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Energia, l’allarme delle fonderie: «O il governo disaccoppia il prezzo di elettricità e gas oppure per noi è la fine»


di
Massimiliano del Barba

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Il presidente nazionale di Assofond Fabio Zanardi: «Nel 2024 la produzione si è attestata a circa 1,6 milioni di tonnellate di fusioni, in calo del 12,3%»

L’allarme è stato lanciato senza mezzi termini la scorsa settimana a Soave, in provincia di Verona, durante l’ultima assemblea nazionale di Assofond, la Confindustria dei fonditori di acciaio, ghisa, rame e leghe di metalli non ferrosi: «La situazione è di estrema urgenza, con molte aziende che rischiano la chiusura in assenza di un concreto cambio di rotta. 

Un contesto peraltro comune all’industria italiana nel suo complesso che, prima del leggero rimbalzo di aprile (+0,3%), era reduce da una lunghissima serie di 26 mesi consecutivi di calo tendenziale della produzione» è la premessa del presidente della federazione, il veronese Fabio Zanardi, il quale aggiunge al Corriere: «Nel 2024 la produzione delle fonderie italiane si è attestata a circa 1,6 milioni di tonnellate di fusioni, in calo del 12,3% rispetto al 2023, mentre il fatturato è diminuito del 12,8%. Per le fonderie di metalli ferrosi, il calo è stato ancora più marcato: -17,2% nella produzione, che ha raggiunto i livelli più bassi dal 1980, e -19,2% nel fatturato. Hanno invece mostrato qualche segnale di resistenza le fonderie di metalli non ferrosi, le quali hanno chiuso l’esercizio con un calo della produzione del 6,1% e del fatturato del 9,2%. Anche il primo trimestre del 2025 non ha invertito la rotta, registrando un -9,5% nella produzione e -8,7% nel fatturato rispetto allo stesso periodo del 2024. Questa contrazione non è un evento isolato, ma il risultato di una tendenza ormai di lungo periodo che compromette competitività e domanda globale delle imprese. Il settore è schiacciato tra una domanda in forte rallentamento e costi di produzione troppo elevati, in particolare quelli energetici, tra i più alti d’Europa e del mondo». 




















































Secondo Zanardi la priorità politica è oggi quella di disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas: «Anche se il 45% del mix energetico nazionale proviene ormai da fonti rinnovabili, il prezzo dell’elettricità in Italia rimane legato a quello del gas: una grave anomalia che penalizza le imprese e distorce il mercato. E mentre le fonderie lottano per la sopravvivenza, i fornitori di utilities registrano profitti record». 

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Altra azione che secondo i fonditori andrebbe immediatamente messa in campo è una misura di natura fiscale: «Una leva possibile per ridurre i costi energetici è quella del credito d’imposta. Quando è stato introdotto si è rivelato uno strumento rapido, efficace e mirato. Si potrebbe pensare di riproporlo, con le dovute modifiche e aggiornamenti al nuovo contesto, in attesa dell’auspicata riforma strutturale del mercato elettrico». Zanardi poi guarda all’Europa e alle sue politiche di decarbonizzazione, ma anche all’avanzata dell’industria cinese, in particolare di quella legata al comparto automotive, nei mercati occidentali: «L’Europa — è la sua conclusione — deve decidere se perseguire i suoi obiettivi di decarbonizzazione con un approccio pragmatico e aperto a possibili deviazioni, oppure con un approccio ideologico che porta dritti alla deindustrializzazione, con effetti potenzialmente disastrosi non solo in termini economici e occupazionali ma anche di dipendenza strategica da Paesi ostili o potenzialmente tali».

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16 giugno 2025

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