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l’Italia che spreca e paga due volte. E in Calabria le risorse neppure si spendono


La Corte dei Conti ha certificato che il rimborso del 110% sulle ristrutturazioni edilizie ha creato una voragine di 150 miliardi di euro. Intanto dei soldi messi sul piatto dall’Europa, molti non si spendono e altri si perdono per strada

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C’è una bugia di Stato che torna a bussare alla porta quando ormai il conto è già saldato — o meglio, caricato sul futuro. La Corte dei Conti ha messo proprio in questi giorni, il timbro finale sul Superbonus 110%, e quel timbro suona come una sentenza: fino a 150 miliardi di euro di debito aggiuntivo per un Paese che non sa più distinguere tra spesa pubblica e spreco pubblico.

Nato tra i banchi deserti di un’Italia chiusa in casa, il Superbonus era l’idea semplice di un’Italia disperata: spendere per ripartire.

Ma nel nostro Paese ogni idea semplice rischia di diventare una mangiatoia complicata. Così è stato. Nessun tetto ISEE, nessun controllo patrimoniale, nessun freno alla corsa all’oro di imprese e furbetti. Cinque castelli storici figurano tra i beneficiari, segno plastico di un paradosso che non ha fatto sconti: chi aveva già mura merlate, ha ricevuto anche l’intonaco pagato da tutti.

E adesso? Adesso scopriamo che buona parte di quel denaro, secondo il Tesoro, sarebbe stato speso comunque. Che una parte sostanziosa — tra il 27% e il 33% stimano Bankitalia e l’Ufficio di Bilancio — non ha generato un solo euro di ricchezza aggiuntiva. Che i miliardi “a costo zero” hanno gonfiato il debito pubblico fino a renderlo un monumento nazionale: 135,3% del PIL, uno dei più alti d’Europa. A costo zero, dicevano.

Ma non basta. Mentre i conti scoppiano, i governi tagliano dove fa più male: sanità, scuole, infrastrutture. Le corsie ospedaliere, le aule scolastiche, i cantieri veri — quelli che servirebbero davvero — devono aspettare, perché prima vanno onorate le cambiali dei bonus. Intanto Bruxelles, col righello in mano, misura la nostra incapacità di tenerci in ordine mentre spendiamo fuori misura.

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Poi c’è il paradosso finale: i soldi dell’Europa. Il PNRR, i fondi strutturali, i miliardi piovuti per “rilanciare” dopo la pandemia. Scelte fatte in fretta e male, in base a criteri spesso pensati per accontentare tutti e non servire nessuno. E in Calabria — metafora perfetta di un Sud che non sa farsi Stato — le risorse neppure si spendono. O, se si spendono, si perdono per strada: strade che restano buche, scuole che restano cantieri eterni, promesse che restano frasi in un comunicato stampa.

Così l’Italia paga due volte: paga per spendere male e paga per non spendere affatto. E ogni tanto, come oggi, arriva un sigillo contabile a ricordarci che il prezzo — come sempre — lo pagheranno i figli di chi ora applaude ai bonus facili e alle feste di paese finanziate coi fondi europei.

Chi governa continuerà a difendere l’indifendibile. Chi governerà dovrà spiegarlo ai creditori. Chi paga davvero non ha microfoni né palchi: paga col mutuo più caro, l’asilo che manca, la corsia chiusa, la scuola che cade. Non servono sentenze per saperlo: basta vivere in Italia.



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