la Commissione andrebbe rafforzato. I Dipartimenti operano all’interno di un sistema frammentato: nello specifico esistono quasi una ventina di enti – ASL, INL, INAIL, Arpa, Carabinieri, Capitanerie, VVF – che possiedono competenze sovrapposte. In questo scenario, i TPALL propongono una regia unica, costituito da un coordinamento nazionale tra tutti gli enti coinvolti, al fine di condividere i dati rilevati e le agende ispettive.

Inoltre, mancano strumenti concreti per attuare politiche preventive efficaci. Il SINP (Sistema informativo nazionale della prevenzione), previsto dal 2008, a oggi è ancora fermo. Inoltre, mancano strumenti concreti per attuare politiche preventive efficaci. Si ritiene urgente, dunque, completarlo e renderlo operativo, per consentire l’analisi del rischio e per valutare l’efficacia delle azioni messe in campo. A tenere banco è il tema delle risorse, sono necessarie, ma dovrebbero essere certe e continuative per attuare dei piani di prevenzione regionali e nazionali, per la realizzazione dei programmi di audit partecipati e di responsabilità sociale.

A chiudere è ancora il Presidente della Commissione di albo nazionale dei TPALL, Vincenzo Di Nucci: «Non basta la sola vigilanza, serve cultura. La prevenzione non si improvvisa e non si impone: si costruisce con competenze scientifiche, presenza sul territorio e relazioni umane. È un’attività sanitaria a tutti gli effetti, e come tale va riconosciuta. Se davvero vogliamo cambiare rotta, serve un piano concreto di riconoscimento e potenziamento della nostra professione».

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