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Pnrr: riusciremo a rispettare tempi e obiettivi?


Si avvicina la scadenza del Pnrr ed è sempre più chiaro che alcune misure non saranno attuate in tempo. Più che una revisione generale del Piano servono modalità e strategie alternative, che permettano di salvaguardare gli obiettivi. Il legame con il Psb.

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Giugno 2026 è sempre più vicino

Più si avvicina il giugno 2026, termine ultimo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, più si moltiplicano gli allarmi (vedi qui e qui) per alcune sue misure rilevanti in evidente affanno, per sovradimensionamento degli obiettivi rispetto a quanto realisticamente realizzabile (come il Piano alloggi universitari) o per scarsa attrattività di  alcuni interventi (come Transizione 5.0).

D’altra parte continua l’attesa, che si prolunga ormai da molti mesi, di una nuova revisione del Pnrr, che possa metterlo in sicurezza, replicando quanto già fatto a fine 2023 (vedi qui), cioè dirottando su fondi nazionali le linee di intervento che rischiano di non raggiungere in tempo i Target richiesti dall’Europa e spostando, a parità di risorse, i fondi Pnrr su misure più agevoli da realizzare. Tuttavia, più passa il tempo e più gli spazi per una revisione complessiva si restringono, dati i tempi tecnici di realizzazione che una tale riformulazione richiede, difficilmente compatibili con le scadenze del Piano. Così come, è ormai escluso uno slittamento generale del termine del 2026, prospettato dal ministro Giorgetti, che avrebbe bisogno dell’accordo dei paesi membri Ue per una revisione del regolamento Rrf.

Le strategie per adempiere ai target Pnrr

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Lo sforzo del governo, d’accordo con la Commissione europea, per riuscire a portare in qualche modo in salvo il Pnrr nei tempi prefissati deve dunque affidarsi a modalità e strategie alternative, più mirate rispetto a una revisione generale del Piano.

La prima consiste nell’affidare la realizzazione di una serie di misure rilevanti a soggetti gestori (come Invitalia, Simest, Ismea e altri) che, una volta costituiti appositi fondi dove collocare le risorse trasferite dai ministeri titolari, procedono, secondo gli obiettivi assunti con il Pnrr, soltanto a sottoscrivere contratti finanziari con le imprese beneficiarie finali. Gli effettivi interventi di investimento, e la spesa corrispondente, si realizzerà concretamente negli anni successivi al 2026, pur rispettando pienamente i Milestone e Target del Piano e quindi senza compromettere l’erogazione delle rate da parte della Ue a favore dell’Italia. Questa modalità di “allungamento finanziario” del Pnrr, che secondo la ricognizione offerta dell’Ufficio parlamentare di bilancio riguarderebbe finanziamenti per 10,6 miliardi, è stata in realtà introdotta nella revisione del Piano di fine 2023 ma ora, come ha evidenziato il ministro Giorgetti nell’audizione parlamentare sul Dfp, diventa una carta buona da giocare.

Un esempio finanziariamente assai rilevante della strategia è l’intervento per sostenere i contratti di filiera nei settori agroalimentare, della pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo (M2C1 – Investimento 3.4), che ha una dotazione finanziaria di ben 2 miliardi. La sequenza dei Milestone e Target che il governo si è impegnato a raggiungere per l’attuazione della misura impegnano l’Ismea, ente vigilato dal ministero dell’Agricoltura, a stipulare entro il 30 giugno di quest’anno contratti di sovvenzione per almeno il 50 per cento delle risorse, e il resto entro il termine finale del 30 giugno 2026. È molto probabile che la maggior parte della spesa per investimenti così finanziata verrà effettivamente realizzata dalle imprese beneficiarie dopo la chiusura del Pnrr, e per lo più negli anni successivi al 2026.

Una seconda linea di attacco per trovare la quadra tra ritardi di attuazione e raggiungimento dei Milestone e Target del Pnrr è quella di “estendere” la possibilità di rendicontare a chiusura del Piano anche a realizzazioni soltanto parziali degli obiettivi fisici (nuovi servizi e dotazioni infrastrutturali per i cittadini) stabiliti per le varie misure. Attraverso il dialogo tra governo nazionale e istituzioni europee, si tratterebbe di facilitare l’accoglimento di Target raggiunti solo parzialmente (come probabilmente accadrà nel Piano asili nido), valutando caso per caso la portata delle misure non totalmente attuate e individuando, quale sanzione, riduzioni proporzionali delle rate di finanziamento.

Da ultimo, una prassi, certamente di più breve respiro rispetto alle precedenti, è quella di sfruttare per la realizzazione dei Target di alcune misure anche il periodo di tempo impiegato dalla Commissione europea per valutare il loro effettivo raggiungimento (assessment), dopo la richiesta per l’attribuzione della rata di finanziamento da parte del paese membro. Questo periodo può essere lungo: nel caso dell’Italia si è prolungato per sei mesi nel caso della quinta rata e per cinque nella sesta. Anche in occasione della richiesta della settima rata, che il governo italiano ha presentato il 30 dicembre scorso (per 18,2 miliardi di euro), alcuni obiettivi saranno effettivamente raggiunti nei prossimi mesi, nel corso del 2025, durante appunto il periodo di assessment della Commissione.

Il legame tra Pnrr e percorso di consolidamento nel Psb

C’è un ulteriore aspetto collegato con le strategie di estensione dei tempi del Pnrr. Riguarda la connessione tra i possibili ritardi nella sua attuazione e gli impegni, in termini di riforme ed investimenti, assunti dal governo con le istituzioni europee nel Piano strutturale di bilancio (Psb) per accedere all’allungamento del percorso di consolidamento dei conti pubblici (sette anni invece dei quattro-cinque canonici). Il Psb prevede di proseguire, oltre i termini del Pnrr e utilizzando risorse nazionali e non comunitarie, alcuni investimenti particolarmente qualificanti, in ambiti già oggetto del Pnrr.

In alcuni casi, però, così come è formulato nel Psb, il prolungamento degli investimenti non prevede in realtà un ulteriore rafforzamento dei risultati che vadano oltre quelli già raggiunti dal Pnrr, quanto piuttosto, di fatto, il loro completamento, in ritardo rispetto ai termini previsti, e forse talvolta anche di meno.

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Il caso degli asili nido

L’esempio è quello dei servizi per la prima infanzia. È probabile che l’intervento non riuscirà a centrare pienamente il Target finale di 150.480 nuovi posti previsto entro giugno 2026. Complessivamente, l’obiettivo sarà probabilmente mancato di poco: l’Ufficio parlamentare di bilancio stima che sia a rischio il 10-15 per cento circa del totale dei posti promessi dal Pnrr. Se ciò accadesse, la Commissione potrebbe decidere un taglio proporzionale, e quindi limitato, della rata di finanziamento corrispondente.

La stessa linea di intervento – aumento della disponibilità di posti per i servizi della prima infanzia – è stata inserita dal governo nel Psb per l’allungamento a sette anni (vedi qui). Nel Piano strutturale di bilancio, tuttavia, viene fissato un Target che è meno esigente di quello previsto dal Pnrr: si promette di arrivare a un tasso di copertura del 33 per cento a livello nazionale e del 15 per cento a livello regionale, da realizzare entro la fine del 2027, cioè un anno e mezzo dopo la chiusura del Pnrr. Insomma, un obiettivo certamente “a portata di mano”, che anzi, soprattutto per quello su base regionale, non è in verità un obiettivo, ma una realtà già pressoché acquisita.

In definitiva, a una sanzione probabilmente lieve sul Pnrr (riduzione contenuta della rata) corrisponderà certamente, dato l’obiettivo per nulla eccessivo fissato nel Psb, un vantaggio ben più rilevante in termini di allentamento dell’aggiustamento fiscale richiesto all’Italia nei prossimi anni.

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Marco Leonardi

È professore ordinario di Economia dell’Università degli studi di Milano. Phd. in economia alla London School of Economics, è stato visiting scholar presso il Massachussetts Institute of Technology di Boston e l’Università di Berkeley. I suoi principali interessi scientifici riguardano l’economia del lavoro e in particolare temi legati a disoccupazione, disuguaglianza e redistribuzione. È stato, durante il governo guidato da Paolo Gentiloni, consigliere economico del presidente del Consiglio.

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