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Bioeconomia, una visione innovativa e sostenibile per il futuro


L’obiettivo della bioeconomia è utilizzare risorse biologiche rinnovabili nei diversi settori della produzione fino a sostituire i combustibili fossili per promuovere una crescita economica sostenibile per l’ambiente

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Serena Fumagalli, Senior Economist Research Department di Intesa Sanpaolo (foto Intesa Sanpaolo)

Una visione innovativa per un futuro sostenibile

La bioeconomia produce cibo, materiali ed energia utilizzando risorse biologiche rinnovabili. L’obiettivo è arrivare a sostituire i combustibili fossili con fonti sostenibili per promuovere una crescita economica che non abbia un impatto negativo sull’equilibrio ambientale e partecipi attivamente alla lotta al cambiamento climatico.

La bioeconomia si sta affermando nei sistemi produttivi? Quali possono essere gli sviluppi futuri? A margine della presentazione dell’XI Rapporto su La Bioeconomia in Europa, redatto dal Research Department di Intesa Sanpaolo con il cluster SPRING, abbiamo intervistato Serena Fumagalli, Senior Economist Research Department di Intesa Sanpaolo che ha partecipato alla stesura del Rapporto con Laura Campanini e Stefania Trenti.

Quale impatto sul futuro è ragionevole prevedere per la bioeconomia?

Le stime di quest’anno confermano che si tratta di un settore rilevante per il nostro Paese, anche grazie al crescente sviluppo di sistemi innovativi per produrre in un’ottica bio-based.

Non sono disponibili stime precise sull’impatto futuro, ma sicuramente la bioeconomia ha un potenziale significativo che deve essere sostenuto con determinazione se vogliamo pensare a uno sviluppo sostenibile non solo dell’economia italiana, ma a livello globale.

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Riteniamo che sarà sempre più rilevante ragionare in un’ottica di utilizzo di input rinnovabili e di riutilizzo delle risorse, che in futuro saranno sempre più scarse.

In quali settori produttivi inciderà di più la bioeconomia nei prossimi anni?

Ad oggi sicuramente la filiera agroalimentare è quella più rappresentativa della bioeconomia italiana ed europea, ma stanno crescendo anche altre filiere.

In Italia, ad esempio, ha un peso rilevante la moda bio-based che privilegia l’utilizzo di fibre naturali.

Vediamo sviluppi significativi sia nei settori più tecnologicamente avanzati – come la chimica bio-based e la plastica bio-based – sia in quelli a media e alta tecnologia.

La bioeconomia offre opportunità in modo trasversale: la ricchezza di questo metasettore è anche nell’interconnessione tra filiere diverse. Da settori più tradizionali come l’agricoltura a filiere più tecnologicamente avanzate come la chimica, si sviluppano processi che si possono applicare anche ai settori tradizionali.

Qual è il contributo della bioeconomia alla lotta ai cambiamenti climatici?

L’obiettivo è creare un modello alternativo di sviluppo economico sempre più attento alle tematiche ambientali.

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Utilizzare le risorse naturali e ridurre gli scarti in un’ottica di chiusura del ciclo economico va nella direzione di uno sviluppo più sostenibile dal punto di vista ambientale che, di conseguenza, può avere un impatto sulla mitigazione del cambiamento climatico.

La bioeconomia sta facendo emergere dei nuovi modelli di business? Quali sono le potenziali opportunità di mercato?

In questi anni abbiamo conosciuto anche startup, imprese grandi e piccole che hanno utilizzato dei modelli di nuovi processi industriali in ottica bioeconomica.

Abbiamo riscontrato in diversi settori che utilizzare risorse naturali per applicarle ai propri processi produttivi è possibile. Può essere un modo per produrre in maniera differente e creare modelli di sviluppo alternativi a quelli tradizionali.

Negli anni, ad esempio, con gli scarti della filiera agricola sono stati prodotti materiali tessili che hanno avuto successo e uno sviluppo importante sul mercato. Uno dei primi casi è stato quello di Orange Fiber: con gli scarti di lavorazione delle arance ha creato tessuti utilizzati in una collezione di Ferragamo.

Negli anni si sono fatti passi avanti. Bisogna fare in modo che le start up riescano a diventare imprese che si reggono grazie a una domanda di mercato: solo se il mercato domanda prodotti di un certo tipo si riesce ad avere un valore economico.

Quali sono i principali stakeholder del settore?

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Sono coinvolti tanti attori diversi. Sicuramente il mondo imprenditoriale, nel senso che le imprese fanno innovazione e la mettono sul mercato.

Oltre al mondo della ricerca – università, centri di ricerca, laboratori – c’è quello della politica.

La forza della bioeconomia è l’interconnessione di settori diversi che richiedono sinergia.

Se tutti fossero in grado di dialogare e mettere sul tavolo i propri obiettivi e le proprie esigenze sarebbe più facile portare avanti scelte e processi.

Qual è il ruolo di questi attori e in che modo interagiscono?

Politica, ricerca, industria e agricoltura sono sicuramente interconnessi. La politica fa delle scelte, deve dare una visione, deve supportare dei processi.

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Università e centri di ricerca devono fare un’innovazione “di frontiera” che poi si deve mettere a terra.

Qui entrano in gioco le aziende che la concretizzano con processi e prodotti realizzati per la comunità e poi immessi sul mercato.

Economia circolare e bioeconomia sono complementari?

L’economia circolare è un tipo di economia che permette di chiudere il cerchio in un’ottica bioeconomica.

La bioeconomia è costituita da quei processi che utilizzano input rinnovabili, biologici, bio-based. In un’ottica circolare, questi input non si disperdono ma si riutilizzano, quindi anche qui si chiude il cerchio.

Pertanto, economia circolare e bioeconomia sono assolutamente complementari. Non a caso, si parla sempre più spesso anche di bioeconomia circolare, ovvero non solo utilizzare input rinnovabili ma anche rimetterli nei processi produttivi.



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