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Dazi, perché l’Europa non ha usato il «bazooka» con Trump (e ora si ritrova quasi priva di mezzi di ritorsione)


di
Federico Fubini

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Tariffe (congelate) solo sul 6,5% dell’export Usa e bazooka «scarico»: i timori di colpire le Big Tech nel momento in cui la Casa Bianca si dichiara pronta a interrompere la tregua e riaprire la guerra commerciale

Dopo il Liberation Day del 2 aprile, con l’annuncio dei dazi «reciproci» fra il 20% e il 25% su un export da 605 miliardi di dollari, i ministri europei si sono posti una domanda: era il momento di imbracciare il bazooka? Il bazooka è un mezzo nuovo per l’Unione europea, costruito un anno e mezzo fa sotto il nome di «strumento anti-coercizione». Si tratta di una procedura rapida che permette a Bruxelles di imporre sanzioni — dazi inclusi — su Paesi che cerchino di esercitare sull’Europa un ricatto commerciale, finanziario o commerciale. Si attiva se la Commissione Ue decide che il rischio di coercizione esiste, in sostanza si carica il bazooka a scopo di dissuasione; quindi il dispositivo scatta se e quando serve.

Alla fine, nella prima settimana di aprile i ministri del Commercio dei 27 hanno preso una strada diversa: l’Unione europea avrebbe imposto dazi al 25% su importazioni dagli Stati Uniti per 21 miliardi di euro (24 miliardi di dollari), il 6,5% delle vendite di prodotti agricoli o industriali americani in Europa. Non solo lo strumento «anti-coercizione» non fu fatto scattare, ma non si avviarono neanche le procedure per averlo pronto in caso di necessità.




















































Il bazooka è rimasto a prendere la polvere. Resta lì anche ora che Donald Trump ha impresso l’ennesima sterzata, minacciando dazi al 50% su tutto l’export europeo fra sette giorni. Bruxelles ha in mano giusto l’opzione di dazi al 25% su prodotti di nicchia come soia, vernici e polietilene, allargabili in teoria fino a coprire non più di un quarto del totale delle vendite di beni americani in Europa (ma niente dei servizi). Nel momento in cui la Casa Bianca si dichiara pronta a interrompere la tregua e riaprire la guerra commerciale, l’Unione si trova per ora quasi priva di mezzi di ritorsione.

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Bruxelles e le altre capitali avevano creduto molto a quella tregua, aperta il 10 aprile scorso quando la reazione dei mercati aveva spinto Trump a ridurre i dazi al 10% per tre mesi. Pensavano di avere tempo e intanto avevano congelato qualunque contromisura. Di recente la Commissione Ue aveva anche sondato i negoziatori di Tokyo e Seul sull’ipotesi di un prolungamento della «sospensione» di Trump: si pensava che i dazi americani al 10% (più che quadruplicati rispetto a gennaio) sarebbero potuti rimanere tutta l’estate, mentre Bruxelles e Washington discutevano con calma.

La ragione per cui il bazooka non è mai stato attivato va al cuore dell’insicurezza dell’Unione europea. Per renderle efficaci, quelle misure avrebbero dovuto colpire gli americani là dove fa male: i servizi digitali e quelli finanziari come le carte di credito. Ma l’Europa non produce niente di tutto questo. Registra un deficit negli scambi con gli Stati Uniti da oltre 130 miliardi di euro solo sui «diritti di proprietà intellettuale», il denaro speso per un abbonamento a Netflix, Amazon Prime, Chat-GPT o per i servizi di Facebook. I colpi del bazooka si sarebbero ritorti contro i cittadini europei sotto forma di rincari sulla loro vita digitale, perché quelle tecnologie sono insostituibili dal «made in the EU». Lo stesso vale, in parte, per i servizi finanziari.

Gli equivoci del negoziato hanno fatto il resto. Bruxelles puntava a dazi «zero-per-zero» — libero scambio bilaterale — offrendosi di comprare più armi e gas dall’America. Washington invece vuole tenere i dazi al 10%, ma chiede impegni europei ad alzare barriere sulla Cina, eliminare le web tax e le regole antitrust sui colossi digitali di Silicon Valley, oltre a eliminare l’Iva per i prodotti statunitensi. È stato un dialogo fra sordi e del resto la Commissione non ha un mandato dei governi a fare concessioni sugli aspetti fiscali nelle loro mani. A Bruxelles si sono giusto avviate altre «indagini» — dopo quella sull’auto — per capire se Pechino sussidi certi prodotti industriali e dunque meriti altri dazi. Nulla più.

Così l’Europa ha continuato ad operare come vivesse nel mondo di ieri; Trump ha continuato con la sua strategia del caos. Mark Carney, il premier canadese, ha promesso di «combattere» in questa guerra commerciale e ha detto che il vecchio rapporto con l’America, basato sull’integrazione crescente, «è finito». L’Europa preferisce non pensarci.

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25 maggio 2025 ( modifica il 25 maggio 2025 | 12:41)

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