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Imprese: voglia di export anche tra le piccole


Per Unioncamere sono almeno 17 mila le aziende potenziali esportatrici

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In Italia ci sono almeno 17mila imprese che hanno tutte le caratteristiche e le potenzialità per esportare, ma non lo fanno. Lo segnala un rapporto di Unioncamere, realizzato dal centro studi Tagliacarne sulla base dei dati sulla struttura delle imprese che esportano. L’export di beni made in Italy è, come noto, un pilastro della nostra economia. Ha dato un contributo fondamentale alla crescita del Pil: negli ultimi 5 anni, infatti, è cresciuto del 30%, raggiungendo i 623,5 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti anche gli oltre 141 miliardi relativi alla vendita di servizi.

Tuttavia, segnala il nuovo rapporto, si potrebbe fare meglio: almeno altre 17mila imprese potrebbero aprirsi ai mercati internazionali se “adeguatamente supportate”, in quanto da sole non riescono farlo o lo fanno solo occasionalmente. Sono numeri su cui riflettere perché, se queste imprese potenziali esportatrici attivassero tutte le condizioni per passare concretamente all’export, l’aumento del fatturato complessivo viene stimato tra il 2,6% e il 3 per cento.

Più nel dettaglio, delle 17mila imprese potenziali esportatrici 5.601 sono aspiranti tali ovvero aziende, soprattutto micro, che attualmente non esportano, ma hanno tutte le carte in regola per farlo, e 11.427 sono emergenti, ovvero esportano solo in via occasionale, ma avrebbero le potenzialità per consolidare la loro posizione all’estero. In termini di localizzazione la Lombardia esprime il maggior numero di questa categoria di aziende (4.259, il 25% del totale); seguono Veneto (1.933, 11,4%) ed Emilia-Romagna (1.501, 8,8%). A livello provinciale, se Milano si conferma prima nella graduatoria, con 1.412 imprese potenziali esportatrici, ovvero l’8,3% del totale, al secondo posto troviamo Roma (731 realtà, il 4,3%) e Torino (720 , il 4,2%). Nel complesso, quindi, il 59,7% delle potenziali esportatrici si concentra al Nord (55,1% delle aspiranti e 62% delle emergenti), mentre al Sud ha sede il 21% (24,5% delle aspiranti e 19,3% delle emergenti) e al Centro il 19,2% (20,5% e 18,6% rispettivamente).

Per quanto riguarda i mercati di sbocco delle imprese emergenti risulta che, su 11.427 aziende, 1.600 esportano verso gli Stati Uniti e per due terzi di queste il mercato statunitense rappresenta l’unico sbocco oltre confine. Un dato rilevante se messo in relazione alle tensioni commerciali degli ultimi mesi.
Nel complesso le imprese emergenti realizzano negli Usa il 15,7% delle loro esportazioni, per un totale di 87,4 milioni di euro.

Va da sé che oggi il mercato degli Usa rappresenta un’incognita non trascurabile per queste realtà, che sono sicuramente più vulnerabili, quindi più esposte alle continue incertezze che derivano dalle dichiarazioni di Trump sui dazi, rispetto alle imprese che hanno un’esperienza di esportazioni più consolidata. Tuttavia, il mercato della Ue potrebbe rappresentare una via di sbocco affidabile perché, come ha recentemente ricordato Mario Draghi, il 54,5% delle esportazioni italiane di beni sono frutto di scambi all’interno della Ue, dove però permangono barriere interne al mercato unico, che equivalgono a un ‘dazio’ che incide per circa il 40% sullo scambio di beni e addirittura per circa il 110% sullo scambio di servizi. È quindi auspicabile, sottolinea il rapporto, una maggiore integrazione europea anche nelle politiche commerciali.

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Per Unioncamere, In un contesto di frammentazione delle aziende e incertezza geopolitica sostenere l’innovazione e rafforzare la capacità di export delle Pmi è fondamentale: valorizzare le imprese potenziali esportatrici consentirebbe di superarne l’isolamento – in particolare per le micro – e di accompagnarle in percorsi di crescita più strutturati, consentendo loro di passare dallo stato potenziale a quello di effettivo esportatore, contribuendo così, tra l’altro, ad aumentare il Pil del nostro Paese.





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