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La Commissione europea inciampa nella rincorsa a destra: “Ritireremo la legge contro il greenwashing”. Ma poi smentisce


Bruxelles – Le avvisaglie c’erano già tutte. Nel nome della competitività europea da rilanciare, i pacchetti di semplificazione normativa e il rinvio di importanti file relativi alla transizione verde. Oggi (20 giugno), un segnale politico incontrovertibile da parte della Commissione europea più a destra di sempre: due giorni dopo la richiesta congiunta di Popolari e Conservatori, Bruxelles sta considerando di ritirare la proposta di legge sulle dichiarazioni ambientali, che mira a combattere il fenomeno del greenwashing da parte delle aziende.

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Poco importa se la direttiva, proposta nel marzo del 2023 dalla prima commissione von der Leyen, è da mesi approdata ai triloghi (i negoziati interistituzionali, l’ultimo passaggio prima del via libera finale). Il terzo trilogo è previsto tra pochi giorni, il 23 giugno. E probabilmente si farà lo stesso. Il caso è scoppiato e si è chiuso in 48 ore: il 18 giugno i relatori ombra del Partito Popolare europeo per il provvedimento hanno inviato una lettera alla commissaria Ue per l’Ambiente, Jessica Roswall (anche lei parte del Ppe), in cui chiedevano esplicitamente di ritirare la normativa. Due giorni dopo, l’ammissione del portavoce dell’esecutivo Ue, Maciej Berestecki: “Posso dire che nel contesto attuale, in effetti la Commissione europea intende ritirare la proposta di una nuova legge sulle dichiarazioni ambientali”.

Punto. Nessuna spiegazione ufficiale a corollario e una buona dose di imbarazzo nella sala in cui i portavoce di Bruxelles svolgono briefing quotidiani con la stampa europea. Tant’è che poco dopo, fonti della Commissione europea smentiscono in parte l’annuncio. Non è ancora stata presa alcuna decisione definitiva – spiega un alto funzionario -, ma solo l’intenzione di “informare i colegislatori che potremmo prendere in considerazione il ritiro, dare loro un preavviso”. Bruxelles prova a raccogliere i cocci, e giustifica la mossa a sorpresa proprio perché alla vigilia dell’incontro potenzialmente definitivo per adottare la legge. “Siamo giunti a un punto in cui il Consiglio ha distorto gli obiettivi della proposta – rimedia una fonte -, non c’è ancora un accordo completo, ma per ora la valutazione è che sta andando completamente nella direzione sbagliata”.

La direttiva puntava a garantire che i consumatori ricevessero informazioni ambientali affidabili, comparabili e verificabili sui prodotti, e obbligava le aziende a dimostrare la veridicità delle loro etichette. Vincoli che “rischiano di ostacolare indebitamente la comunicazione in materia di sostenibilità attraverso procedure eccessivamente complesse, onerose dal punto di vista amministrativo e costose“, si legge nella lettera ricevuta da Roswall, in cui il Ppe prende in prestito per convenienza – prassi ormai consolidata anche per altri gruppi politici – le tesi del rapporto Draghi e la necessità dell’Ue di rafforzare la propria competitività globale.

Fonti della Commissione confermano che in effetti il problema sarebbe che “la posizione del Consiglio include ancora le microimprese nel campo di applicazione” della direttiva, mentre Bruxelles vorrebbe garantire loro importanti esenzioni. Il rischio sarebbe che “30 milioni di microimprese, pari al 96 per cento di tutte le imprese”, che già investono nelle dichiarazioni di sostenibilità, “non lo faranno più perché sarà troppo complicato” e questo “sarebbe contrario all’obiettivo della proposta”.

Il presidente del Ppe, Manfred Weber, con il copresidente di Ecr, Nicola Procaccini, 19/06/25

L’ultima acrobazia a microfoni spenti per cercare di rimediare alla gaffe ‘on the record‘ riguarda le pressioni dei partiti di destra ed estrema destra per rinunciare alla direttiva. “Un semplice cambiamento di maggioranza, qualunque essa sia, non è un motivo valido per la Commissione per ritirare una proposta”, smentisce una fonte. La Commissione europea non risponde insomma ad una nuova maggioranza composta dal Partito Popolare e dai partiti di estrema destra, completamente diversa da quella che ne ha sostenuto l’elezione. Intanto però i conservatori di Ecr cantano vittoria: “Il lavoro e la determinazione del gruppo Ecr e della delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, hanno permesso di bloccare la direttiva Green Claims da parte della Commissione Europea”, esultano Carlo Fidanza e Nicola Procaccini. Per i due meloniani si tratta di “un altro pezzo del Green Deal ideologico firmato Timmermans”, contro il quale Ecr “si batte fortemente dalla scorsa legislatura europea e che finalmente sembra incontrare il buon senso della Commissione Ue e di altre forze politiche“.

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In realtà, l’astio del Ppe nei confronti del Green Deal è iniziata da tempo, sul finire della scorsa legislatura che inaugurò il grande piano di transizione verde. Ma ora, forte dei nuovi equilibri all’Eurocamera, decisamente più a destra – così come al Consiglio dell’Ue e nello stesso collegio dei Commissari – il leader dei popolari Manfred Weber ha trasformato un’opposizione strisciante in una crociata contro tutta l’architettura legislativa costruita dal suo stesso partito appena cinque anni fa.

Solamente ieri l’ultimo caso emblematico: insieme ai gruppi di estrema destra, i cristiano-democratici hanno lanciato una vera e propria caccia alle streghe approvando l’istituzione di un gruppo di lavoro interno all’Eurocamera per setacciare eventuali infrazioni nei finanziamenti europei distribuiti alle ong ecologiste. La domanda è: quanto ancora la Commissione europea asseconderà l’impeto smantellatore del Ppe nel nome della semplificazione normativa? Dopo la direttiva sui ‘green claims‘, a rischio ci sarebbe la legislazione sul monitoraggio delle foreste e del suolo, la cui proposta è ferma da tempo sia all’Eurocamera che al Consiglio dell’Ue. Lo stesso portavoce ha assicurato che il ritiro riguarderebbe solo la direttiva sulle dichiarazioni ambientali. “Se davvero Ursula von der Leyen dovesse cedere a queste pressioni, ci troveremmo di fronte non solo a una gravissima violazione dell’indipendenza del Collegio dei Commissari, ma a una palese rinuncia ai doveri istituzionali della Commissione”, ha commentato amaramente Sandro Gozi, eurodeputato di Renew e relatore del provvedimento per l’Eurocamera.



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