Il quadro che è emerso in questi giorni in Amo è estremamente preoccupante.
Dal 2019 a oggi una dipendente di Amo avrebbe sottratto alle casse aziendali ben 500mila euro. Passando attraverso due amministratori, due direttori generali, diversi collegi sindacali, società di revisione e revisori unici. Nel 2021 una commissione presieduta dal direttore generale dell’ epoca, e comprendente il suo successore, l’ha selezionata come migliore candidata e stabilizzata nel ruolo, nonostante fosse già da due anni dedita all’appropriazione di fondi. Tutto questo stando alle dichiarazioni dei dirigenti stessi.
A leggere il bilancio 2020, sarebbe anche stata affiancata nel periodo di inserimento da una dipendente pensionanda e da un consulente contabile. E con tutti questi occhi addosso avrebbe ugualmente sottratto ingenti fondi.
Non vi pare tutto molto singolare? È davvero una ricostruzione che pone molti dubbi e interrogativi. Possiamo dire, senza offendere nessuno, che la responsabilità penale sarà sua, ma che la responsabilità della vicenda non può essere addossata unicamente alla dipendente? Ma chi fugherà questi dubbi? Chi cercherà altre responsabilità? Potrà davvero farlo Andrea Bosi?
L’esponente del Pd, lasciato fuori dalla giunta di Massimo Mezzetti – non senza polemiche – ma oggi nominato amministratore di Amo al posto di Stefano Reggianini, diventato segretario del Pd, potrà davvero andare a fondo e recuperare i soldi, chiedendo i danni a chi di dovere? Il dubbio è difficile da estirpare dalla mente. Lo stiamo vedendo con il caso di Reggio Emilia: due dirigenti condannati mesi fa per irregolarità negli appalti; la Corte dei conti che chiede il risarcimento, tirando in ballo l’ex sindaco – nel mentre entrato nello staff di Michele De Pascale – e la sua giunta; e la politica che inizia a fare quadrato, con le solite dichiarazioni di facciata sulla fiducia nella magistratura – che 99 volte su cento preludono all’insabbiamento di tutto.
E con qualsiasi esponente Pd in Amo il pensiero che possa andare così, resta. Il cattivo pensiero che Bosi abbia dato garanzie politiche di non calcare la mano sulla questione; di accettare acriticamente le analisi e determinazioni già effettuate, aspettando l’archiviazione definitiva della vicenda, può maturare nella mente dei cittadini e che questo sia vero o no, non fa bene alle istituzioni in un momento così delicato. Il terrore per il sistema di potere Pd – i principali enti soci sono tutti governati da giunte a maggioranza Pd e l’ex amministratore è divenuto segretario provinciale Pd – è che se la questione avrà strascichi penali per la dipendente – dubitiamo – possa averne anche per l’azienda e tutti gli addetti. Bosi, costretto a accettare questo incarico non avendone ricevuti altri, può essere un nome di garanzia?
Apprezziamo chi come Cinzia Franchini – che di queste situazioni nel suo passato associativo ne ha viste diverse e sa esattamente di cosa parla – spera ancora in un atto di coraggio dell’assemblea dei sindaci. Nell’alzata di scudi di un qualunque sindaco di periferia: un Sauro Borghi, uno Stefano Venturini, un Riccardo Righi che strappino il microfono a Fabio Braglia e chiedano il commissariamento dell’azienda. Ma così non sarà: perché il coraggio di cambiare dei politici vale solo fino al giorno della proclamazione.
Eli Gold
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