«Sì, la cultura è una leva strategica per attivare trasformazioni sociali, oltre che profitti economici, lavoro, sviluppo. In questo contesto Napoli può rappresentare un caso di scuola. Una capitale civile e culturale mediterranea da millenni, un opificio, un sistema urbano ricchissimo di risorse materiali e immateriali».
Il ministro Alessandro Giuli rilancia l’appello e sostiene la sfida del direttore de «Il Mattino», Roberto Napoletano, motore della giornata di confronto al San Carlo organizzata anche per tentare di azionare investimenti della finanza, delle imprese private e delle fondazioni, accanto ai finanziamenti pubblici già disponibili. Quelli di Roma stanziati, ricorda Giuli, «ben prima che io diventassi ministro: con convinzione e con la consapevolezza che qui è possibile verificare un intervento strutturato sul patrimonio culturale, se ben progettato, se seguito, se motivato da concordia, può dare risultati», producendo sviluppo e lavoro, «ma anche inclusione, ricerca, turismo diffuso e sostenibile».
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I prossimi interventi
In concreto, Giuli cita la riqualificazione in corso nell’ex Albergo dei Poveri per «restituirlo alla città»: «Con 148 milioni e riapertura prevista per il 2026 e il 2029». Entro l’autunno è invece programmata l’istituzione del Museo campano dell’arte salvata, a Castel Sant’Elmo, dove mostrare le opere rubate e recuperate dai carabinieri tenute nei depositi. E poi c’è il parco con le tombe di Virgilio e Leopardi da poco ritrovato («Grazie ai fondi del Pnrr, ben spesi»). E le sale dedicate alle città vesuviane al Mann, con la presentazione attesa a stretto giro. Quanto al Monte di Pietà, chiuso da un decennio nel centro storico, si cambia destinazione: «Non verrà ovviamente venduto ai privati, ma aspetta sempre che i privati si interessino di ciò che il pubblico fa per attrarre l’attenzione. Contiamo sulla collaborazione delle strutture, delle università, delle istituzioni culturali. Lo renderemo un luogo di ricerca e di formazione». Non un archivio, come annunciato in precedenza. «La sua cappella, il Seicento napoletano meritano di più», afferma Giuli, raccontando lo stupore della scoperta del complesso avvenuta portando «mio figlio a spalla, per cinque piani, con una maglietta di Maradona». «Perché l’economia della cultura», tira le somme il ministro, «non è un concetto astratto, ma una realtà che si costruisce ogni giorno, progetto dopo progetto. E Napoli oggi è uno dei luoghi in cui questa costruzione è più evidente, sotto i nostri occhi».
La lettera
Riscossi gli applausi anche del sindaco Gaetano Manfredi, Giuli si alza per andare via, ma Teresa Saponangelo gli chiede di restare per la sua performance, perché vuole leggere una lettera: «È dedicata a lei, è breve, sono sette minuti» dice l’attrice senza aggiungere nell’incipit che la lettera in questione è datata 1959, indirizzata all’allora ministro dello spettacolo Umberto Tupini, firmata da Eduardo de Filippo e ripresa in «Tavola tavola chiodo chiodo» da Lino Musella. Qui, al San Carlo, diventa l’espediente per accendere un faro sulle criticità del settore. «Le cose sono le stesse potuto scrivere 10-12 anni fa, sono le stesse che avrei potuto dire oggi…».
Saponangelo si sfila gli occhiali: «Ministro, ci convochi…» Conclude lei: «Noi le suggeriremo un sacco di cose per migliorare il nostro teatro». E Giuli, al microfono, innanzitutto la ringrazia «per questa sollecitazione.., per la forza e la passione morale che ha impegnato». Senza esitare, le apre le porte del ministero, aggiungendo: «Questo è un modo per dialogare che a me piace, perché il palcoscenico è alto, perché le persone sono in grado di capire dalle parole di un’attrice di teatro, come Teresa Saponangelo, di che cosa stiamo parlando. Perché il tono è duro ma è rispettoso e richiede un confronto». Promette lui: «C’è disponibilità al dialogo, mi creda, quindi ci incontreremo e parleremo». La platea applaude.
A Giuli non è immediatamente chiaro che quelle parole, così accorate, sono opera di De Filippo. «È una lettera talmente contemporanea su armi, cultura, rapporto tra città e periferia, la scarsa considerazione che la cosa pubblica ha avuto nei confronti del teatro…», commenterà all’uscita dal San Carlo, stavolta utilizzando lui stesso l’appello come stratagemma per «precisare il lavoro di discontinuità rispetto sia all’epoca, a cui si riferiva Eduardo, sia alle precedenti gestioni del ministero della Cultura, che oggi sta completando un codice dello spettacolo. Con un confronto con tutti. E altri incontri con istituzioni, enti locali continueranno ad esserci», rimarca, spiegando che è impegnato a reperire finanziamenti anche per l’ambito. E conclude: «A Napoli stiamo utilizzando bene i fondi del Pnrr, stiamo lavorando di concerto con gli enti locali a cominciare dal Comune, ma anche con la Regione, stiamo mettendo tutte le risorse possibili per far comprendere agli investitori nazionali e internazionali privati che Napoli ha una straordinaria attrattività e le condizioni già ci sono», torna a parlare della città. Con un saluto da «Benvenuti al Sud»: «La vera fatica non è venire a Napoli, ma doversene andare… Non basta mai».
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