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i settori che cambieranno di più nei prossimi anni


Mentre le grandi piattaforme globali si muovono su equilibri geopolitici, algoritmi e concentrazioni industriali, l’Europa prova a riscrivere le regole dell’innovazione introducendo parametri trasversali come inclusione, equità e accessibilità.

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Per esplorare le ricadute concrete dell’Accessibility Act, abbiamo intervistato Amit Borsok, CEO e co-fondatore di AccessiWay, una delle voci più attive e influenti nel panorama europeo in materia di accessibilità digitale. In questa conversazione affrontiamo i nodi critici e le opportunità strategiche aperte dal nuovo quadro normativo: dal rapporto tra conformità e innovazione, ai rischi di sottovalutazione del tema, fino alla visione di lungo periodo per imprese, pubbliche amministrazioni e stakeholder finanziari.

L’Accessibility Act è ormai realtà. Secondo lei, le aziende stanno comprendendo pienamente la portata giuridica ed economica di questa normativa?
No, non ancora pienamente. Molte aziende la percepiscono come un vincolo, un altro adempimento da spuntare. Ma l’Accessibility Act rappresenta molto di più: è un passaggio epocale che ridefinisce il modo in cui progettiamo, costruiamo e distribuiamo prodotti e servizi digitali. Le implicazioni economiche sono enormi, non solo per evitare sanzioni, ma per accedere a un mercato più ampio, più inclusivo e più sostenibile.

In che modo l’Accessibility Act ridefinisce il concetto stesso di “inclusione digitale” nel settore privato e pubblico?
L’inclusione digitale non è più un atto volontario o un’iniziativa CSR isolata. Diventa un parametro strutturale di qualità, come la sicurezza o la privacy. L’Accessibility Act impone uno standard comune che mette sullo stesso piano le esigenze di tutti i cittadini, con o senza disabilità. È un’opportunità per ridurre il divario digitale e creare esperienze universali, ma è anche una presa di coscienza rispetto alle priorità etiche e tecnologiche di oggi.

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Molte imprese vedono l’accessibilità come un obbligo normativo. Quanto conta, invece, interpretarla come leva strategica di innovazione e reputazione?
Conta tantissimo. Le aziende che comprendono l’accessibilità come motore di innovazione riescono ad anticipare tendenze, migliorare la UX per tutti gli utenti e costruire una reputazione solida. L’accessibilità non rallenta, accelera: aiuta le organizzazioni a essere più intelligenti nel design, più inclusive nella cultura, e più responsabili nella tecnologia. Allo stesso tempo, rendersi accessibili incrementa anche l’attrattività di un’azienda, migliorando così le performance e il tasso di talent retention e acquisition.

A suo avviso, quali sono i principali equivoci che ostacolano una corretta implementazione dell’Accessibility Act da parte delle imprese?
Il primo equivoco è che basti un “tool” o un intervento tecnico superficiale. Il secondo è che riguardi solo le persone cieche o con disabilità motorie. L’accessibilità è trasversale: linguistica, cognitiva, sensoriale. Il terzo equivoco è che costi troppo. In realtà, progettare con l’accessibilità in mente sin dall’inizio è molto più sostenibile che intervenire in emergenza.

Come sta cambiando la governance dei prodotti digitali?
Sta diventando più condivisa e trasparente. L’Accessibility Act richiede responsabilità distribuite lungo tutta la filiera: designer, sviluppatori, fornitori, manager. La governance moderna deve integrare l’accessibilità come KPI di progetto, non come “extra”. Serve una cultura dove l’accessibilità è discussa nei board e integrata nei cicli di sviluppo, dove le persone con disabilità non siano relegate sempre agli stessi ruoli e dove il potenziale di ciascuno possa essere espresso in un ambiente lavorativo inclusivo e moderno.

Cosa cambierà nei rapporti tra aziende e stakeholder in un ecosistema dove l’accessibilità è parametro di qualità?
Cambierà il linguaggio. Gli utenti diventeranno più esigenti, gli investitori più attenti. Le autorità di controllo non valuteranno solo il rispetto formale della legge, ma anche la qualità dell’esperienza.
Le aziende che investono in accessibilità guadagneranno fiducia, mentre chi la ignora apparirà fuori tempo e fuori mercato.

L’accessibilità può entrare nei criteri ESG? Come misurarla?
Assolutamente sì. L’inclusione digitale è un pilastro dell’impatto sociale. Può essere misurata con audit di conformità, analisi UX, metriche sull’uso effettivo da parte di utenti con disabilità. Ma, soprattutto, serve una narrativa ESG che includa la voce delle persone: come percepiscono, usano e vivono il digitale.

L’Accessibility Act riuscirà a portare l’accessibilità al centro del dibattito tecnologico?
Sì, se lo interpretiamo correttamente. L’Accessibility Act non è un freno all’innovazione, è la sua evoluzione naturale. In un mondo dove l’AI corre veloce, è fondamentale ricordare che la vera innovazione non è solo potenza, ma anche accessibilità, equità e umanità. L’Act ci obbliga a costruire tecnologie che non lasciano nessuno indietro e che siano forze motrici del progresso e del miglioramento della comunità.

Che ruolo ha l’AI nel migliorare o peggiorare l’accessibilità?
L’intelligenza artificiale può essere un moltiplicatore straordinario di accessibilità: pensiamo a sottotitoli automatici, interfacce vocali, lettori intelligenti. Ma può anche generare barriere, se progettata senza inclusione. L’AI deve essere “accessibility-aware” già nei dataset, nei test, nelle interfacce. Accessibilità e AI devono co-evolvere, ma c’è bisogno di un ragionamento fatto a monte, che rimanga poi prioritario durante tutto il processo.

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L’adeguamento all’Accessibility Act è costoso o limitante?
È più costoso ignorarlo. Il vero costo è rimanere esclusi da una quota di mercato, perdere la fiducia dei clienti, o affrontare sanzioni. L’accessibilità, se integrata nei processi fin dall’inizio, è scalabile e sostenibile. È come costruire fondamenta solide: non è visibile all’occhio, ma regge tutto il resto.

Quanto conta la cultura interna nel successo delle politiche di accessibilità?
Conta tutto. Senza cultura organizzativa, l’accessibilità resta una checklist. Con cultura, diventa visione. Serve formazione, leadership, empatia. È il mindset a fare la differenza: ogni persona in azienda deve capire che l’accessibilità è parte del proprio ruolo, non solo del team tech o legale, comprenderne davvero l’urgenza e implementarla nel lavoro quotidiano.

Quali settori saranno più trasformati nei prossimi 5 anni?
Bancario, e-commerce, trasporti e telecomunicazioni saranno sotto i riflettori, perché toccano la vita quotidiana di milioni di persone. Ma anche il settore pubblico, l’educazione, il settore dei viaggi e l’health tech. Chi si muove ora avrà un vantaggio competitivo enorme.

Qual è il rischio reputazionale per un’azienda che ignora l’accessibilità?
Il rischio è perdere credibilità, clienti e rilevanza, quindi restare indietro. Le persone oggi valutano i brand anche per i loro valori. Non essere accessibili è come dire: “non ci interessa includerti”. In un mondo sempre più connesso e consapevole, questo è un messaggio che nessuna azienda può permettersi di trasmettere.





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