ANIA
Assemblea Annuale
Roma, 2 luglio 2025
Intervento del Ministro Giancarlo Giorgetti
Buongiorno a tutti,
un ringraziamento particolare al Presidente Liverani per l’invito ad intervenire oggi all’Assemblea annuale dell’ANIA: un appuntamento importante, specie alla luce del mutevole e incerto contesto sociale, politico ed economico in cui ci troviamo, che ci permetterà di analizzare le sfide e le opportunità che il settore assicurativo e il nostro Paese si troveranno ad affrontare.
Quello in cui ci troviamo oggi è senza dubbio uno scenario globale caratterizzato da una marcata e persistente incertezza.
In questo mutato contesto, l’Italia e l’Unione europea devono ripensare il proprio ruolo nello scenario internazionale, rinforzando l’autonomia strategica e cercando di compiere tutti gli sforzi necessari per colmare il divario di capacità di innovazione e competitività che le separa dalle altre maggiori economie avanzate. Vanno affrontate, e auspicabilmente vinte, le diverse sfide strategiche dinanzi a noi, alcune comuni all’Unione europea – quali ad esempio quelle della doppia transizione, digitale ed ecologica; del consolidamento della difesa comune e della necessità di nuove infrastrutture essenziali – il calo demografico e il contestuale allungamento delle aspettative di vita.
Le sfide a cui ho appena accennato sono ampie e significative, ma alla portata delle potenzialità del nostro Paese.
L’economia italiana conferma un percorso di crescita solido, sostenuto in particolare dagli investimenti e dall’attuazione del PNRR. L’occupazione continua a rafforzarsi, con oltre 140.000 nuovi occupati nel primo trimestre dell’anno e un tasso di disoccupazione sceso intorno al 6%.
L’inflazione si mantiene stabilmente sotto controllo, al di sotto del 2%, mentre il deficit pubblico è in progressiva riduzione, previsto al 3,3% del Pil nel 2025, con un percorso di graduale discesa nei prossimi anni.
In questo quadro il Governo conferma un’impostazione di serietà e responsabilità nei conti pubblici, sostenendo al tempo stesso export, investimenti e competitività, a beneficio della crescita strutturale delle nostre imprese e dell’economia nazionale.
Le sfide ambiziose che siamo chiamati ad affrontare richiedono investimenti di vasta portata e di lungo termine. Dati i vincoli di bilancio attuali, le sole risorse pubbliche non sono sufficienti a coprire tale fabbisogno, in Italia come in Europa. È pertanto il risparmio privato che deve confermare anche in questa occasione il suo ruolo di bene strategico fondamentale, che deve essere tutelato e promosso, come già la nostra Costituzione richiede, nell’interesse tanto dei singoli risparmiatori quanto del sistema nel suo complesso.
È nostro compito pertanto assicurare le precondizioni che permettano l’efficiente ed efficace funzionamento dell’ecosistema finanziario, nelle sue vari componenti: il settore bancario e assicurativo, la finanza di mercato, il settore previdenziale. È attraverso queste componenti che il risparmio privato può effettivamente mettersi al servizio e a supporto della crescita economica, operando come un potente fattore di crescita sostenibile e inclusiva per la nostra economia e la nostra società.
Solo attraverso il fluido e corretto funzionamento di questi mercati il risparmio può, da un lato, agire come propulsore per la crescita economica, lo sviluppo e l’inclusione sociale, e dall’altro consentire contestualmente l’accesso dei risparmiatori a rendimenti diversificati per rischio e orizzonte temporale.
Dal lato del sostegno alla crescita economica, ad esempio, nel settore delle piccole e medie imprese, soprattutto quelle innovative, l’apporto di capitale di rischio viene coperto con fatica dal settore finanziario tradizionale.
Il MEF è pienamente consapevole di ciò ed è per questo che sostiene ad esempio lo sviluppo del Fondo Nazionale Strategico Indiretto (FNSI) di CDP Equity. Uno strumento efficace, a servizio dell’economia reale. Il Governo conta su una partecipazione di sistema nei confronti dello stesso. La sua struttura di fondo di fondi è infatti particolarmente adatta all’economia italiana fatta di PMI che difficilmente potrebbero essere servite dai grandi fondi internazionali, strutturalmente orientati a investimenti di grande dimensione.
Sul piano regolamentare è necessaria la complementarità tra azioni a livello statale e quelle a livello UE: correttamente la Commissione europea, nella raccomandazione rivolta ai Co-Legislatori sulla Saving and Investment Union, ha affermato che la realizzazione di una autentica Unione dei Risparmi e degli Investimenti è compito condiviso degli Stati e dell’Europa.
Una prima direttrice di cambiamento è stata già attivata da questo Governo, con la c.d. Legge Capitali del 2024 e la contestuale delega per la revisione complessiva del Testo Unico della Finanza, in dirittura d’arrivo. L’obiettivo è favorire lo sviluppo dei mercati dei capitali, in modo complementare al finanziamento bancario, in particolare per sostenere progetti imprenditoriali innovativi e la crescita dimensionale delle imprese attraverso capitale di rischio.
Il progetto non si pone come mero rebranding di quelli già esistenti (mi riferisco all’Unione Bancaria e all’Unione dei Mercati dei Capitali) ma, perseguendo un approccio di più ampia portata, riconosce la stretta complementarità tra settore bancario e finanza di mercato.
La realizzazione di un mercato davvero unico, privo di ostacoli alla mobilità di capitali e operatori, comporterà, inevitabilmente, un aumento nella competizione tra gli operatori, anche di comparti diversi, in cui prevarrà chi, meglio di altri, saprà essere in grado di intercettare le esigenze dei risparmiatori, offrendo servizi a valore aggiunto e consolidando il necessario rapporto fiduciario con la clientela.
Confido che il comparto assicurativo nazionale potrà essere protagonista sulla scena, non solo nazionale ma anche europea.
La fiducia da parte della clientela verso il settore è testimoniata dalla crescita della raccolta, dell’incidenza dei premi sul PIL e degli investimenti, che nel 2024 hanno superato i 1.000 miliardi, dei quali il 21,2% rappresentato da titoli di Stato italiani in calo (del 1,1%) rispetto all’anno precedente. Vi ringrazio per la fiducia!
La solidità è altresì confermata dai valori del Solvency ratio medio delle compagnie italiane che, in tutti i trimestri del 2024, è risultato superiore a quello medio europeo, come riportato anche nella relazione annuale dell’IVASS.
Le sfide poste dalla competizione e la necessità di intercettare quei bisogni nuovi e differenziati, di natura previdenziale e assistenziale, che l’operatore pubblico e quelli privati possono soddisfare in sinergia, e su cui mi soffermerò in seguito, richiedono un’ampia e variegata gamma di offerta.
La competizione deve però avvenire all’interno di un campo di gara in cui le regole siano complete, eque e parimenti applicabili ai giocatori.
Come sottolineato anche dal Presidente Signorini in occasione della recente presentazione della relazione annuale dell’IVASS, è auspicabile un rafforzamento dei poteri dell’Autorità europea (EIOPA) in materia di effettivo enforcement delle comuni regole, nonché la realizzazione di un quadro armonizzato della disciplina delle crisi.
L’uniformità e la coerenza nelle pratiche di vigilanza sono una priorità in un sistema in cui, tra Autorità del Paese di origine e quelle del Paese di destinazione, il riparto di funzioni e competenze è sbilanciato verso le prime.
Occorre perseguire una vigilanza di tipo “europeo”, che non necessariamente comporti un passaggio di poteri dalle Autorità nazionali all’EIOPA, ma che assicuri in capo a quest’ultima la capacità di porsi quale soggetto che coordina ed uniforma le prassi e gli stili di vigilanza nazionali, che le attribuisca poteri di mediazione vincolanti, in caso di dispute. Un processo di “integrazione” dell’attività di vigilanza, non di “centralizzazione”, per la quale non sussistono al momento le condizioni né politiche né tecniche.
L’asimmetria delle regole e delle prassi non può comportare vantaggi per un operatore in virtù di quella che è la sua giurisdizione di origine, non è questo il mercato interno a cui pensavano i padri fondatori. Il Mercato unico deve garantire al cittadino-assicurato le medesime tutele, quale che sia l’origine della controparte.
Come noto, nel corso del 2023 si è verificato un caso – unico ed isolato – di crisi per una compagnia assicurativa nazionale. L’episodio ha trovato un epilogo positivo, tramite una operazione di mercato senza che si sia realizzata alcuna perdita o decurtazione di valore per gli assicurati. Anche in conseguenza di quell’evento, a maggiore ed ulteriore tutela degli assicurati, con la Legge di Bilancio 2024 si è proceduto alla istituzione del Fondo di garanzia assicurativo dei rami vita: un organismo associativo, istituito fra le imprese di assicurazione ad altri intermediari aderenti – e dai medesimi interamente finanziato – con lo scopo di intervenire a tutela degli aventi diritto a prestazioni assicurative.
Nell’arco di un decennio (prolungabile di ulteriori due anni, se ne ricorreranno le condizioni), sarà disponibile un buffer di disponibilità ben maggiore di quello, ad esempio, previsto per analoghe finalità in altri grandi Paesi europei.
A differenza di quanto avviene per gli operatori nazionali, non vi è un obbligo di adesione al Fondo (e non può essere imposto ai sensi della normativa europea) da parte delle imprese europee operanti in Italia in regime di stabilimento o di libera prestazione.
Allo stesso tempo, la regolamentazione europea, almeno per il momento, non impone la costituzione, all’interno degli Stati membri, di fondi analoghi o simili, per funzionamento e finalità, a quello nazionale.
La scelta compiuta con la costituzione del Fondo di garanzia per gli assicurati, che rivendico, comporta un costo per l’industria nazionale, ma contribuisce ad alimentare la fiducia nei suoi confronti da parte della clientela.
Vi è però, innegabilmente, una questione di asimmetria nei benefici, nei rischi e nei costi connessi al vigente funzionamento del Mercato interno europeo, con particolare riguardo alla vigilanza sulle prestazioni assicurative in regime di libera prestazione di servizi.
Lo evidenziano anche recenti casi di crisi che hanno interessato compagnie operanti nel nostro Paese in regime di libera prestazione di servizi, rispetto alle quali le armi della vigilanza nazionale “sono spuntate”.
Al riguardo l’auspicio è che i risparmiatori coinvolti possano recuperare pienamente quanto investito in tempi ragionevoli.
Per queste ragioni, in sede europea, l’Italia ha più volte sollevato l’esigenza del level playing field e la necessità di garantire le medesime tutele agli assicurati, quale che sia la residenza loro e quella delle imprese con cui stabiliscono rapporti contrattuali.
In occasione dell’approvazione della direttiva sulle procedure di risanamento e risoluzione delle imprese di assicurazione, insieme ad altri Paesi abbiamo sostenuto la necessità di introdurre meccanismi di finanziamento delle situazioni di crisi, che fossero adeguati e idonei anche a fare fronte ad eventi con ripercussioni su base transfrontaliera.
Vi sono due ambiti in cui il settore assicurativo, secondo una logica di sussidiarietà, può concorrere al soddisfacimento di bisogni individuali, soddisfacendo l’interesse pubblico: il primo attiene al soddisfacimento dei bisogni derivanti dall’allungamento delle aspettative di vita e dalla necessità di assicurare che, anche al termine della fase lavorativa, il cittadino disponga di mezzi appropriati e possa usufruire di servizi di cura ed assistenza adeguati; il secondo ambito riguarda la necessità – purtroppo sperimentata negli ultimi anni – di far fronte agli effetti di eventi naturali devastanti, come terremoti, alluvioni e frane, che hanno provocato danni ingenti e gravi perdite.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il terreno in cui le assicurazioni possono giocare un ruolo decisivo è quello della previdenza integrativa che, come ho ricordato recentemente al Salone del Risparmio, rappresenta un pilastro fondamentale del nostro sistema di welfare. Accanto alla previdenza pubblica obbligatoria, essa offre infatti una risposta concreta all’esigenza di garantire livelli di reddito adeguati durante la fase della vecchiaia, in un contesto demografico, economico e occupazionale profondamente mutato.
Non va dimenticato che, salvo limitati interventi, la previdenza complementare in Italia è ancora basata sul quadro normativo definito nel 2005, in un contesto sociale e demografico ben diverso da quello attuale.L’adesione alle forme previdenziali integrative è cresciuta costantemente, ma è lontana dai livelli riscontrabili in altri Paesi e, soprattutto, dai livelli necessari per garantire efficacemente i lavoratori. Affinché il sistema possa svolgere appieno la propria funzione sociale e contribuire allo sviluppo sostenibile del Paese, occorre un insieme organico di misure che ne rafforzi la diffusione, l’equità e l’efficacia.
Il sistema, in estrema sintesi, appare attualmente caratterizzato da: una capacità di apportare capitali alle imprese domestiche (in particolar modo quelle non quotate) che presenta margini di miglioramento; tassi di adesione che, sebbene in costante aumento, non sono ancora in linea con quelli di altri ordinamenti, nonostante un favorevole trattamento fiscale; rendimenti che, in media, non sempre si discostano significativamente da quelli conseguiti optando per il mantenimento del TFR in azienda o destinandolo all’INPS.
Risponderebbe all’interesse dei singoli e a quello generale un sistema di previdenza complementare maggiormente sviluppato che, da un lato riduca il pension gap, garantendo prestazioni più generose, e dall’altro concorra al finanziamento ed allo sviluppo del sistema Paese.
Misure idonee a modernizzare e rendere più competitivo il sistema potrebbero essere effettuate lungo tre direttrici, anche traendo ispirazione dalle migliori prassi ed esperienze internazionali: miglioramento dei meccanismi di adesione; incentivi all’incremento della contribuzione, che non necessariamente comportino maggiori oneri a carico dello Stato; stimoli alla competizione e a soluzioni di investimento più efficienti.
In merito all’assistenza sanitaria, voglio ricordare come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza abbia introdotto risorse rilevanti per rilanciare la sanità: ridisegnare la rete assistenziale, digitalizzare il Servizio Sanitario Nazionale, rafforzare la ricerca e formare nuove competenze.
Il Governo sta investendo con determinazione per garantire l’efficienza e la qualità di un sistema sanitario sempre più chiamato a rispondere a bisogni complessi. L’invecchiamento della popolazione porterà a un aumento esponenziale dei bisogni di assistenza per le persone non autosufficienti.
Per affrontare il problema occorre arrivare in tempi rapidi a garantire l’unitarietà dell’accesso attraverso la standardizzazione della nozione di non autosufficienza. Occorrerà inoltre effettuare al più presto il censimento delle prestazioni assistenziali, con l’obiettivo di riordinare l’intervento pubblico.
Per affrontare con successo le sfide che ci attendono, è fondamentale anche rafforzare la collaborazione tra il pubblico, l’offerta di prestazioni private e le forme di sanità integrative, creando sinergie in grado di ampliare l’accesso, migliorare i servizi e rendere il sistema più sostenibile per tutti.
La spesa sanitaria italiana nel 2023 è stata di circa 176 miliardi di euro, con una componente pubblica di 130,3 miliardi e una privata di oltre 40 miliardi. Gran parte di quest’ultima è “out of pocket”, ovvero a carico completo dei cittadini e non mediata da fondi sanitari o polizze assicurative.
Le forme sanitarie integrative (fondi e casse sanitarie, società di mutuo soccorso, polizze assicurative) sono relativamente poco sviluppate, soprattutto se i circa 5 miliardi di premi e contributi si confrontano con gli oltre 40 miliardi direttamente spesi dai cittadini per farmaci e prestazioni sanitarie non offerte, o offerte con molto ritardo, dal sistema pubblico.
Inoltre, manca per fondi e casse integrative un disegno ordinato di regole su trasparenza, governance, requisiti patrimoniali, di onorabilità e professionalità, tenuta dei bilanci, distribuzione delle coperture e vigilanza delle forme sanitarie integrative.
Appare necessario avviare una riflessione su un riordino della disciplina, per definire un secondo pilastro regolamentato che attribuisca a tali forme il compito di mutualizzare i costi da sostenere ed evitare così di lasciare le famiglie sole di fronte alla decisione di sostenere, se possibile, la spesa che si è resa necessaria.
Il secondo ambito dove le assicurazioni private possono operare efficacemente anche nell’interesse pubblico attiene alla gestione dei danni causati da calamità naturali ed eventi catastrofici, un tema che sta assumendo nel tempo sempre maggior rilievo anche nel dibattito europeo e internazionale.
Per questo è fondamentale che le nostre imprese siano pronte e protette, dotandosi di polizze assicurative per coprire i danni, garantire una maggiore sicurezza finanziaria ed evitare che un singolo disastro possa metterle in ginocchio.
Concludo il mio intervento ringraziando ancora una volta il Presidente Liverani per l’invito a partecipare qui oggi e auguro a tutti buon lavoro.
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