Il 30 giugno 2025 la Relatrice Speciale dell’ONU Francesca Albanese ha presentato al Consiglio per i Diritti Umani un rapporto che potrebbe segnare una svolta nelle responsabilità economiche nei conflitti armati. Intitolato “From Economy of Occupation to Economy of Genocide” (testo ufficiale in PDF), il documento accusa oltre 60 aziende internazionali di trarre profitto dalla distruzione sistematica della Striscia di Gaza e di contribuire direttamente o indirettamente a crimini che configurano genocidio.
Secondo Albanese, l’attuale campagna militare israeliana non si reggerebbe solo su decisioni strategiche, ma su una rete industriale e finanziaria che renderebbe l’aggressione “economicamente sostenibile”. Le aziende coinvolte opererebbero nei settori della difesa, della tecnologia, della sorveglianza, delle infrastrutture e anche dell’industria automobilistica.
Tra le imprese citate spiccano giganti della difesa come Elbit Systems, Israel Aerospace Industries, Rafael Advanced Defense Systems, Lockheed Martin, Boeing, General Dynamics, Leonardo, Airbus, tutte fornitrici di armamenti utilizzati nei bombardamenti o nelle incursioni di terra contro Gaza.
Nel campo della tecnologia, il report menziona Palantir Technologies, che fornisce software di sorveglianza alle autorità israeliane; Google e Amazon, coinvolte nel controverso progetto Nimbus di cloud computing per il governo israeliano e altri colossi come IBM, HP e Microsoft, accusati di contribuire alle infrastrutture digitali dello Stato israeliano, comprese le piattaforme di riconoscimento facciale e i sistemi di controllo nei checkpoint e nei Territori occupati. Come racconta il report: “Microsoft è attiva in Israele dal 1991, sviluppando il suo più grande centro al di fuori degli Stati Uniti. Le sue tecnologie sono integrate nel sistema penitenziario, nella polizia, nelle università e nelle scuole, comprese le colonie. Microsoft ha integrato i suoi sistemi e la tecnologia civile nell’esercito israeliano dal 2003, acquisendo al contempo start-up israeliane di sicurezza informatica e sorveglianza”.
Nel gennaio 2024, Palantir annunciò una nuova partnership strategica con Israele. Nell’aprile 2025, l’amministratore delegato di Palantir rispose alle accuse secondo cui Palantir aveva ucciso palestinesi a Gaza affermando: “per lo più terroristi, è vero”.
Con l’aumento dei volumi di dati generati dai sistemi di apartheid militari e di controllo demografico israeliani- scrive Albanese nel rapporto- è cresciuta anche la dipendenza dal cloud storage e dall’informatica. Nel 2021 Israele ha assegnato ad Alphabet Inc. (Google) e Amazon.com Inc. un contratto da 1,2 miliardi di dollari (Progetto Nimbus) in gran parte finanziato con fondi del Ministero della Difesa per la fornitura di infrastrutture tecnologiche di base. Nel luglio 2024- scrive la Albanese- un colonnello israeliano ha descritto la tecnologia cloud come un’arma in tutti i sensi, citando queste aziende.
Un capitolo centrale del rapporto riguarda poi le aziende di veicoli e macchinari industriali come Caterpillar, Volvo, Hyundai Heavy Industries, RADA. Per queste aziende l’accusa risulta pesante: “Escavatori e macchinari pesanti Caterpillar, HD Hyundai e Volvo sono stati utilizzati
nella costruzione di colonie illegali per almeno 10 anni. Dall’ottobre 2023 è stato documentato che le attrezzature Caterpillar sono state utilizzate per effettuare demolizioni di massa tra cui abitazioni, moschee e infrastrutture di supporto vitale e per razziare ospedali”.
Queste aziende, tradizionalmente associate al settore edilizio, forniscono anche veicoli pesanti e blindati, spesso modificati per scopi militari. Bulldozer Caterpillar D9, escavatori Hyundai e Volvo e altri veicoli da costruzione vengono utilizzati non solo per demolire abitazioni palestinesi o realizzare strade coloniali, ma anche come strumenti tattici nelle operazioni di terra a Gaza. Questi mezzi sono stati impiegati per abbattere infrastrutture civili come ospedali o scuole, rendendo la loro funzione chiaramente militare, e non solo logistica o edilizia. Il nuovo rapporto ONU incrimina le aziende poichè: “Queste aziende hanno continuato a rifornire il mercato israeliano nonostante le abbondanti prove dell’uso criminale di questi macchinari da parte di Israele e i ripetuti appelli dei gruppi per i diritti umani a interrompere i legami”.
Nel report sono evidenziati esempi di aziende come Netafim che trarrebbero profitto dall’espansione dei possidimenti illegali israeliani nei Territori Occupati. La Netafim, leader mondiale nella tecnologia di irrigazione, ora posseduta all’80% dalla società messicana Orbia Advance Corporation che ha progettato la sua tecnologia agricola in linea con gli imperativi di espansione di Israele. Pur mantenendo un’immagine globale di sostenibilità, la tecnologia Netafim avrebbe consentito uno sfruttamento intensivo di acqua e terra in Cisgiordania nei Territori Occupati secondo il report di Francesca Albanese.
Albanese non usa mezzi termini e dice: “Laddove le entità aziendali continuino le loro attività e relazioni con Israele – con la sua economia, il suo apparato militare e i settori pubblico e privato collegati al territorio palestinese occupato – si può ritenere che abbiano consapevolmente contribuito a: (a) Violazione del diritto palestinese all’autodeterminazione;
(b) Annessione del territorio palestinese, mantenimento di un’occupazione illegale e, di conseguenza, il crimine di aggressione e le relative violazioni dei diritti umani;
(c) Crimini di apartheid e genocidio;
(d) Altri crimini e violazioni accessori”
Israele ha respinto con forza le accuse, definendo il rapporto “pregiudizievole, tendenzioso e infondato”, mentre diverse aziende hanno evitato commenti o negato ogni implicazione. Tuttavia, secondo Reuters, solo una minoranza delle società contattate avrebbe fornito risposte pubbliche.
Il documento non ha valore giuridico vincolante, ma rappresenta un’esortazione potente affinché la responsabilità aziendale nei conflitti armati venga affrontata con la stessa serietà con cui si giudicano gli attori statali. “Il genocidio non è solo un crimine, è anche un affare”, conclude Albanese, “e va combattuto su entrambi i fronti”.
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