Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

Se il primo azionista è un ente non-profit


Un’analisi critica dei due modelli di controllo non-profit: quello generatore di reddito e quello orientato alla missione sociale. Il paper ne evidenzia i rischi e propone principi regolatori in grado di valorizzare questo assetto come possibile alternativa strutturale al modello centrato sugli azionisti

Vuoi bloccare la procedura esecutiva?

richiedi il saldo e stralcio

 

Nel panorama contemporaneo, attraversato da crisi sistemiche e crescenti richieste di sostenibilità, si va consolidando l’interesse verso modelli di impresa capaci di coniugare efficienza economica e impegno sociale. Per esempio, il controllo di imprese for-profit da parte di enti non-profit, focus del recente studio “The Anatomy of Non-profit Control of Business Enterprise” dello European Corporate Governance Institute (Ecgi) per Yale Journal of Regulation. Gli autori Ofer Eldar e Mark Orberg rispondono alla domanda: «Il controllo non-profit delle imprese può costituire un’alternativa concreta e funzionale al modello tradizionale fondato sull’azionariato?».

In numerosi contesti europei, alcune delle imprese più consolidate e redditizie sono controllate da fondazioni non-profit, strutture legali e istituzionali concepite per perseguire scopi filantropici, culturali o scientifici (vedi tabella sopra). In molti casi, queste fondazioni detengono la totalità delle azioni con diritto di voto, nominano i cda delle aziende e ne orientano la strategia di lungo periodo. Una simile architettura, apparentemente controintuitiva se letta attraverso le lenti della teoria dell’agenzia o dell’efficienza dei mercati, ha invece dimostrato una sorprendente tenuta nel tempo.

Il paper propone una distinzione tra i due modelli principali di controllo non-profit, con lo scopo di chiarire le diverse logiche economiche e i relativi rischi connessi a ciascuno.

Il primo modello, definito «income-generating for-profit», si fonda sulla funzione finanziaria dell’impresa. In questa configurazione, l’organizzazione non-profit controlla l’impresa con l’obiettivo di generare flussi di cassa ricorrenti e prevedibili, da destinare a finalità filantropiche. L’azienda non è chiamata a integrare missioni sociali nella propria operatività, bensì a operare come una normale azienda competitiva: «Il principale ruolo del controllo non-profit in questo modello è creare una fonte stabile e costante di liquidità nel tempo su cui l’ente può contare per finanziare le proprie attività caritatevoli». Questa stabilità è il tratto distintivo che rende il controllo diretto preferibile, in certi casi, rispetto all’investimento in portafogli diversificati. Le fondazioni che controllano direttamente imprese consolidate, in settori a domanda rigida come quello farmaceutico o dell’arredamento, riescono a proteggersi dalle oscillazioni dei mercati, ottenendo una forma di assicurazione contro il rischio sistemico. Il controllo non-profit può garantire una visione a lungo termine anche in contesti altamente competitivi (come il settore farmaceutico, citato nel paper) slegata dalle pressioni tipiche degli azionisti orientati al breve periodo.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Nel secondo modello («socially-oriented for-profit») invece il non-profit non punta a generare “cassa”, ma a garantire che l’azienda persegua direttamente una missione sociale. Qui, la non-profit esercita un controllo attivo sulla strategia e sull’identità dell’impresa. Non necessariamente vengono distribuiti dividendi: i profitti possono essere reinvestiti per rafforzare l’impatto sociale, ad esempio in settori come l’inclusione lavorativa, la finanza etica o lo sviluppo sostenibile. In questo caso, la forma giuridica del for-profit è uno strumento funzionale a garantire flessibilità operativa e accesso al capitale. È però la presenza della governance non-profit a garantire che la finalità sociale sia strutturalmente incorporata e difesa nel tempo: «La funzione primaria del non-profit in questo assetto è monitorare ed imporre l’impegno dell’impresa rispetto alla missione sociale, che solitamente è sancita nello statuto del for-profit», spiegano Eldar e Orberg. Questo modello si rivela particolarmente utile quando l’oggetto dell’attività riguarda beni pubblici (es. l’ambiente o l’intelligenza artificiale) per i quali il mercato fatica a generare incentivi adeguati.

Il rischio di «mission-drift» è al centro dell’analisi normativa proposta dagli autori. Nel modello generatore di reddito, il pericolo è che il non-profit trascuri la propria funzione redistributiva, concentrandosi esclusivamente sulla governance dell’impresa. Nel paradigma orientato alla missione sociale, il rischio più grave è che l’impresa abbandoni la sua finalità sociale, sotto la pressione di investitori di minoranza con interessi puramente commerciali. Questo rischio si è materializzato in modo evidente nei casi in cui gli investitori esterni hanno di fatto influenzato le scelte strategiche del for-profit, indebolendo il controllo esercitato dal non-profit e compromettendo la coerenza tra obiettivi dichiarati e azione concreta.

Dal punto di vista giuridico, il paper propone un’analisi comparata tra Europa, Regno Unito e Stati Uniti. Nei Paesi europei e nel Regno Unito, esistono strumenti giuridici favorevoli al controllo non-profit, con regole che impongono distribuzioni ragionevoli di reddito e prevedono meccanismi di supervisione sull’adempimento della missione. Negli Usa, invece, la situazione è frammentata: le fondazioni private sono fortemente regolamentate, mentre altri enti non-profit godono di maggiore libertà, ma con meno tutele contro le derive missionarie. Secondo gli autori, questa disparità è problematica: «Le riforme legali dovrebbero prioritariamente garantire l’indipendenza da investitori con interessi economici nella società controllata, piuttosto che concentrarsi sull’indipendenza da donatori o fondatori».

Norme sul controllo nonprofit dell’impresa for-profit (analisi comparata). Fonte: The Anatomy of Non-profit Control of Business Enterprise

La chiave sta nella distinzione tra i due modelli che consente di identificare i benefici attesi e i rischi da mitigare. Se regolato in modo adeguato, il controllo di imprese for-profit da parte di enti non-profit consente di allineare performance economica, visione di lungo periodo e impatto sociale, offrendo una risposta strutturale alle criticità del modello azionario centrato sul valore per gli azionisti. Per policy maker e attori istituzionali, rappresenta una sfida ma anche un’opportunità, ovvero ripensare il concetto stesso di impresa nell’economia del XXI secolo.

Sofia Restani

 

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

0 commenti



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Se il primo azionista è un ente non-profit


Un’analisi critica dei due modelli di controllo non-profit: quello generatore di reddito e quello orientato alla missione sociale. Il paper ne evidenzia i rischi e propone principi regolatori in grado di valorizzare questo assetto come possibile alternativa strutturale al modello centrato sugli azionisti

La tua casa è in procedura esecutiva?

sospendi la procedura con la legge sul sovraindebitamento

 

Nel panorama contemporaneo, attraversato da crisi sistemiche e crescenti richieste di sostenibilità, si va consolidando l’interesse verso modelli di impresa capaci di coniugare efficienza economica e impegno sociale. Per esempio, il controllo di imprese for-profit da parte di enti non-profit, focus del recente studio “The Anatomy of Non-profit Control of Business Enterprise” dello European Corporate Governance Institute (Ecgi) per Yale Journal of Regulation. Gli autori Ofer Eldar e Mark Orberg rispondono alla domanda: «Il controllo non-profit delle imprese può costituire un’alternativa concreta e funzionale al modello tradizionale fondato sull’azionariato?».

In numerosi contesti europei, alcune delle imprese più consolidate e redditizie sono controllate da fondazioni non-profit, strutture legali e istituzionali concepite per perseguire scopi filantropici, culturali o scientifici (vedi tabella sopra). In molti casi, queste fondazioni detengono la totalità delle azioni con diritto di voto, nominano i cda delle aziende e ne orientano la strategia di lungo periodo. Una simile architettura, apparentemente controintuitiva se letta attraverso le lenti della teoria dell’agenzia o dell’efficienza dei mercati, ha invece dimostrato una sorprendente tenuta nel tempo.

Il paper propone una distinzione tra i due modelli principali di controllo non-profit, con lo scopo di chiarire le diverse logiche economiche e i relativi rischi connessi a ciascuno.

Il primo modello, definito «income-generating for-profit», si fonda sulla funzione finanziaria dell’impresa. In questa configurazione, l’organizzazione non-profit controlla l’impresa con l’obiettivo di generare flussi di cassa ricorrenti e prevedibili, da destinare a finalità filantropiche. L’azienda non è chiamata a integrare missioni sociali nella propria operatività, bensì a operare come una normale azienda competitiva: «Il principale ruolo del controllo non-profit in questo modello è creare una fonte stabile e costante di liquidità nel tempo su cui l’ente può contare per finanziare le proprie attività caritatevoli». Questa stabilità è il tratto distintivo che rende il controllo diretto preferibile, in certi casi, rispetto all’investimento in portafogli diversificati. Le fondazioni che controllano direttamente imprese consolidate, in settori a domanda rigida come quello farmaceutico o dell’arredamento, riescono a proteggersi dalle oscillazioni dei mercati, ottenendo una forma di assicurazione contro il rischio sistemico. Il controllo non-profit può garantire una visione a lungo termine anche in contesti altamente competitivi (come il settore farmaceutico, citato nel paper) slegata dalle pressioni tipiche degli azionisti orientati al breve periodo.

Microcredito

per le aziende

 

Nel secondo modello («socially-oriented for-profit») invece il non-profit non punta a generare “cassa”, ma a garantire che l’azienda persegua direttamente una missione sociale. Qui, la non-profit esercita un controllo attivo sulla strategia e sull’identità dell’impresa. Non necessariamente vengono distribuiti dividendi: i profitti possono essere reinvestiti per rafforzare l’impatto sociale, ad esempio in settori come l’inclusione lavorativa, la finanza etica o lo sviluppo sostenibile. In questo caso, la forma giuridica del for-profit è uno strumento funzionale a garantire flessibilità operativa e accesso al capitale. È però la presenza della governance non-profit a garantire che la finalità sociale sia strutturalmente incorporata e difesa nel tempo: «La funzione primaria del non-profit in questo assetto è monitorare ed imporre l’impegno dell’impresa rispetto alla missione sociale, che solitamente è sancita nello statuto del for-profit», spiegano Eldar e Orberg. Questo modello si rivela particolarmente utile quando l’oggetto dell’attività riguarda beni pubblici (es. l’ambiente o l’intelligenza artificiale) per i quali il mercato fatica a generare incentivi adeguati.

Il rischio di «mission-drift» è al centro dell’analisi normativa proposta dagli autori. Nel modello generatore di reddito, il pericolo è che il non-profit trascuri la propria funzione redistributiva, concentrandosi esclusivamente sulla governance dell’impresa. Nel paradigma orientato alla missione sociale, il rischio più grave è che l’impresa abbandoni la sua finalità sociale, sotto la pressione di investitori di minoranza con interessi puramente commerciali. Questo rischio si è materializzato in modo evidente nei casi in cui gli investitori esterni hanno di fatto influenzato le scelte strategiche del for-profit, indebolendo il controllo esercitato dal non-profit e compromettendo la coerenza tra obiettivi dichiarati e azione concreta.

Dal punto di vista giuridico, il paper propone un’analisi comparata tra Europa, Regno Unito e Stati Uniti. Nei Paesi europei e nel Regno Unito, esistono strumenti giuridici favorevoli al controllo non-profit, con regole che impongono distribuzioni ragionevoli di reddito e prevedono meccanismi di supervisione sull’adempimento della missione. Negli Usa, invece, la situazione è frammentata: le fondazioni private sono fortemente regolamentate, mentre altri enti non-profit godono di maggiore libertà, ma con meno tutele contro le derive missionarie. Secondo gli autori, questa disparità è problematica: «Le riforme legali dovrebbero prioritariamente garantire l’indipendenza da investitori con interessi economici nella società controllata, piuttosto che concentrarsi sull’indipendenza da donatori o fondatori».

Norme sul controllo nonprofit dell’impresa for-profit (analisi comparata). Fonte: The Anatomy of Non-profit Control of Business Enterprise

La chiave sta nella distinzione tra i due modelli che consente di identificare i benefici attesi e i rischi da mitigare. Se regolato in modo adeguato, il controllo di imprese for-profit da parte di enti non-profit consente di allineare performance economica, visione di lungo periodo e impatto sociale, offrendo una risposta strutturale alle criticità del modello azionario centrato sul valore per gli azionisti. Per policy maker e attori istituzionali, rappresenta una sfida ma anche un’opportunità, ovvero ripensare il concetto stesso di impresa nell’economia del XXI secolo.

Sofia Restani

 

Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

0 commenti



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Opportunità unica

partecipa alle aste immobiliari.