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La sicurezza sul lavoro e le zavorre sulle spalle delle piccole imprese


BARI – La questione della sicurezza sul lavoro è -e lo sarà sempre- centrale nella sensibilità e nelle preoccupazioni degli italiani e in particolare degli imprenditori italiani. Inoltre l’attuale legislazione ormai vigente da più lustri non ha raggiunto nessun obiettivo di riduzione della sinistrosità sul lavoro e quindi si impone una drastica rivisitazione della norma attuale.

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Abbiamo ricevuto una bozza della ipotesi -ancora parziale e forse già modificata- di tale riforma allo studio del governo che punta su una maggiore e migliore informazione e formazione di lavoratori e imprenditori e su maggiori pene per i contravventori delle nome esistenti. Cioè non si rimuovono le numerose problematiche giuridiche e economiche poste dalla norma in vigore ma, per alcuni versi se ne rafforza lo spirito.

 

Infatti prevedere incombenze di vario genere a carico delle imprese mentre si opera sul mercato globale significa favorire in modo esplicito i concorrenti esteri che non subiscono pari normativa (e relativi costi) e danneggiare la competitività delle nostre imprese e quindi ipotecare l’occupazione in Italia nonché il conseguente gettito fiscale. Questo tema di interesse generale in quanto impatta sull’economia come unico insieme, sembra essere sconosciuto agli estensori della normativa che non hanno dedicato sufficiente attenzione al futuro della nostra economia.

 

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Anche il ruolo dell’Inail -cui è riconosciuto nella bozza molto opportunamente un maggiore ruolo informativo verso il mondo del lavoro- potrebbe essere di maggior sostegno per le imprese riducendo i premi che riscuote, almeno alle imprese più virtuose per premiarne il comportamento e favorirne la competitività.

 

Inoltre l’intera materia è di interesse pubblico e quindi dovrebbe essere affrontata a carico del bilancio pubblico. Privatizzare i costi inerenti ad interessi collettivi è un pessimo vezzo che va progressivamente rimosso dalla prassi dei Palazzi romani. E se lo stato non intende accollarsi almeno parti significative dei costi per la sicurezza sul lavoro che oggi pesano sui bilanci delle imprese dovrà farsi carico di compensare tale perdita di competitività verso l’estero con uno strumento come possono essere i dazi. Diversamente lasciare la legge attuale così com’è significa condannare la nostra economia al declino rapido.

 

Ancor peggio è da dire della mancanza di considerazione per le piccole imprese. È infatti ovvio che una incombenza (e la relativa pena) ha un peso differente se la si applica ad una impresa grande o una piccola, ad una grande multinazionale milanese o a una impresa operativa a S. Angelo le Fratte vicino Potenza. Trattare tutte allo stesso modo significa colpire maggiormente le piccole imprese (come sono quelle del Sud) che sono la base su cui si poggiano le grandi. Tra le piccole ci piace ricordare le neo imprese di giovani che spesso non intraprendono proprio per il terrore che queste regole e relative pene distribuiscono tra gli imprenditori in erba. Per mero esempio: come si può pensare che esista l’industria agroalimentare se non esiste una produzione di materia prima agricola, a prezzi stracciati e competitivi? Che sono impensabili con queste normative! E come ci si può aspettare che i giovani si avvicinino a questi lavori invero poco remunerativi con questi pericoli introdotti nientedimeno che dallo stesso stato?

 

Per non addentrarmi nei dettagli -numerosissimi- delle incongruenze (è un eufemismo) della legge esistente concludiamo ricordando che esistono imprese (decine di migliaia) che hanno dipendenti e titolari che non solo non conoscono la normativa italiana ma non conoscono neanche la nostra lingua al punto da non poter neanche leggere ed intendere un testo normativo. Devono fidarsi di un consulente della cui onestà e competenza non possono essere edotti proprio perché non conoscono la lingua e la norma, ma poi i responsabili sono loro. Istintivamente ci si chiede: queste norme sono destinate a produrre carcerati? O dobbiamo avvisare preventivamente chi non conosce bene l’italiano che non è per loro aprire una impresa e che se lo fanno è a loro rischio e pericolo? E l’Inail che dovrebbe curare la formazione e la informazione ha i formatori poliglotta per interagire con questi? O, infine, con queste leggi si vuole avere il risultato di spingere “legalmente” la gente fuori dalla legalità?

 

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Evidentemente la normativa che regola la materia è pensata sulla grande impresa (quella con più di 500 addetti) che infatti accetta senza obiettare le prescrizioni e le sanzioni. Al contrario le PMI e l’autoimpiego (le imprese con meno di cinque addetti) sono fortemente discriminate sia dalla legge vigente sia da quella allo studio. Quindi si impone un ripensamento radicale di una mentalità evidentemente lontana dalla realtà economica italiana e che ha prodotto l’attuale complesso normativo sulla sicurezza sul lavoro evidentemente insoddisfacente e che la futura legge è chiamata a sanare.

Canio Trione
Responsabile Ufficio Studi Confimi industrie Bari-Bat-Foggia





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