Negli stabilimenti Stellantis di Melfi e Termoli è in atto una nuova ondata di uscite volontarie incentivate. Centinaia di lavoratori si accingono ad aderire a piani di esodo su base volontaria, accompagnati da incentivi economici. Questi esodi rientrano in una strategia di riorganizzazione industriale che, purtroppo, non fa altro che alimentare l’incertezza sul futuro dell’industria automobilistica italiana e sulla riuscita del piano di transizione verso l’elettrico da parte di Stellantis.
La situazione sta segnando il passo per un’intera filiera, dove i numeri e le ragioni di questa ristrutturazione fanno temere per la tenuta e la competitività degli stabilimenti italiani del gruppo. Il futuro, dunque, appare tutt’altro che chiaro, e la promessa di un rilancio industriale fatica a trovare basi solide.
Stellantis Melfi: 500 lavoratori verso l’uscita con incentivi
Allo stabilimento di Melfi sono stati annunciati 500 esuberi volontari incentivati. Si tratta di un taglio vicino al 10% dell’organico: la forza lavoro passerebbe da circa 5.361 a 4.861 dipendenti, secondo i sindacati. Questo annuncio arriva dopo precedenti accordi che hanno coinvolto altri impianti italiani (300 uscite a Pomigliano e 50 a Pratola Serra, in Campania).
La ragione di fondo è il crollo della produzione a Melfi, che nel primo trimestre 2025 ha registrato meno di 10.000 vetture prodotte, segnando un -65% rispetto all’anno precedente. Nonostante l’arrivo di nuovi modelli elettrici (Jeep, Lancia, DS7) promessi sul sito lucano, la ripresa tarda ad arrivare.
Basti pensare che alcuni lavoratori di Melfi, pur di evitare l’inattività in cassa integrazione, hanno accettato il trasferimento nello stabilimento Stellantis in Serbia (dove si assemblano le Fiat Panda ibride/elettriche). La situazione alimenta il timore di uno “svuotamento” progressivo dello stabilimento: la Fiom-Cgil locale avverte che, senza un adeguato ricambio generazionale e nuove produzioni, il sito di Melfi rischia di perdere massa critica nonostante le promesse dei nuovi modelli.
Uscite incentivate anche a Termoli: la Gigafactory resta al palo
Anche a Termoli, dove Stellantis produce motori e cambi, si prospetta una consistente riduzione di personale. Si parla di circa 200 uscite volontarie incentivate in arrivo . La notizia non sorprende, considerando che negli altri impianti “la cura dimagrante” è già iniziata, ma getta un’ombra sul futuro del sito molisano.
A Termoli pesa infatti la fine imminente della produzione dei motori tradizionali (Fire) e, soprattutto, il congelamento del progetto della Gigafactory di batterie elettriche: a quasi un anno dall’annuncio dello stop, l’impianto di batterie è ancora in standby.
I sindacati hanno denunciato la crescente incertezza e chiesto un tavolo urgente al Mimit per discutere del futuro di Termoli con Stellantis e la joint venture Acc (Automotive Cells Company) responsabile della Gigafactory.
Nel frattempo l’azienda avrebbe dirottato parte del lavoro su produzioni alternative: Stellantis sottolinea di aver aumentato il carico di lavoro sui componenti ibridi a Termoli per tamponare la situazione in attesa della riconversione. Resta il fatto che, ad oggi, non c’è una data certa per l’avvio della Gigafactory; anzi, si vocifera di un ulteriore rinvio delle decisioni al termine del 2025.
Sindacati sul piede di guerra: “Così si svuota l’auto italiana”
Le organizzazioni sindacali metalmeccaniche sono in fermento e mostrano unitariamente forte preoccupazione. La Fiom-Cgil non ha firmato l’accordo quadro sugli esuberi, denunciando l’assenza di un chiaro piano industriale di rilancio degli stabilimenti italiani.
La Fiom basilicata, per parte sua, ha avvertito che firmerà accordi di esodo solo a fronte di un piano di turnover generazionale e certezze su nuovi modelli, per evitare che Melfi venga depauperata ulteriormente.
Anche la Uilm e la Fim-Cisl richiamano l’azienda alle proprie responsabilità industriali: il segretario Fim molisano ha escluso di avallare le uscite a Termoli se non accompagnate da investimenti concreti. I sindacati chiedono inoltre l’intervento deciso delle istituzioni: invocano un confronto a Palazzo Chigi con il presidente di Stellantis John Elkann e il Governo, per ottenere garanzie sull’occupazione e sulla tenuta del settore automotive nazionale.
Dal canto suo, il Governo ha già mostrato segni di impazienza: lo scorso anno il ministro Urso ha ammonito Stellantis chiedendo “che vengano rispettati gli impegni presi” sul Piano Italia(il programma industriale per le fabbriche italiane) e minacciando di revocare i fondi pubblici destinati a Termoli se il progetto non fosse confermato.
Sulla stessa linea, il segretario generale Cgil Maurizio Landini ha lanciato l’allarme sul quadro complessivo: “L’Italia rischia di perdere l’industria automobilistica”, ha detto, notando che il Paese è passato da 1,5 milioni di auto prodotte all’anno a appena 250.000 previste nel 2025. Un balzo indietro agli anni ’50, perché “non si stanno facendo gli investimenti necessari”.
Di fronte a queste critiche, Stellantis si è difesa ribadendo il proprio impegno: la multinazionale ha dichiarato di essere “concentrata sul Piano Italia”, cioè sul garantire nuovi modelli e attività a tutti gli stabilimenti tricolori, e ha sottolineato che è “essenziale che tutti gli attori della catena del valore, compreso il governo, contribuiscano a creare le giuste condizioni” di competitività e sviluppo del mercato.
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