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“Basta 1,2% dei campi per 79 GW solare. Chiusura Hormuz danneggia rinnovabili”. Parla Donati (Terrawatt)


“Basta l’1,2% del territorio agricolo italiano per raggiungere 79GW di solare al 2030. La chiusura dello Stretto di Hormuz danneggerebbe anche le rinnovabili”, spiega Patrizio Donati, ceo di Terrawatt

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Agricoltura e fotovoltaico non sono antagonisti. Il principale nemico delle rinnovabili sono le politiche nazionali. “Il Dl Aree Idonee ha fatto tutto tranne che semplificare l’identificazione delle zone. Ci sarebbero tante cose da fare, prima di tutto gli operatori chiedono di non peggiorare il quadro nazionale”, spiega Patrizio Donati, ceo di Terrawatt, sottolineando che per raggiungere una capacità di 79 GW al 2030 sarebbe sufficiente “l’1,2% del terreno agricolo italiano, pari a circa 158.000 ettari ipotizzando 2 ettari per MW”. Tuttavia, i fondi continuano ad essere sprecati. Infatti, diversi agricoltori e operatori hanno abbandonato la possibilità di partecipare al bando del Pnrr per l’agrivoltaico a causa della troppa incertezza. L’elefante nella stanza è la crisi in Medio Oriente. Infatti, la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz avrebbe ripercussioni importanti anche sullo sviluppo delle rinnovabili. Le terre rare potrebbero iniziare a scarseggiare, diventando sempre più care. Entrando nel campo delle suggestioni, sorge il dubbio che tra le motivazioni nascoste del repentino attacco Usa all’Iran ci sia anche la volontà di mettere le mani sulle materie prime critiche che abbondano nel sottosuolo iraniano.

Come conciliare agricoltura e fotovoltaico?

Non è necessario conciliare agricoltura e fotovoltaico, semplicemente perché non sono in contrasto. Infatti, ci sarebbe spazio e terreno per sviluppare entrambi, ma in modo più funzionale. Per raggiungere una capacità solare di 79 GW entro il 2030 è necessario solo l’1,2% del terreno agricolo italiano, pari a circa 158.000 ettari ipotizzando 2 ettari per MW. Un altro elemento da considerare è che la maggior parte dei proprietari agricoli sono piccoli agricoltori. La scelta di installare pannelli fotovoltaici è puramente un ricavo in più, con l’agricoltura non ci sono grandi ricavi. I terreni dove installiamo pannelli non sono pregiati. Ma visto che i margini sono così stretti, serve un cash flow fisso e regolare per continuare a fare il loro lavoro.

Rimuovendo i vincoli di policy, qual è il potenziale nascosto dell’agrivoltaico che potrebbe liberarsi? Quanto potrebbe contribuire a raggiungere gli obiettivi futuri di sviluppo del fotovoltaico (79 GW)?

I vincoli di policy sono uno dei tanti elementi che ostacolano lo sviluppo dell’agrivoltaico. Il primo è la morfologia del terreno, su questo non si può fare niente. Un altro tema è la vicinanza alla rete, se l’impianto è troppo lontano non si può allacciare. Il terzo elemento è la volontà del prioritario. In Italia ci sono situazioni assurde di eredità e non si riesce a trovare un accordo economico. Il Governo può agevolare la liberalizzazione su dove si possono installare. I terreni ci sono e anche i proprietari sono pronti. Il vincolo di policy è l’unico elemento su cui il Governo può intervenire.

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Serve un livello di intervento fisico semplice. Quantificare il potenziale è difficile, è chiaro che con il quadro normativo attuale sarà molto difficile raggiungere gli obiettivi al 2030. Abbiamo installato appena 7GW aggiuntivi lo scorso anno, ogni GW non raggiunto vuol dire ritardo accumulato. Raggiungere gli obiettivi solo coprendo i tetti non è possibile. Il costo dell’energia si abbassa man mano che l’impianto cresce.

Come il DM Aree Idonee dovrebbe cambiare nei prossimi mesi?

Il Dl Agricoltura ha bloccato l’installazione del fotovoltaico su zone agricole. Il Dl Aree Idonee ha fatto tutto tranne che semplificare l’identificazione. Ci sarebbero tante cose da fare, gli operatori chiedono di non peggiorare il quadro nazionale.

L’Iran detiene circa l’8.5 milioni di tonnellate di terre rare. Che effetto potrebbe avere una nuova escalation e l’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz sulle rinnovabili?

È difficile predire se ci sarà un impatto sulle rinnovabili. Sicuramente l’aumento dei prezzi di gas e petrolio avrebbe un effetto a catena anche sulla filiera delle rinnovabili perché è un elemento inflazionario considerevole. In Italia siamo i più vulnerabili a questi mutamenti geopolitici perché siamo gli importatori di energia numero 1. Il prezzo del gas importato fa sì che i prezzi siano due volte quelli della Francia. Il consumatore italiano sta pagando il doppio del francese per lo stesso servizio. A livello di business è un freno, poiché le imprese hanno meno liquidità per investimenti. L’unico modo per uscire da questo dilemma è avere una produzione energetica interamente in Italia. Al momento l’unico modo per abbassare i prezzi e aumentare l’indipendenza energetica del Paese sono le rinnovabili.

L’attacco di Trump potrebbe anche avere un secondo fine: mettere le mani sulle riserve minerarie del Paese?

Non è da escludere che Trump possa voler mettere le mani sulle riserve minerarie dell’Iran, ma qui entriamo nel campo della speculazione. Certo è che il presidente americano ha danneggiato tutto il mercato delle rinnovabili americano, settore che Biden con l’IRA ha provato ad incentivare. Gli Usa stanno cedendo la vittoria di questo settore alla Cina, che già produce quasi tutti i pannelli fotovoltaici, un’occasione persa.

Qual è il potenziale del nucleare?

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L’Italia ha uno storico pessimo sui grandi progetti infrastrutturali, basti pensare al Ponte sullo Stretto di Messina. Inoltre, non c’è ancora un quadro normativo. Il reattore che stanno costruendo in Uk è in ritardo di circa 7 anni. Se vedremo una centrale nucleare operativa in Italia non sarà in tempo per raggiungere gli obiettivi al 2030 e per permettere un abbassamento tangibile del prezzo dell’energia nel breve termine.



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