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Ristorazione: più lavoratori con meno imprese


Buone notizie per la ristorazione. Il settore è protagonista di una significativa ripresa dell’occupazione. Ma questo al prezzo di una falcidia di aziende. Il paradosso è apparente, come spiega Fiepet, l’associazione dei pubblici esercizi di Confesercenti, che ha realizzato un approfondimento sulla base dei dati camerali e del registro Asia Istat (Registro statistico delle imprese attive).

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Quarantacinque addetti al giorno

Il comparto è passato da uno stato di cassa integrazione molto diffuso e, per così dire, ‘pandemico’, a un ruolo di motore lavorativo, che si è dimostrato capace di generare oltre 45 nuovi posti al giorno nel 2019-2024.

Considerando tutti pubblici esercizi – ristoranti, pub, bar, ma anche servizi di catering per eventi e mense – lo scorso anno le nostre aziende hanno toccato un gran totale di 1 milione e 371mila addetti, con una crescita di 82mila impieghi rispetto al 2019 e un incremento cumulato del 6,4 per cento, un delta più che ragguardevole tenendo conto che, in mezzo, c’è stato il ‘buco nero’ del Covid.

Per la precisione l’analisi ha riguardato le imprese registrate nelle divisioni Ateco 56.1, 56.2 e 56.3, e ne ha tracciato l’evoluzione considerando tutte le tipologie di contratto: i lavoratori dipendenti – a tempo determinato, indeterminato e temporanei-, e gli indipendenti: titolari, soci lavoratori e collaboratori.

La vera accelerazione, comunque – precisa Fiepet – è arrivata più nettamente nell’ultimo biennio: ancora nel 2022 il settore contava una media annua di circa 20mila unità inferiore al periodo ante pandemico, recuperandone oltre 100mila nel 2023-2024.  

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Nell’intero quinquennio, a partire dal 2019, il contributo più significativo all’occupazione è arrivato dai ristoranti e dai servizi di ristorazione, che da soli hanno attivato oltre 100mila addetti in più, cui se ne aggiungono ulteriori 8mila per la divisione catering/mense.

Abbastanza per compensare il calo registrato, sempre in un lustro – dai bar e dagli esercizi senza cucina, dove si contano oggi quasi 26mila persone in meno, con una riduzione complessiva del 7,1%, riduzione che ha interessato, in particolare, i comuni sopra i 50mila abitanti e quelli sotto ai 15mila. Una perdita dovuta a ragioni abbastanza intuitive: il cliente preferisce i locali che mettono a disposizione un servizio completo, magari con una zona cottura ben visibile: queste imprese, inoltre si concentrano soprattutto su spuntini e pause pranzo, le quali hanno accusato la duplice stretta del lavoro a distanza e di un’inflazione che si è ripercossa con peculiare intensità sulle piccole spese, quelle costano meno sacrificio al morale. Non a caso le cene crescono molto di più dei pranzi.

Come cambiano le aziende

Le dinamiche dell’occupazione riflettono, almeno in parte, quelle delle imprese del settore, un settore che, dopo la pandemia, è andato verso un processo di consolidamento, il quale ne ha cambiato il volto.

Lo stop da Covid-19 ha inciso pesantemente, accelerando l’uscita dal mercato delle realtà più fragili: tra il 2019 e il 2024 le attività registrate nei comparti della ristorazione (divisione 56 Ateco, “Servizi di ristorazione”) sono diminuite di oltre 12.500 unità. Un calo che non si distribuisce in modo omogeneo: a scomparire sono state soprattutto le società individuali e quelle di persone, mentre le società di capitali sono esplose, portandosi da 92mila a 114mila (+24%). I dati evidenziano l’affermarsi della componente imprenditoriale più strutturata e più dotata di mezzi, e, quindi, in grado di affrontare meglio le sfide di un mercato competitivo. Infatti, al 2024 risultavano già cessate il 43,1% delle attività inaugurate nel 2019, dimostrando quello che dovrebbe risultate ovvio: le realtà più storiche, ma anche quelle più forti e più grandi, determinano un incremento dei posti di lavoro, anche in un clima di rarefazione delle ragioni sociali.

La situazione critica delle microimprese sta cambiando profondamente il classico modello del bar, con l’erosione della somministrazione senza cucina, tipica di molti esercizi di quartiere e di paese.

Dunque, complessivamente, lo stock delle aziende registrate nel servizio bar è diminuito dello 0,9% rispetto al 2019, con punte sopra la media nei comuni sotto i 15mila e sotto i 5mila abitanti (-1 e -1,5%), anche se la perdita di occupati, in valore assoluto, è più forte nei centri medio-grandi, dove il tessuto lavorativo è più denso.

Nelle località a propensione turistica, poi, si assiste, in modo molto intenso, a un progressivo spostamento dal solo servizio bar, verso una proposta commerciale che prevede anche la ristorazione servita.

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Il problema del ‘mismatch’

Ma c’è di più: in base alle indicazioni del Sistema informativo Excelsior Unioncamere-Anpal, per il trimestre maggio-luglio 2025 il 36% delle imprese con dipendenti che operano nei due comparti (turismo e ristorazione) ha programmato almeno un’assunzione.

Il 61% dei futuri contratti è indirizzato a figure con un’elevata qualifica professionale, il 23% con un livello di istruzione superiore e il 15% a profili che non richiedono un diploma.

Le posizioni più richieste sono quelle di cameriere di sala, cuoco, aiuto cuoco, pizzaiolo, pastaio, lavapiatti, ma anche “chef de rang”, executive chef, sommelier e direttori.

Nonostante la crescita del numero di addetti, però, le imprese fanno ancora fatica ad assumere. Una su due – il 49,5% – riferisce problemi nel reperimento delle competenze richieste, dovuti, nel 14,3% dei casi, alla preparazione inadeguata dei candidati.

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