Un’imprenditrice dell’acciaio che investe anche in startup. L’industria pesante che incontra l’innovazione. Maria Anghileri, classe 1987, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria dal novembre 2024, avvocato di formazione ma con la vocazione imprenditoriale nel sangue, ha fatto il suo debutto in società nell’annuale Convegno dei Giovani di viale dell’Astronomia di metà giugno e non ha risparmiato richiami al valore della cultura d’impresa e dell’innovazione e appelli affinché si sciolgano i troppi lacci e lacciuoli che ancora frenano l’iniziativa imprenditoriale, specie quella giovane e innovativa, in Italia come in Europa.
Da Chief Operating Officer di Eusider Group, l’azienda di famiglia dove è impegnata da quasi 10 anni, Maria Anghileri conosce le ragioni dell’industria ed è allo stesso tempo una convinta rappresentante di quel ricambio generazionale che sta avvicinando all’innovazione tante imprese familiari italiane.
Di questo e altro parliamo con Maria Anghileri in questa intervista a EconomyUp, la prima su startup e innovazione.
Presidente, cominciamo dalla sua esperienza da imprenditrice. Ha un modello? Una figura a cui si ispira?
Ogni impresa ha un’anima che proviene dalla famiglia che la guida: si vede chiaramente nel mio caso. Mio padre ha fondato l’azienda nel 1979 insieme a mio zio Antonio, a soli 19 anni, e lui è il mio esempio. Il nostro approccio è stato quello di non limitarsi al semplice trading, ma di aggiungere valore con lavorazioni specializzate. La nostra azienda si è sempre distinta per il servizio al cliente e la diversificazione dei prodotti. Questo ci ha permesso di rimanere competitivi e di essere oggi un player di riferimento nel panorama siderurgico italiano.
Essere imprenditori, quindi, significa dare un’anima all’impresa. Ed essere imprenditori innovativi?
L’innovazione si può fare in tanti modi. Noi, ad esempio, grazie anche all’iniziativa di mio fratello Giacomino oggi CEO del gruppo, stiamo puntando molto sull’export, che rappresenta il 35% del fatturato, soprattutto Nord Africa ed Europa, ma anche sulla sostenibilità con un progetto molto bello e innovativo, appunto, di trasporto merci su acqua via chiatta. E poi c’è la tecnologia. Pur essendo un’azienda tradizionale nel settore dell’acciaio, siamo molto attenti agli sviluppi tecnologici. Nel nostro caso, l’introduzione dell’intelligenza artificiale per la manutenzione predittiva e l’ottimizzazione dei processi produttivi sta segnando una vera e propria rivoluzione. Ma l’innovazione non è solo adozione di nuove tecnologie, va cambiato anche il nostro modo di lavorare. E proprio per questo motivo investire in startup diventa necessario e conveniente per favorire la “contaminazione” fra aziende tradizionali e imprese di nuova generazione. Questa è una sfida comune a tutti, dalle grandi aziende alle PMI.
Sulle startup torniamo dopo. Ci può dire di più sul progetto di trasporto via chiatta a cui accennava prima?
Per Eusider è un progetto strategico a cui stiamo lavorando da qualche anno: il nuovo stabilimento di Ostiglia, in provincia di Mantova, dove abbiamo un terreno di quasi un milione di metri quadri. Abbiamo realizzato i primi 50.000 metri quadri coperti, con un dettaglio molto interessante: il terreno è lambito da un canale artificiale, che collega lo stabilimento al mare Adriatico e adesso stiamo cercando di introdurre il trasporto via chiatta per ridurre quello su gomma che notoriamente è molto inquinante. Nei Paesi nordici questo è un metodo di trasporto molto sviluppato, in Italia purtroppo poco: questa è la nostra sfida, il nostro modo concreto di perseguire la sostenibilità che è termine molto in voga ma difficile da tradurre in progetti concreti.
Che cosa fanno e faranno i Giovani di Confidustria per sostenere le nuove imprese e l’incontro con quelle tradizionali?
Con il progetto Talentis , ad esempio, puntiamo proprio a creare ponti tra le nuove imprese e quelle più consolidate. Se da un lato le startup sono fondamentali per portare nuova linfa all’economia, dall’altro è importante che possano collaborare con aziende più strutturate per superare le difficoltà, come l’accesso al credito e la raccolta fondi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il venture capital è molto più sviluppato, mentre in Italia è ancora un sistema poco accessibile. È essenziale che le startup trovino il supporto giusto per crescere, e questo è il nostro primo impegno.
L’incontro con il sistema economico tradizionale è fondamentale, sia per le imprese sia per le startup. Bisogna prima crearle le nuove imprese, le startup. Che cosa pensate di fare per sostenere la creatività imprenditoriale che non manca in Italia?
Il nostro ruolo è proprio diffondere la cultura d’impresa e su questo fronte abbiamo un progetto che sta funzionando bene: si chiama GenerAZIONI ed è dedicato al passaggio generazionale e alla scoperta delle eccellenze imprenditoriali italiane. Giriamo l’Italia, andiamo proprio a visitarle, dal Nord al Sud, perché bisogna vedere e capire quel che accade in azienda, soprattutto quando c’è un passaggio generazionale. Abbiamo visto che le imprese vincenti sono quelle dove esiste dialogo e confronto tra fondatori e giovani. A me piace definirla sinergia generazionale.
Che cosa significa sinergia generazionale?
Rispondo con la mia esperienza in azienda che vivo quotidianamente: il confronto costante fra chi l’ha fondata e conosce perfettamente tutto e le nuove generazioni che, a voltre con una ottima esperienza manageriale acquisita all’esterno, riescono a portare nuove idee e nuovi stimoli. È un tema che riguarda tutti, imprenditori piccoli, medi e grandi e affrontarlo nel modo corretto ritengo che sia anche la premessa necessaria per fare veramente innovazione.
Nel suo programma c’è molta attenzione anche all’internazionalizzazione…
Sì, l’internazionalizzazione è una delle nostre priorità. Saremo al G20 in Sudafrica a settembre, dove incontreremo imprenditori di tutto il mondo, e nel 2026 organizzeremo una visita alla CES di Las Vegas, uno degli eventi più importanti in ambito tecnologico. È importante che i giovani imprenditori possano confrontarsi con altre realtà per stimolare l’innovazione e creare sinergie globali.
A proposito di internazionalizzazione, in Italia abbiamo tanti giovani, troppi, che prendono la via dell’estero. Qual è la sua opinione a riguardo e come si può invertire la tendenza?
Abbiamo discusso molto di questo tema a Rapallo, per riaffermare la libertà di scegliere di restare nel nostro Paese. Il problema non sono tanto i giovani che vanno all’estero, ma quelli che non vogliono o non riescono a tornare, che non trovano nel nostro Paese gli stimoli e le risorse per sviluppare il loro potenziale. Questo è un enorme gap che bisogna colmare, creando condizioni più favorevoli per l’innovazione e l’imprenditorialità. Le istituzioni devono fare di più per favorire la crescita e investire in ricerca, sviluppo e su quella che abbiamo definito “filiera futuro”. La generazione più giovane ha una preparazione solida, ma spesso non trova spazio in Italia per mettere in pratica le proprie idee. È fondamentale che venga dato loro il supporto giusto, per garantire che l’Italia non perda queste risorse.”
Che cosa pensa delle politiche di supporto alle startup in Italia e a livello europeo?
Siamo ancora lontani dal livello di supporto che le startup ricevono negli Stati Uniti. Se non si interviene a livello europeo per creare un ambiente davvero integrato, rischiamo di perdere molte opportunità. Un esempio concreto potrebbe essere il cosiddetto 28 regime, un regime unificato che dovrebbe permettere alle startup di operare in tutti i 27 Stati membri con le stesse regole. Oggi questo è un ostacolo enorme per le imprese che vogliono internazionalizzarsi, soprattutto per le piccole realtà. Se l’Europa riuscisse a rendere il suo mercato più competitivo e a favorire l’accesso ai capitali, potrebbe diventare un luogo più attrattivo per le startup.
Certamente le avranno proposto di investire in qualche startup. L’ha fatto?
Come imprenditrice mi è capitato. La cosa più affascinante, e quella che deve guidare poi la scelta e la decisione di investimento, è la valutazione della persona e del progetto imprenditoriale. Gli investimenti riusciti sono stati quelli in cui siamo stati bravi a capire e a valorizzare la persona e il progetto imprenditoriale più che il business plan, che è sempre qualcosa che rimane solo sulla carta soprattutto per una startup.
Quindi possiamo dire che è una business angel?
No, non mi voglio definire così perché non sarebbe corretto.
Però, pare di capire che non sono mancati gli investimenti che le hanno dato soddisfazione. A quali settori guarda?
Sì, ho fatto diversi investimenti e non mancano quelli positivi. Guardo soprattutto alle startup che sviluppano software, in ambito manifatturiero che è quello che mi interessa di più e dove la grande sfida oggi è l’intelligenza artificiale generativa.
Non potevamo che chiudere con la GenAI…
Beh, è una rivoluzione che, se ben gestita, può cambiare profondamente il modo di lavorare nelle fabbriche,. I rischi non mancano ma non possiamo ignorare il potenziale. Anche in questo caso, più di altri, l’innovazione deve essere accompagnata da una corretta gestione dei diritti e della formazione, per evitare diseguaglianze e impatti negativi.
Buon lavoro, Presidente. Contiamo molto sulle “sinergie generazionali”
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