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Venti famiglie a rischio sfratto


Roma, case popolari a peso d’oro: il paradosso di Colle Fiorito B48

Venti famiglie rischiano di perdere la casa, i soldi investiti e ogni diritto a causa dell’inerzia del Comune di Roma, che da gennaio scorso non compie un atto formale decisivo per salvarle da uno sfratto paradossale. Basta una semplice determina dirigenziale che autorizza lo stanziamento economico a favore della società di recupero crediti Siena NPL. Ma al 5 giugno, come comunicato dal Campidoglio, non si è “ottenuto riscontro da parte del MIMIT”, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

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È l’ennesima pagina oscura nella gestione dei Piani di Zona della Capitale. Il caso riguarda il Colle Fiorito B48, in zona La Storta, un progetto di edilizia popolare nato sotto la Legge 167 che è diventato un labirinto di fallimenti, ipoteche bancarie e trasferimenti societari fittizi.

 

La trappola finanziaria

L’immobile era stato realizzato dalla Cooperativa “Una Casa Insieme”, che aveva beneficiato di un finanziamento pubblico regionale di circa 149.000 euro e di un terreno comunale in concessione. Tra il 2006 e il 2012, venti famiglie avevano aderito al progetto versando importi compresi tra 50.000 e 180.000 euro. La cooperativa aveva acceso un mutuo frazionato con Monte dei Paschi di Siena, ogni assegnatario pagava regolarmente la propria quota mensile tramite MAV per sei anni consecutivi.

Nel novembre 2015, la cooperativa cede l’intera palazzina al Consorzio Praeneste 2, riconducibile agli stessi soggetti. A gennaio 2016, anche i soci vengono trasferiti senza essere informati né consultati. Il mese successivo, la cooperativa fallisce e viene posta in liquidazione coatta amministrativa. Il mutuo resta scoperto, la banca avvia il pignoramento nel 2020. I residenti continuano a pagare, convinti di essere in regola.

“Tra versamenti alla cooperativa e rate MAV ho pagato 121 mila euro. Se non mi danno la casa, ho perso tutto”, spiega Denis Torredimare, rappresentante del Piano di Zona Colle Fiorito  ex Cooperativa “Una casa insieme”.

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Affitti raddoppiati, famiglie sul lastrico

Dal 2023, il Tribunale impone agli occupanti il pagamento di un’indennità di occupazione “abusiva” calcolata a prezzi di mercato, in pratica un affitto doppio rispetto ai canoni agevolati comunali. “Per un appartamento di 55 metri quadri mi chiedono 721 euro al mese” continua Torredimare. “Secondo le tabelle del Comune dovrebbero essere 330 euro. Il mio stipendio è di 950 euro al mese e sono in ritardo di cinque mensilità”.

 

Colle Fiorito, edilizia popolare: Comune fermo da mesi (ph web)

Altre famiglie sono in condizioni simili, se non peggiori. Biagio Corvino è uno dei tanti cosiddetti “proprietari abusivi”. “Guadagno sui 1.600 euro – racconta – e pago 1.033 euro di indennità. Dovrei pagarne 730. Ho accumulato otto mesi di arretrati. Finora ho versato circa 110 mila euro, ma ne hanno riconosciuti appena 70 mila“.

 

Alcuni inquilini pagano canoni fino a 1.178 euro al mese. Almeno tre persone hanno lasciato casa. Domizia Troiani, disoccupata, ha abbandonato l’appartamento ad aprile 2024: “Per 41 metri quadri pagavo 509 euro invece dei 283 previsti. Ho versato 85 mila euro tra anticipo e mutuo. Ora vivo con due figli piccoli a casa di mia madre pensionata”.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

 

Il documento fantasma

Il Comune di Roma è oggi il formale proprietario della palazzina e avrebbe tutto l’interesse a intervenire per bloccare la procedura esecutiva. Lo ha già fatto in altri Piani di Zona come Borghesiana, Castelverde, Montestallonara e Tor Vergata, dove l’amministrazione è intervenuta e i giudici hanno estinto i pignoramenti.

A Colle Fiorito, invece, da gennaio 2025 il procedimento è fermo e il giudice ha avvertito che, senza un atto formale del Comune, sarà costretto a decidere da solo. La decisione potrebbe essere lo sgombero.

Come se non bastasse, alcune famiglie ricevono raccomandate da Roma Capitale che comunicano la perdita dei requisiti per l’edilizia agevolata a causa del superamento del limite di reddito di 33 mila. “Ma quei requisiti erano validi oltre vent’anni fa. Pretendere che siano immutati dopo decenni è irragionevole” conclude Torredimare.

Una firma, un timbro, un foglio. E’ tutto ciò che serve per impedire che queste famiglie finiscano in strada. Ma il Comune, da mesi, è chiuso per inerzia.


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