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Guerra Israele-Iran, quali conseguenze per le imprese italiane?


Svolta drammatica nello scenario mediorientale con i recenti attacchi aerei israeliani sui siti nucleari iraniani e la risposta di Teheran che ha lanciato oltre 100 droni.

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L’esplosione del conflitto e l’inasprimento delle tensioni non sono solo destinati a ridefinire gli equilibri geopolitici, ma stanno già avendo ripercussioni dirette sui mercati e l’economia globale.

Per le imprese, la guerra Israele-Iran si traduce infatti in nuove incertezze, dall’impennata dei prezzi energetici ai rischi per l’export, fino alle criticità nelle catene di approvvigionamento. Ma quali sono le principali conseguenze per il tessuto produttivo italiano?

La crisi in Medio Oriente e la dipendenza energetica dell’Italia

Il primo effetto tangibile della crisi è l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche. L’Italia, come noto, è fortemente dipendente da gas e petrolio provenienti dal Medio Oriente, con quasi un terzo delle forniture energetiche nazionali che arriva da quest’area.

L’escalation militare ha già generato un incremento del prezzo del petrolio, con ripercussioni immediate su inflazione e costi di produzione. Questa vulnerabilità energetica, eredità di decenni di politiche basate sull’importazione di energia, espone il sistema industriale italiano a rischi di “shock” improvvisi: senza energia a prezzi sostenibili, molte filiere rischiano infatti di rallentare o addirittura fermarsi.

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La situazione è aggravata dalla fragilità dei nuovi fornitori. Dopo la crisi russo-ucraina, l’Italia si è affidata in misura crescente all’Algeria, Paese che non offre le stesse garanzie di stabilità geopolitica.

In prospettiva, quindi, la soluzione strutturale passa per la diversificazione delle fonti e lo sviluppo delle rinnovabili, ma nell’immediato le imprese devono fare i conti con costi crescenti e margini sotto pressione.


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Export a rischio e l’effetto domino del Mar Rosso su logistica e filiere globali

La guerra coinvolge due mercati strategici per l’Italia. Da un lato Israele, verso cui il Paese esporta beni per oltre 3,3 miliardi di euro l’anno, con una bilancia commerciale storicamente favorevole e una domanda in crescita soprattutto nei settori meccanica, arredamento, farmaceutica e automotive. Dall’altro, l’intera area mediorientale che rappresenta un mercato da oltre 25 miliardi di euro per l’export italiano, pari al 4,1% del totale nazionale.

Tuttavia, l’allargamento del conflitto rischia di invertire questa tendenza e le imprese italiane potrebbero trovarsi di fronte a conseguenze drastiche tra domanda in calo, difficoltà logistiche e maggiori costi assicurativi. Anche l’importazione di materie prime e componenti da Israele potrebbe ovviamente subire rallentamenti, con effetti a cascata su intere filiere produttive.

Oltre ai rischi diretti legati a energia ed export, la crisi Israele-Iran aggrava le tensioni sulle rotte commerciali mondiali. Il Mar Rosso, già teatro nel 2024 di attacchi ai cargo da parte degli Houthi sostenuti dall’Iran, è diventato un punto critico per il commercio globale e per l’Italia, che partecipa attivamente alla Task Force internazionale per la sicurezza dell’area. Ogni nuova escalation aumenta infatti i rischi per le navi commerciali, con ritardi nelle consegne e costi di trasporto in crescita.

Le imprese italiane, in particolare quelle attive nell’export verso Asia e Africa, devono dunque fronteggiare una doppia minaccia: da un lato la volatilità dei prezzi energetici, dall’altro l’incertezza sulle rotte logistiche coinvolte.

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