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le piccole imprese pagano il doppio delle grandi – Giornale Nord Est


Nell’immaginario collettivo, da almeno 45 anni il Veneto è la regione delle piccole imprese. Queste realtà sono l’asse portante della nostra economia e uno dei motivi di successo nel mondo del nostro territorio. Purtroppo – tra tasse, burocrazia e caro bollette – il quadro generale non è dei migliori, specialmente per quanto riguarda i costi energetici. Infatti, mettendo a confronto quelli delle piccole con quelli delle grandi imprese, emerge un differenziale “spaventoso” che penalizza enormemente le prime. Se per le bollette dell’energia elettrica gli artigiani, gli esercenti, i negozianti e i piccoli imprenditori pagano il 55% in più delle grandi industrie manifatturiere e/o commerciali, per quelle del gas addirittura il doppio. A denunciarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

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Con i prezzi di luce e gas che da tre anni a questa parte hanno subito degli aumenti importanti, perdura la penalizzazione nei confronti delle realtà produttive di piccola e piccolissima dimensione che, ricordano dalla CGIA, quelle con meno di 20 addetti, ad esempio, costituiscono il 98% delle imprese presenti nel Veneto. Sono tante, ma anche in termini occupazionali giocano un ruolo da protagoniste; al netto dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche, infatti, danno lavoro al 60% circa degli addetti presenti nella nostra regione. Va comunque sottolineato che il divario di costo tra grandi e piccole imprese è sempre esistito e tale situazione è presente anche negli altri Paesi europei. Tuttavia, a differenza dei nostri principali competitor commerciali d’Oltralpe, il peso delle piccole imprese italiane sull’economia nazionale non ha eguali. Pertanto, la penalizzazione delle nostre micro e piccole aziende è la più “insopportabile” d’Europa.

Il divario sul gas
Nel 2024 le piccole aziende hanno pagato il gas mediamente 99,5 euro a Megawatt-ora (MWh) e le grandi 47,9 euro. Rispetto al 2022 , quando il differenziale era del 33%, negli anni a venire la forbice è tornata ad allargarsi, sebbene i prezzi della materia prima siano scesi. Resta inteso che anche negli anni che hanno preceduto l’inizio delle ostilità tra la Russia e l’Ucraina, il disallineamento era molto rilevante, ancorché il prezzo di mercato della materia prima fosse molto più basso di adesso (vedi Graf. 1).

Rispetto ai nostri principali concorrenti commerciali, solo la Francia presenta un costo del gas, pari a 103,9 euro al MWh, superiore al nostro. Germania (95 euro) e soprattutto la Spagna (48,5 euro) beneficiano di costi inferiori. Per le nostre grandi imprese, invece, il confronto è meno impietoso; solo in Germania il costo del gas è superiore al nostro (vedi Tab. 1).

Il differenziale sull’energia elettrica
L’anno scorso l’energia elettrica è costata alle piccole aziende italiane 218,2 euro al MWh, contro i 140,4 euro al MWh che sono stati pagati dalle realtà più grandi. Come per il gas, negli ultimi anni anche le bollette della luce hanno visto aumentare la forbice tra grandi e piccole imprese. Nonostante i costi record, nel 2022 i prezzi erano allineati, successivamente il gap è continuato ad aumentare, così come era avvenuto prima dell’inizio della guerra nell’Est Europa. Nei confronti dei più importanti paesi europei, solo le piccole imprese della Germania pagano più delle nostre, mentre le grandi imprese italiane subiscono un prezzo pressoché uguale a quello tedesco, ma ben superiore ai costi subiti da tutti gli altri.

Perché i piccoli pagano troppo
In Italia a gonfiare i prezzi delle bollette della corrente delle imprese sono, in particolare, i costi di rete (trasporto e gestione del contatore), le tasse e gli oneri di sistema che nelle piccole aziende hanno una incidenza pari mediamente al 40% del costo totale. Una quota che nelle grandi imprese scende al 17%. Certo, ci sono anche delle ragioni oggettive che “giustificano” questo gap di costo. Le industrie, ad esempio, comprano l’energia in grandi volumi, spesso si avvalgono di broker che sono in grado di negoziare tariffe più basse con i fornitori. Tendenzialmente, le piccole imprese, invece, acquistano poca energia e non hanno molto margine di trattativa. Inoltre, le componenti fisse (come il trasporto, gli oneri di sistema, le accise, etc.), pesano di più sul consumo delle piccole imprese, che, a differenza delle grandi, usano meno energia ma pagano comunque quote fisse elevate. Va altresì sottolineato che le grandi aziende energivore hanno agevolazioni fiscali e sconti su accise e oneri, riconosciuti per legge. Al netto di situazioni straordinarie, raramente le Pmi rientrano in queste categorie e acquistando l’energia a prezzi di mercato, sono soggetti alle oscillazioni di prezzo, mentre le realtà di grandi dimensioni possono stipulare contratti pluriennali più stabili. Le piccole imprese, infine, sono più diffuse sul territorio di quelle di maggiore dimensione, anche in zone meno servite, e ciò può contribuire a far aumentare i costi di distribuzione.

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I settori a rischio blackout

I rincari delle bollette riguardano, in particolare, i settori energivori. Per quanto riguarda il consumo del gas, segnaliamo le difficoltà che in questi ultimi anni hanno colpito i comparti del vetro, della ceramica, del cemento, della plastica, della produzione di laterizi, la meccanica pesante, l’alimentazione, la chimica etc. Per quanto concerne l’energia elettrica, invece, rischiano il blackout le acciaierie/fonderie, l’alimentare, il commercio (negozi, botteghe, centri commerciali, etc.), alberghi, bar-ristoranti, altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, etc.).

Tremano molti distretti produttivi

Le difficoltà, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, colpiscono molte imprese e conseguentemente anche tanti distretti produttivi che continuano a essere il motore dell’economia e dell’export del Paese. Molti dei quali sono ubicati proprio in Veneto. Dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina a soffrire tremendamente i rincari dei costi energetici sono stati:
• il cartario di Lucca-Capannori;
le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova;
• i metalli di Brescia-Lumezzane;
• il metalmeccanico del basso mantovano;
• il metalmeccanico di Lecco;
• le piastrelle di Sassuolo;
la termomeccanica di Padova;
il vetro di Murano.
Per adesso, segnali di un drastico peggioramento della situazione non ce ne sono, ma se le tensioni geo-politiche in corso dovessero precipitare, con una conseguente impennata dei prezzi delle materie prime, non è da escludere che queste realtà manifatturiere sia destinate a scivolare verso l’ennesima crisi economica.

Oltre 5 milioni di italiani in povertà energetica (PE). La metà è al Sud
Altra conseguenza drammatica riconducibile agli effetti del caro bollette è la condizione di difficoltà in cui versano molti italiani. I dati 2023 dell’Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica (OIPE) sono evidentissimi. Quasi 2,4 milioni di famiglie italiane si trovano in povertà energetica (PE). Stiamo parlando di 5,3 milioni di persone che vivono in abitazioni poco salubri, scarsamente riscaldate d’inverno, poco raffrescate d’estate, con livelli di illuminazione scadenti e con un utilizzo molto contenuto dei principali elettrodomestici bianchi . I nuclei familiari più a rischio sono costituiti da un elevato numero di persone, che si trovano in condizioni di disagio economico e le abitazioni in cui vivono sono in cattivo stato di conservazione.
In Veneto le famiglie che sarebbero scivolate in questa condizione sono il 6,3% del totale, pari a quasi 135mila nuclei che corrispondono a 303.600 individui. Sebbene il dato sia in aumento rispetto al 2022, siamo, dopo il Friuli Venezia Giulia, la regione del Nord Italia con l’incidenza percentuale più bassa.

Identikit del capofamiglia in Povertà Energetica: disoccupato, pensionato o lavoratore autonomo
Le principali condizioni professionali del capofamiglia che si trova in PE sono, in linea di massima, tre: disoccupato, pensionato solo e in molti casi, sottolinea la CGIA, quando lavora lo fa come autonomo. Va infine sottolineato che i nuclei più a rischio PE, soprattutto nel Sud, sono quelli che utilizzano il gas quale principale fonte di riscaldamento. Coloro che invece utilizzano altri combustibili (bombole a gas, pellet, gasolio, legna, kerosene, etc.), presentano valori percentuali di rischio più contenuti. Nel ricordare che anche in Veneto il 70% circa degli artigiani e dei commercianti lavora da solo, ovvero non ha né dipendenti né collaboratori familiari, moltissimi artigiani, tantissimi piccoli commercianti e altrettante partite Iva hanno pagato due volte l’impennata delle bollette di luce e gas verificatasi negli ultimi tre anni.



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