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Il cardinale Repole alla Messa di San Giovanni: «Torino tiene i soldi in banca (76 miliardi) e le aziende se ne vanno»


di
Luca Orlandi

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Nell’omelia dell’arcivescovo l’appello a un’«alleanza tra generazioni» contro le culle vuote e «un individualismo sfrenato» che nega il futuro ai giovani: «Un giorno i bimbi saranno adulti e ci chiederanno conto di tutto»

La festa di San Giovanni per Torino, oltre i fuochi e i concerti, è tempo di bilanci e riflessioni. Alla solenne celebrazione, in un Duomo gremito, il cardinale Roberto Repole ha ricordato i problemi e le sfide per la città: l’inverno demografico, le accuse infondate verso i movimenti pro-vita, la precarietà dei giovani, i capitali immobilizzati nelle banche, l’iperliberismo che «che sta trasformando il lavoro in una merce disprezzabile».

All’inizio della celebrazione l’arcivescovo ha ricordato le vittime delle guerre mentre nell’omelia ha parlato della città, senza filtri e con parole coraggiose: «La modernità ci ha spinto a pensare che tutto deve essere sotto controllo. Ma la vita non è così, un figlio è una libertà, che si impone e che si dona, un’apertura all’alterità che la chiesa vive ispirata da quell’apertura all’Altro con la A maiuscola».




















































Repole ha insistito sul tema della vita ribadendo che siamo alle prese con un fallimento culturale epocale «è triste e un po’ inquietante, per la tenuta stessa della democrazia, che il termine pro-vita sia ormai diventato quasi un insulto da affibbiare ai movimenti che pongono il problema della natalità. Scritte violente e insultanti sono comparse ancora pochi mesi fa sui muri di Torino. Essere pro-vita sembra essere medievali.., mentre essere pro-morte, a favore dell’eutanasia, suona moderno, supposto che sappiamo che cosa significa evolverci. Mi sembra che ci stiamo suicidando». 

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Le parole di Repole sono dure e insieme chirurgiche nell’indicare le ferite più evidenti «la notizia durissima di questi giorni è infatti che a Torino il calo demografico sta svuotando le scuole anche le superiori: l’anno prossimo in città ci saranno 1.147 allievi in meno (senza considerare il calo aggiuntivo negli asili); a livello piemontese saranno 7.300 in meno. Sempre meno bambini, si preparano ad essere gli adulti di domani».

Stessa determinazione Repole l’ha espressa sui temi della precarietà e dell’economia: «c’è un problema di aziende che spostano la produzione lontano dalla città, mentre a Torino il 75% dei giovani (quelli che restano) trovano spesso lavori precari, contratti di pochi mesi o addirittura giorni: «come pretendiamo che mettano su famiglia e facciano figli?». L’iperliberismo porta ad un fenomeno, tutto torinese, di immobilizzazione del denaro accumulato dai grandi proprietari di patrimoni, piuttosto che investirlo nel circuito delle imprese e nello sviluppo dell’economia reale. «Non si può certo pretendere che i proprietari di patrimoni – ha evocato il cardinale – investano senza prospettive di reddito adeguato. Ma allora bisogna convincerli, bisogna portarli dalla parte della città. Il problema è una città che non riesce a convincerli. Torino ha immense sacche di povertà ma paradossalmente è anche la terza città d’Italia per numero di famiglie benestanti, che l’anno scorso hanno incrementato i patrimoni privati di un altro +6%: 76 miliardi di euro sono chiusi nelle banche». Come invertire la rotta. Repole ha spronato chi ha responsabilità istituzionale per la comunità torinese: ritrovare il fondamento dell’esperienza umana ripartendo da una intelligenza feconda e una politica alta in grado di dare dignità a tutti.

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24 giugno 2025 ( modifica il 24 giugno 2025 | 17:23)

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