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La globalizzazione non si può fermare


Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, le imprese europee e italiane si sono sottoposte ad un esame di coscienza approfondito, tormentate dal dubbio amletico più nobile e più popolare: essere o non essere, reagire o subire, vivere o morire. L’incertezza che governa politica e mercati le ha costrette a scegliere quale parte interpretare nel gioco dei ruoli, consapevoli che ogni rischio – come sempre – si veste anche di opportunità.

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Si concentra solo su queste, sulle opportunità, Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss di Roma. “Siamo nel pieno di una transizione importante, quindi non è semplice fare una previsione. Posso dire che l’incertezza tradizionalmente è nemica delle imprese perché è difficile programmare investimenti. Tuttavia, la reazione delle Borse ha concorso alla sospensione temporanea dei dazi per 90 giorni. Quel che è certo è che questa globalizzazione è difficile da fermare, le filiere e i percorsi di produzione sono molto integrati. L’Italia vanta un notevole surplus verso gli Usa in diversi settori dove esportiamo più di quanto importiamo: farmaceutico, auto, imbarcazioni, macchinari, mobili, abbigliamento e bevande (soprattutto vino). Imporre dazi vuol dire aumentare il costo di importazione di un bene. Alcuni produttori possono assorbire il costo del dazio e non imporre aumenti di prezzi ai consumatori, ma questo non vale per tutti i settori. Perciò i costi maggiori potrebbero scaricarsi sugli esportatori o, viceversa, sugli importatori americani. Per le filiere italiane questa situazione potrebbe diventare un’opportunità: ci si può rivolgere ad altri mercati, diversificare le vendite, oppure riqualificare le professioni verso settori produttivi più resilienti”.

Il bicchiere per Enzo Peruffo, quindi, è sempre mezzo pieno. E lo è anche nel mercato del lavoro, come raccontano i numeri. “Entro il 2030, quasi un terzo dei posti di lavoro (22%) scompariranno, altri ne nasceranno (14%). La buona notizia è che si creeranno più di 78 milioni di posti di lavoro, pari al 7% dell’occupazione mondiale. Saranno sempre più richiesti gli specialistici di Big data e Machine Learning, così come gli sviluppatori di software e applicazioni. Ma anche la transizione energetica richiederà figure specialistiche per i veicoli elettrici e a guida autonoma, o per lo sviluppo delle rinnovabili”. Ma l’Istat dice anche altro: sono aumentati gli inattivi under 35 e sono diminuiti gli occupati tra i 25 e i 34 anni. “Il dato relativo all’inattività dei giovani va letto insieme a quello dei Neet, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano, che alimenta il fenomeno del lavoro sommerso. Secondo un’indagine del Consiglio Nazionale dei Giovani e Iref, su un campione di Neet italiani intervistati, solo il 9% ha confermato di non essere effettivamente impegnato in attività di studio o lavoro. Quasi 8 giovani su 10 sono impegnati in attività di compravendita online (76,6%), seguono percorsi di autoformazione (81,1%) o svolgono piccoli lavori retribuiti in modo irregolare (74,8%), come baby-sitter, cameriere, barista, hostess. Nelle aree interne anche operai e coltivatori”.

Sempre l’Istat ha certificato che negli ultimi 10 anni l’Italia ha perso oltre 87mila giovani laureati e per la Fondazione NordEst dal 2011 al 2023 il valore del capitale umano che se ne è andato dall’Italia è pari a 133,9 miliardi. “L’emigrazione può essere temporanea, ma sempre più spesso all’estero i giovani italiani trovano salari più competitivi, migliori prospettive di carriera e un sistema di welfare più avanzato, perciò restano. Occorre ampliare e ribaltare la prospettiva, pensando non solo al rientro di cervelli, ma anche ad attrarre e trattenere i migliori talenti italiani e internazionali. La dimensione internazionale è parte integrante del Dna della Luiss, grazie al rapporto solido con molte istituzioni di tutto il mondo. Lo dimostra il numero sempre crescente di studenti provenienti dall’estero, pari al 10% degli iscritti, percentuale che sfiora il 30% nei corsi tenuti interamente in lingua inglese. Sono 117 le nazionalità rappresentate”.

Nel mercato del lavoro che si sta sviluppando l’intelligenza artificiale prende sempre più spazio, ma – sottolinea Peruffo – resta uno strumento al servizio dell’uomo. “Oggi sono richieste capacità di data science e data visualization, machine learning, gestione dei big data, sviluppo web e delle chatbot. A livello globale, più del 10% dei lavoratori assunti oggi ha un job title che non esisteva nel 2000 (negli Usa, la percentuale si avvicina al 20%). Entro il 2025 l’AI potrebbe spostare 85 milioni di posti di lavoro e generarne fino a 97 milioni. Sappiamo che l’AI resta uno strumento al servizio dell’intelligenza umana, ma per usarla al meglio serve una formazione specifica”.

Che è esattamente quello che la Luiss sta facendo, promuovendo una vera e propria rivoluzione formativa. “La nuova architettura delle lauree magistrali ci consente di offrire agli studenti maggiore flessibilità, personalizzazione e apprendimento multidisciplinare. Le nostre attività prevedono il rilascio di un badge contenente le specifiche competenze di ogni studente: in questo modo il suo profilo diventa piu facilmente rintracciabile e spendibile sul mercato del lavoro in base alle esigenze del mercato stesso. Il badge di AI Literacy, obbligatorio per tutti gli studenti magistrali, ne è un esempio. Nell’arco di meno di un anno, poi, la Luiss ha introdotto una serie di iniziative per permettere ai suoi studenti di governare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Serve a questo, per esempio, il nuovo Dipartimento in AI, Data and Decision Sciences, incentrato su analisi dei dati, intelligenza artificiale e decision making”. Infine, a luglio partirà la prima edizione delle Graduate Summer School, una nuova formula di orientamento estivo, dedicato a studenti italiani e internazionali interessati ai corsi di laurea magistrale Luiss.

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L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del maggio 2025 (numero 4, anno 8)



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