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Ritenuta su interessi a holding estere: requisiti beneficiario


Deve essere applicata la ritenuta a titolo di imposta sugli interessi corrisposti da controllate italiane verso holding estera, quando questa non è beneficiario effettivo. Nel caso gli interessi venivano riversati agli istituti bancari che avevano finanziato l’operazione con uno spread ritenuto troppo basso.
Un’operazione di finanziamento infragruppo tramite una holding estera, specialmente se localizzata in Paesi con regimi fiscali di favore, rappresenta una prassi diffusa per ottimizzare la gestione finanziaria e fiscale. Tuttavia, il rischio che tale struttura venga considerata un mero “passaggio” di fondi, finalizzato a eludere le ritenute fiscali, è sempre più concreto.
La recente sentenza della Cassazione n. 16459 del 18 giugno 2025 fornisce importanti chiarimenti per l’individuazione dei requisiti necessari per beneficiare dell’esenzione da ritenuta sugli interessi corrisposti a holding estere del gruppo. Il caso, che ha visto contrapposti l’Agenzia delle Entrate e una società del settore chimico, evidenzia come anche operazioni economicamente giustificate possano nascondere profili di elusione fiscale.
Il problema centrale riguarda la qualificazione del beneficiario effettivo ai sensi dell’art. 26-quater del DPR n. 600/73 e della Direttiva 2003/49/CE, quando la holding estera funge da mero “condotto” tra la società italiana e i veri finanziatori. La soluzione proposta dalla Suprema Corte impone una verifica sostanziale che superi il mero aspetto formale, attraverso l’applicazione rigorosa del “dominion test”.
Il caso concreto: quando uno spread dello 0,125% fa la differenza
L’operazione sotto esame presentava caratteristiche tipiche delle ristrutturazioni del debito di gruppo: holding olandesi avevano contratto un finanziamento di circa due miliardi di euro con una cordata bancaria, per poi girare i fondi alle controllate italiane applicando uno spread del solo 0,125% rispetto al tasso passivo del 9% circa.
Dal punto di vista economico, l’operazione appariva perfettamente logica e documentata da regolari delibere consiliari. Tuttavia, l’esiguità del margine applicato dalla holding ha sollevato dubbi sulla sua reale autonomia decisionale e sulla sua qualifica di beneficiario effettivo degli interessi ricevuti. Secondo l’Amministrazione finanziaria, questa esiguità del margine era un chiaro indice del fatto che la holding olandese non fosse il reale beneficiario degli interessi, ma un semplice soggetto interposto (“conduit company”), il cui unico scopo era incanalare i flussi verso i reali beneficiari effettivi, ovvero gli istituti di credito, per evitare l’applicazione delle ritenute in uscita dall’Italia.
La società italiana sosteneva di non dover applicare la ritenuta del 26% sugli interessi corrisposti alla holding olandese, invocando l’esenzione prevista per i rapporti infragruppo comunitari. L’Agenzia delle Entrate, al contrario, qualificava la holding come mero soggetto interposto, richiedendo l’applicazione della ritenuta.
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