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il Piano sociale per il clima non riuscirà a proteggere persone e imprese vulnerabili


Contribuire alla transizione verso la neutralità climatica senza gravare sulle spalle dei cittadini è possibile. Occorre però tener conto di una serie di fattori, tra cui gli impatti del prezzo del carbonio, anche alla luce dell’Emission trading system 2 (Ets). Con l’entrata in vigore posta al primo gennaio 2027, il Sistema di scambio di quote di emissioni ingloberà quelle relative al settore degli edifici e del trasporto su strada, coinvolgendo una serie di piccole e medie imprese che sfuggono all’attuale Ets.

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Il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha avviato una consultazione pubblica per la predisposizione del Piano sociale per il clima (Psc), il quale deve delineare interventi e investimenti volti a mitigare gli impatti economici, soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione e del tessuto produttivo. Alla consultazione ha partecipato l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), di seguito una sintesi delle raccomandazioni che sono state avanzate al Mase, disponibili in versione integrale in questo documento.

L’analisi dell’ASviS sul Psc

Dopo aver esaminato i documenti a disposizione per la consultazione, l’ASviS ha ritenuto che allo stato attuale “il Psc non si configura come un vero e proprio ‘Piano’ quanto piuttosto come una serie di azioni”. Il Psc presenta infatti diverse carenze, mancano per esempio una stima dei probabili effetti dell’aumento dei prezzi derivante dall’Ets2, e un’analisi sulle aree – in particolare quelle interne – che rischiano il ridimensionamento dell’offerta legata al trasporto pubblico.

In materia di tutela, occorre procedere con l’individuazione e la stima del numero di famiglie vulnerabili, di utenti fragili del sistema dei trasporti e di microimprese in condizione di vulnerabilità, che potrebbero accedere al sostegno del Fondo sociale per il clima, istituito dal Regolamento Ue 2023/955. Tale stima dovrebbe includere sia coloro che si trovano già in situazione di povertà energetica e sia quanti rischiano di entrarvi con l’introduzione dell’Ets2.

Inoltre, il Psc non contiene azioni sinergiche in grado di portare al raggiungimento degli obiettivi prefissati, come quelli di decarbonizzazione al 2030 e della neutralità climatica al 2050, e non è chiara l’integrazione con le riforme previste dal Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima), dal Pnrr e dal RepowerEu. Sul tema “è importante sottolineare che un maggiore livello di ambizione nella decarbonizzazione, accompagnato da riforme strutturali più incisive e investimenti mirati, contribuirebbe a ridurre l’impatto sociale dell’Ets2 e, di conseguenza, a contenere i fabbisogni economici compensativi – ha sottolineato l’ASviS -. La carenza di ambizione nel Pniec si traduce in una maggiore esposizione delle fasce vulnerabili al rischio di povertà energetica”.

Dall’attuale Piano non si comprende, poi, quali misure saranno in grado di generare effetti duraturi, né una gerarchia di priorità che consenta di selezionare gli interventi più efficaci nel combinare la massima riduzione delle emissioni climalteranti con il contrasto alla povertà energetica. Risulta anche assente una valutazione dell’impatto sociale delle misure proposte e, infine, pur venendo dichiarato il rispetto del principio europeo Dnsh (Do no significant harm), non sono stati riscontrati elementi concreti da far pensare che tale principio sarà effettivamente applicato, lasciando così un vuoto in termini di garanzie ambientali.

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L’Ets in breve

Istituito in seguito alla ratifica del Protocolo di Kyoto, l’Ets è oggi uno dei due grandi strumenti utilizzati dall’Europa per conseguire gli impegni presi con l’Accordo di Parigi. La sua attuazione – fino a ora – ha coinvolto centrali elettriche e grandi impianti industriali (settori definiti “energivori“), e ha coperto circa il 45% delle emissioni generate dall’Unione (il restante 55% è coperto dal regolamento Effort sharing).

L’idea era quella di stimolare la transizione delle aziende creando un mercato del carbonio in cui venissero scambiate quote di emissione. Negli anni parte delle quote sono state fornite gratis e parte è andata all’asta. In sostanza: ogni azienda interessata da Ets può emettere una certa quantità di tonnellate di CO2 annue, superato il limite deve acquistare quote dal mercato (in base al meccanismo cap and trade: si fissa un tetto che, se superato, obbliga ad acquistare permessi a inquinare). Negli anni post Parigi i problemi principali di questo sistema sono stati essenzialmente due: il prezzo troppo basso della tonnellata di CO2, che non incentivava l’investimento in tecnologie per ridurre le emissioni, e la questione del surplus, cioè dei crediti di carbonio accumulati dalle aziende per via delle troppe quote di emissioni concesse.

Nel tempo il sistema Ets ha subito diverse riforme, l’ultima ha esteso la sua attuazione anche al settore dei trasporti marittimi (in fase di implementazione per il periodo 2024-2026). Come detto, dal primo gennaio del 2027 l’Ets2 interesserà anche il settore degli edifici, del trasporto su strada e una serie di piccole e medie imprese. Con l’Ets2 l’obiettivo è ridurre le emissioni climalteranti dell’Ue del 42% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.

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di Ivan Manzo

 

Copertina: Unsplash



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