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un motore acceso, ma ancora troppo invisibile. Terni fanalino di coda


Nel cuore dell’Italia, c’è un’economia che funziona ma non si vede. È l’Umbria delle imprese coesive, capace di innovare in silenzio, ma ancora lontana dai riflettori. A rivelarlo è il rapporto “Coesione è Competizione” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, che propone la regione come un possibile laboratorio nazionale di sviluppo relazionale.

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In un’Italia dove cresce il peso delle imprese “coesive” – quelle capaci di costruire legami forti con lavoratori, clienti, istituzioni e territorio – l’Umbria si ritaglia un ruolo piccolo ma significativo. Secondo i dati del 2024, quasi il 44% delle imprese manifatturiere italiane si muove in questa direzione. L’Umbria incide per il 2% su questo totale, una quota che, letta alla luce del PIL regionale (fermo all’1,4-1,5% del nazionale), segnala una propensione alla coesione sopra la media.

Ma c’è un paradosso che il presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni, non esita a denunciare: “L’Umbria non è in ritardo sulla coesione: è inascoltata. Abbiamo imprese che innovano senza clamore e creano valore condiviso, ma restano ai margini del racconto nazionale. Serve una narrazione forte, radicata nei dati e nelle esperienze”.

Manifattura relazionale: l’Umbria c’è, ma non si racconta

È nel comparto manifatturiero che la regione dà il meglio di sé. Qui, quasi il 40% delle imprese può essere definito coesivo. Un dato che la colloca all’11° posto su 20 regioni italiane. Lontana dai vertici rappresentati da Trentino-Alto Adige (60%) ed Emilia-Romagna (50%), ma comunque sopra Lazio, Marche e vicina alla Toscana.

Si tratta, spiega il rapporto, di una manifattura “relazionale”, fatta di imprese che collaborano, si aprono al territorio, investono in capitale umano. Ma che pagano ancora un prezzo alto in termini di visibilità e politiche pubbliche dedicate. Un motore che viaggia a fari spenti.

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“Non si cresce da soli: l’ecosistema imprenditoriale funziona se c’è coesione”, insiste Mencaroni. “Il nostro compito, come istituzioni, è attivare connessioni, rafforzare le reti e valorizzare chi già opera con questa visione”.

Due Umbrie: coesione a nord, fragilità a sud

Il report fotografa anche un’altra frattura: la spaccatura tra Nord e Sud dell’Umbria. La provincia di Perugia mostra una struttura relazionale attiva, ricca di imprese coesive, reti e interconnessioni. Il Sud – in particolare Terni e il suo hinterland industriale – si colloca invece tra le aree meno coesive d’Italia.

Non è solo una questione di dati: è il riflesso di anni di deindustrializzazione, perdita di capitale umano e indebolimento del tessuto sociale. Una sfida enorme, ma necessaria, se si vuole fare dell’Umbria un laboratorio nazionale di coesione economica.

Anche sul fronte della natalità d’impresa, i segnali sono poco incoraggianti: l’Umbria è 17ª su 20 regioni italiane. Un indicatore che pesa soprattutto per i giovani e le startup. Ancora più delicata è la questione del valore aggiunto pro capite, dove la regione si ferma al 13° posto, ben lontana dalle performance dei territori più coesivi del Nord.

Un capitale sociale che va acceso, non inventato

La buona notizia è che l’Umbria non parte da zero. I dati confermano che il capitale sociale – cioè la fiducia tra cittadini, la partecipazione civica, la propensione alla collaborazione – è presente, spesso più nei piccoli centri che nelle città.

Sorprende, ad esempio, l’attenzione ambientale: la regione supera la media nazionale nella raccolta differenziata. Anche l’uso delle biblioteche, la partecipazione a iniziative culturali e la fiducia nelle istituzioni sono sopra la media.

Ma questo potenziale, avverte il rapporto, va connesso e messo a sistema: non si tratta di copiare modelli esterni, ma di valorizzare competenze e risorse già esistenti. Volontariato, scuole, università, imprese, pubbliche amministrazioni devono dialogare di più, in modo strutturale.

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Cinque leve strategiche per far emergere la coesione umbra

Il rapporto Symbola-Unioncamere non offre ricette preconfezionate, ma suggerisce cinque direzioni concrete:

  1. Rafforzare i legami tra imprese, scuola, università e terzo settore.

  2. Premiare le imprese coesive anche attraverso strumenti fiscali regionali.

  3. Intervenire sul gap del Sud Umbria, con investimenti mirati.

  4. Diffondere le buone pratiche già presenti, oggi troppo isolate.

  5. Puntare su settori naturalmente coesivi: green economy, turismo lento, manifattura di qualità.

“La coesione è un formidabile fattore produttivo”, ha ricordato Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola. “Non è una parola gentile: è una leva industriale. L’Umbria ha tutte le carte in regola per giocare questa partita. Ma serve il coraggio di portarla sul tavolo giusto”.

E di fare notizia, finalmente.



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