Diecimila miliardi di euro fermi nei conti correnti degli europei, secondo l’ultima analisi della Bce. Una liquidità gigantesca che non produce valore. Parcheggiata nei depositi senza che produca un giusto rendimento per chi la detiene, né un valore aggiunto per chi potrebbe averne bisogno.
Lì, silente, eppure, ora che c’è da finanziare il più grande piano di riarmo dalla II Guerra mondiale, occorrerebbe mobilitarla. Per supportare gli Stati già gravati da un pesante debito pubblico, Italia e Francia in testa, per investire sulla difesa, visto che l’ombrello militare della Nato rischia di venir meno.
Fino a 350 miliardi di euro l’anno in nuovi investimenti
Le considerazioni sul risparmio degli europei stanno animando da mesi il dibattito a Bruxelles e hanno portato la Commissione Ue a stilare un piano per convogliare questa liquidità sull’industria. Perché, secondo i calcoli, potrebbe generare fino a 350 miliardi di euro l’anno in nuovi investimenti.
La ricchezza finanziaria degli italiani
Solamente in Italia, su un totale di ricchezza finanziaria stimata dalla Banca d’Italia a fine 2024 in un valore superiore ai 5.500 miliardi, la quota detenuta in liquidità e conti correnti, a rendimento bassissimo (0,82% annuo secondo dati Abi di febbraio 2025), ammontava a circa 1.360 miliardi.
Il rapporto di Enrico Letta sul futuro del mercato unico ha messo in luce che «ogni anno più di 300 miliardi di euro lasciano l’Europa per investire negli Stati Uniti perché il mercato europeo è frammentato». Risparmio europeo che torna sotto forma di investimenti per finanziare lo shopping di importanti imprese europee.
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Un paradosso europeo: difficile mobilitare i risparmi europei
Un paradosso. Non è l’assenza di risorse che impedisce maggiori investimenti in Europa, semmai il problema è la difficoltà a convogliare l’ingente risparmio verso l’economia reale. Di conseguenza, le imprese hanno minori margini per innovare. Negli Usa la ricchezza dei risparmiatori è aumentata del 151% dal 2009, mentre in Europa del 55% nonostante il maggiore tasso di risparmio.
«Gli europei sono tra i migliori risparmiatori al mondo, ma molti dei loro risparmi sono depositati in conti deposito a basso rendimento», dice a tal proposito Maria Luís Albuquerque, Commissaria per i servizi finanziari e l’Unione del risparmio e degli investimenti. «Allo stesso tempo, l’Europa sta lottando per soddisfare le sue esigenze di investimento…»
Per questo la Commissione vuole adottare alcune misure entro il terzo trimestre del 2025 per aiutare gli Stati a promuovere l’adozione di conti di risparmio e di investimento basati sulle migliori pratiche esistenti. Misure accompagnate da una raccomandazione sul trattamento fiscale dei conti di risparmio e investimento.
La volontà di Bruxelles assume anche connotati pedagogici. Si pensa a iniziative finalizzate a mutare la cultura del risparmio dei cittadini europei fino a interventi per la rimozione delle barriere per i movimenti di capitali.
A tendere la volontà è quella di costituire i veicoli finanziari più snelli all’interno di un mercato unico dei capitali europei integrando i listini in un’unica architettura invece di avere la Borsa di Milano, Parigi e Berlino.
Unione del mercato dei capitali e unione bancaria
L’unione del mercato dei capitali è in realtà una di quelle visioni comprensibili solo agli addetti ai lavori: si tratta di avere un mercato finanziario integrato, senza barriere interne, con regole e vigilanza comuni, in grado di finanziare l’economia europea. Lanciata nel 2015, i progressi per ora sono limitati.
Non è andata come per l’unione bancaria: in reazione alla crisi finanziaria originata dagli Usa alla fine del primo decennio del secolo e poi prolungatasi con la crisi del debito sovrano, la vigilanza bancaria nell’area euro è centralizzata sotto l’egida della Bce, tassello del “federalismo monetario” europeo. Per le banche si è proceduto dall’alto, per i mercati finanziari si è proceduto dal basso, con il risultato che restano sostanzialmente nazionali.
Avere o meno un mercato dei capitali senza barriere fa la differenza per il finanziamento dell’economia e qui il divario tra Ue e Usa è enorme. Per esempio, il finanziamento azionario a fine 2023 rappresentava solo l’84% del Pil dell’area euro contro il 173% negli Stati Uniti.
Il fondo venture capital europeo più grande è inferiore per importo raccolto al decimo più grande americano.
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Serve più finanza per le sfide comuni
Non avere un mercato finanziario unico priva l’Europa di una risorsa di cui non può più fare a meno. Letta ha spiegato ai capi di governo che l’Ue non può permettersi il lusso di non fare nulla. La leva della finanza europea integrata è decisiva nel momento in cui si accumulano le transizioni: verde, digitale, difesa/sicurezza, nuova fase di allargamento dell’Ue (Balcani e in prospettiva Ucraina e Georgia), rafforzamento delle coperture sociali.
In gioco ci sono la difesa del tessuto industriale europeo, la risposta allo spiazzamento nella produzione di pannelli solari, batterie, chip elettronici, intelligenza artificiale, la riduzione della dipendenza da produzioni di punta effettuate altrove e dalle materie prime e rare importate.
Lo sforzo di investimenti necessario è immane, si calcola in diverse centinaia di miliardi di euro ogni anno per molti anni. Solo per transizione verde e digitale circa 750 all’anno fino al 2030. Sono i conti minimali di un IRA europeo (riferimento all’Inflation Reduction Act che sostiene la svolta industriale e verde negli Usa).
Non basteranno le casse degli Stati, in tempi di debiti pubblici alle stelle, né il canale bancario, che costituisce la principale fonte di finanziamento delle imprese. E neppure le risorse europee attuali: il bilancio Ue vale meno di 1.100 miliardi per sette anni, se ne aggiungono 800 di Next Generation Eu fino al 2026.
Certamente, c’è la Banca europea degli investimenti, di cui sono azionisti gli Stati Ue, che ha una capacità effettiva di mobilitazione di capitali privati, però dovrebbe essere ricapitalizzata per aumentarne la potenza. Ma va supportata col meccanismo europeo di stabilità e le banche nazionali per «esplorare come aumentare le opportunità per gli investitori al dettaglio di accedere a prodotti finanziari idonei…»
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Per fare un esempio, società quotate come Leonardo o la tedesca Rheinmetall avrebbero in questo modo un accesso più agevole sul mercato a risparmiatori che invece ora finanziano in prevalenza le aziende americane.
Attualmente i gestori patrimoniali costruiscono un portafoglio in cui per la parte azionaria la parte del leone la fanno i titoli delle big tech americane che danno ottimi rendimenti.
In futuro dovrebbe essere molto più facile investire su una tech europea. Esistono diverse cause alla base dei bassi investimenti sull’innovazione e sulla ricerca. Il mercato dei capitali rimane frammentato tra Paesi.
Il rapporto propone di rafforzare i poteri dell’Esma (sul modello della Bce), creando un’unica cassa di compensazione per gli scambi e incoraggiando l’adesione dei risparmiatori ai fondi pensione come è stato fatto in Olanda, Danimarca e Svezia.
Inoltre, le imprese si affidano eccessivamente ai finanziamenti bancari, che sono «meno adatti a finanziare progetti innovativi e devono affrontare diversi vincoli». Le banche hanno meno esperienza nell’innovazione rispetto a venture capital e private equity e hanno una minore redditività rispetto ai gruppi Usa: JP Morgan da sola capitalizza più delle dieci maggiori banche europee. La capacità dell’Ue di mobilitare i risparmi europei sarà decisiva per affrontare le transizioni e ridurre la dipendenza finanziaria dall’esterno.
Cosa prevede il piano dell’Unione
Canalizzare i risparmi dei privati verso investimenti produttivi, offrire ai cittadini europei un accesso più ampio ai mercati dei capitali – migliorando i rendimenti dei loro investimenti – e aprire nuove opzioni di finanziamento per le imprese. Sono ampi e di lungo respiro gli obiettivi della strategia per la Savings and Investments Union (Siu), il piano per l’Unione dei risparmi e degli investimenti presentato mercoledì. La roadmap della Commissione Ue delinea un pacchetto di 19 misure – tra atti legislativi, comunicazioni, monitoraggio e raccomandazioni – da mettere in campo entro i prossimi due anni.
Nel documento, di 16 pagine, la Commissione spiega le motivazioni della svolta, su modello americano, che si vuole dare al mercato dei capitali europeo. «Circa il 70% (10 mila miliardi di euro) dei risparmi al dettaglio dell’Ue è attualmente detenuto sotto forma di depositi bancari, mentre solo il 30% è detenuto sotto forma di strumenti del mercato dei capitali», si legge nel testo. Le misure vanno dalla rimozione delle barriere per i movimenti di capitali alla spinta all’Unione bancaria, fino a iniziative finalizzate a mutare la cultura del risparmio dei cittadini europei. Sul piano procedurale le parole d’ordine sono rapidità e integrazione. «Nel secondo trimestre del 2025 la Commissione istituirà un canale dedicato a tutti gli operatori del mercato per segnalare gli ostacoli incontrati nel mercato all’interno del mercato unico e intensificherà l’azione esecutiva per accelerare la loro rimozione», è una delle misure presentate.
Articolo pubblicato su Business People di giugno 2025, scarica il numero o abbonati qui
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