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Tassa minima globale, al G7 trovano l’intesa con esenzioni agli Usa. Giorgetti: “Un compromesso onorevole”


Donald Trump, insieme alle big tech Usa, mette a segno un altro punto. Le sette maggiori economie al mondo hanno raggiunto l’intesa per evitare che le più grande aziende a stelle e strisce paghino più tasse all’estero. Una mossa accolta (ovviamente) con favore da Washington ed altri Paesi ma, perché c’è un ma, che potrebbe radicalmente modificare l’accordo sulla tassa minima globale del 2021.

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L’accordo raggiunto al G7 “faciliterà ulteriori progressi nella stabilizzazione del sistema fiscale internazionale“, incluso un “dialogo costruttivo” sulla salvaguardia della “sovranità fiscale di tutti i Paesi“, si evidenzia in una nota diffusa dalla presidenza canadase.

Il prossimo passo prevede che, nelle prossime settimane, il testo passi al vaglio dell’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che quattro anni fa raggiunse lo storico accordo sulla “tassa minima globale” per porre fine alle pratiche di elusione fiscale delle multinazionali. E più nello specifico, delle Big Tech statunitensi. La tassa prevede, in sostanza, una imposizione integrativa pari alla differenza tra le imposte che gravano sul gruppo in un determinato Paese e l’importo minimo del 15%.

Il segretario generale dell’organizzazione internazionale, Mathias Cormann, dice che la decisione del G7 è “un’importante pietra miliare nella cooperazione fiscale internazionale”, che “spiana la strada agli accordi per la Global minimum tax” e a una “riforma vitale nel sistema di tassazione internazionale“.

Mentre per Manal Corwin, responsabile della divisione fiscale dell’Ocse, la dichiarazione dei Big 7 non è vincolante e qualsiasi proposta dovrà essere approvata da 147 paesi dell’organizzazione come fu nel 2021. “Il G7 da solo non può prendere questa decisione“, ha infatti puntualizzato. Commenti di soddisfazione, invece, per il Ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, Giancarlo Giorgetti, che ha definito l’accordo un “onorevole compromesso“.

Il ministro leghista spiega che l’intesa “protegge le nostre imprese dalle ritorsioni automatiche degli Stati Uniti“, ovvero dalla cosiddetta “revenge tax“. Si tratta di un emendamento alla legge di spesa del tycoon che avrebbe consentito agli Stati Uniti di rivalersi contro tasse all’estero ritenute discriminatorie. Cosa che il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha già annunciato sarà eliminata all’annuncio dell’intesa al G7.

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Nella sua dichiarazione, la presidenza canadese ha specificato che nei mesi scorsi “Bessent aveva espresso la preoccupazione degli Stati Uniti riguardo le regole di secondo pilastro” concordate con Ocse e G20 in materia di elusione fiscale e profit shifting, cioè la pratica delle multinazionali, specie digitali, di scegliersi la giurisdizione con le aliquote più favorevoli per registrare i propri utili. Quindi, risulta chiaro che per l’amministrazione trumpiana si tratta di un uno scacco matto che farà risparmiare alle aziende Usa 100 miliardi di dollari in tasse all’estero.



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