Una pinza robotica soft e sensorizzata, con dita morbide, realizzata con materiali innovativi, progettata per minimizzare i consumi energetici, con sviluppata capacità di calcolo interna. E’ un esempio di soluzione hardware embedded per l’automazione industriale, in cui intelligenza artificiale, sensori e capacità di elaborazione sono integrate direttamente nei componenti fisici. Questi prodotti rappresentano un trend di mercato in forte evoluzione ma soprattutto una frontiera della ricerca industriale, perché tecnologicamente è difficile avere dispositivi veramente maturi. In effetti, l’attuatore di cui parlavamo è ancora un prototipo. Lo sta sviluppando Camozzi, brand manifatturiero dell’automazione e dei macchinari industriali, nell’ambito del progetto Roots, che sta per gReen sOft rOboTicS, e ha appunto l’obiettivo di sviluppare tecnologie di robotica soffice “green”, quindi efficienti dal punto di vista energetico e il più possibile riciclabili. Il progetto Roots fa a sua volta parte del partneriato esteso Made in Italy circolare e sostenibile (Mics), presieduto da Marco Taisch, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito dei fondi europei di Next Generation UE, che coinvolge tre settori chiave del sistema industriale del paese, ovvero abbigliamento, arredamento, e appunto automazione e meccanica. L’evoluzione delle soluzioni di componentistica hardware embedded è guidata dall’intelligenza artificiale, e in particolare dall’esigenza di portarla sempre più vicino al campo. Anche per ragioni legate alla sostenibilità, economica ed energetica. Spiega Maurizio Caporali, chief product officer di Seco, che sviluppa hardware embedded e soluzioni Iot con intelligenza artificiale per l’industria: «l’IA generativa sta cambiando le applicazioni, i prodotti, e sta evolvendo molto rapidamente. Dal punto di vista delle aziende, il primo aspetto critico nell’integrazione di queste tecnologie è il costo: i modelli generativi oggi si utilizzano principalmente tramite Api, il cui prezzo può diventare molto elevato man mano che aumenta il numero di utenti e di richieste. Eseguire i modelli direttamente in locale sui propri dispositivi elimina i costi legati alle Api, si sostiene solo il consumo di risorse del proprio device, gestendo tutto internamente senza dipendere da servizi esterni».
Il progetto Roots, nell’ambito del programma Mics, si inserisce nel flagship dedicato a “moda sostenibile, prodotti intelligenti, e personalizzazione” che si concentra su quattro temi chiave: concept e progettazione avanzata, produzione intelligente e flessibile, fine vita e riciclo. Fra gli altri, FuturE-pack, sensori integrati nel packaging che monitorano lo stato del prodotto, Aurora, che applica logiche analoghe a capi di abbigliamento sportivo ma anche a dispositivi wearable per la sicurezza del lavoro, Advanced human-machine interaction for Continuous Transformative Manufacturing and Robotic Systems, che sviluppa tecnologie come interfacce basate su intelligenza artificiale, sensori indossabili, digital twin, per migliorare l’interazione e la collaborazione tra operatori e robot nei processi produttivi industriali.
Abbiamo approfondito il tema dei prodotti intelligenti per l’automazione industriale nell’ambito del Made in Italy Innovation Forum, organizzato da Mics a Villa Erba, Cernobbio, sul Lago di Como, con Andrea Camisani, research director di Camozzi, Maurizio Caporali, cpo di Seco, Teodorico Caporaso, che oltre a essere un marciatore olimpico è ricercatore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Mario Fedriga, industrial design manager di Technogym, Paola Bertola, docente di design del Politecnico di Milano.
Il prototipo di Camozzi: la pinza robotica smart e sostenibile grazie a un attuatore realizzato con materiali innovativi e algoritmi di controllo avanzati
Il gruppo bresciano guidata da Lodovico Camozzi progetta e produce componenti per l’automazione industriale, spaziando dalla meccatronica alle macchine per il tessile, dalle macchine utensili alle tecnologie sottrattive e additive, fino alla trasformazione della materia prima. Fondato nel 1964, ha oltre 3mila dipendenti, 25 siti produttivi, nel 2024 ha fatturato 592 milioni di euro. «Partecipiamo al progetto Mics perché in questo partenariato abbiamo visto la possibilità di ampliare la nostra visione tecnologica per il futuro sul paradigma dei prodotti smart e connessi, in cui crediamo fortemente da anni», spiega il research director Andrea Camisani. Il ragionamento di partenza è stato il seguente: «da produttori di componenti e macchinari, ci siamo chiesti che cosa renda distintivo un componente o un macchinario rispetto alle cosiddette commodity. E che cosa porti valore aggiunto. Abbiamo capito quanto sia interessante non limitare un componente, come un attuatore o un trasformatore, al solo ruolo di elemento del ciclo produttivo, ma trasformarlo in una vera e propria fonte di dati, capace di svolgere al proprio interno funzioni di analisi ed elaborazione delle informazioni. Negli anni abbiamo iniziato a integrare alcune funzionalità direttamente nei componenti, ma la necessità di renderli miniaturizzati, flessibili o realizzabili con tecniche additive ha reso l’approccio tradizionale sempre più limitante. Così abbiamo iniziato a lavorare in questo progetto Roots, con l’obiettivo di rendere sensibili gli organi di presa e sensorizzarli». Il progetto Roots è guidato da Antonio Lanzotti, professore di disegno e metodi dell’ingegneria industriale dell’Università Federico II di Napoli, ateneo che è leader del progetto a cui partecipano anche l’Università di Brescia e l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. E di cui Camozzi è partner industriale. L’obiettivo è sviluppare una tecnologia di robotica soft green, caratterizzata da processi di produzione sostenibili, basso consumo energetico, lunga durata operativa e possibilità di riciclo a fine vita.
Camisani illustra in particolare una pinza robotica, che grazie alle dita morbide e ai sensori consente una presa adattabile e flessibile per qualsiasi tipo di utilizzatore, indipendentemente dal robot su cui viene montata, grazie a un’interfaccia meccanica ed elettronica dedicata. «La prima sfida che ci siamo trovati ad affrontare è legata ai materiali. Un prodotto industriale deve avere precise caratteristiche di robustezza, affidabilità, portabilità in diversi ambienti e non tutti i materiali riescono ad assolvere queste funzioni. Siamo in una fase finale della validazione del prototipo. Abbiamo individuato diversi materiali: alcuni ci hanno permesso di proseguire, altri invece non si sono dimostrati particolarmente performanti. Prevediamo ora di integrare la nuova sensorizzazione nel prototipo». E qui c’è una seconda sfida. «Rendere sempre più sofisticati i sensi ed embedded la capacità computazionale». Spesso nell’industria i calcoli complessi vengono effettuati da un sistema supervisore o dal controller del robot o della macchina. La conoscenza specifica del processo e la capacità di interazione risiedono invece nella parte periferica. L’obiettivo è potenziare queste funzioni, in modo che «dispositivi anche miniaturizzati abbiano una capacità di calcolo sufficiente a rendere le informazioni fruibili e di valore. Lo scenario successivo è fatto di interfacce evolute per la gestione di questi dati. Siamo nell’era del no code, caratterizzata da una forte fruizione grafica delle informazioni e dalla crescente capacità di computing. Le interfacce avanzate di Human-Machine Interaction (Hmi) garantiscono quindi un maggiore vantaggio competitivo».
I dispositivi embedded con intelligenza artificiale evoluta costano meno e risparmiano energia, ma richiedono potenza di calcolo
La sperimentazione descritta si inserisce in un trend in forte evoluzione: integrare l’intelligenza artificiale direttamente nei dispositivi locali. Questo produce risparmi, perché si paga solo il consumo energetico del device utilizzato, evitando invece i costi variabili legati alle query e agli utenti che intervengono sul cloud. Il secondo aspetto fondamentale è la privacy, come sottolinea Maurizio Caporali, chief product officer di Seco: «avere un modello che gira in locale mi permette anche di lavorare direttamente sui dati presenti nei miei dispositivi e di interrogare in modo specifico le informazioni di interesse. Inoltre, mantenendo i dati in locale, ne garantisco la riservatezza senza doverli inviare all’esterno».
Sulla latenza, ovvero i tempi di risposta, il discorso è più complesso. «Esistono servizi con latenza molto bassa, ma nel caso della GenAI il tempo di elaborazione è più elevato, il che può aumentare la latenza complessiva. Per questo, nella fase di progettazione, è importante scegliere modelli più veloci e ottimizzati per ridurre i tempi di risposta». Ma il punto è che il mercato oggi richiede soluzioni elettroniche in grado di eseguire modelli direttamente sui dispositivi. «Come Seco, collaboriamo con partner della Silicon Valley come Intel, Nxp, Amd, Worldcom, Mediatek. Vengono da noi proprio per scoprire e testare la nuova generazione di soluzioni. La tendenza è chiara: sempre più potenza di calcolo per far girare modelli AI in locale, con prestazioni migliori, consumi energetici ridotti e costi che, nel tempo, restano stabili o addirittura diminuiscono».
L’accelerazione dell’intelligenza artificiale stimola l’innovazione dei microchip, dalle Cpu alle Npu
Nel mondo industriale c’è stato un altro cambiamento significativo negli ultimi anni: la velocità con cui vengono sviluppati i chip. «Per molto tempo, l’evoluzione dell’hardware seguiva cicli molto lenti e stabili, con intervalli di circa 10 anni per vedere cambiamenti rilevanti. Oggi la situazione è completamente diversa, stiamo assistendo a un’evoluzione rapidissima, soprattutto nella crescita dei coprocessori dedicati all’esecuzione delle inferenze AI, ovvero dei modelli di intelligenza artificiale». La tendenza è così sintetizzabile: sempre più potenza, migliori performance, consumi più bassi e costi in costante calo. «Sul mercato vengono introdotti processori dedicati che non utilizzano né la Cpu né la Gpu tradizionale, ma sfruttano le Npu (Neural Processing Unit), progettate specificamente per accelerare i carichi di lavoro IA». Caporali rileva che sono sviluppi partiti dal mondo consumer, e in particolare dagli smartphone. «Nell’industria, i primi prodotti disponibili sul mercato sono gli AI Box: per il momento, non hanno dimensioni tali da poter essere completamente integrate dentro un singolo macchinario, ma possono essere facilmente installate all’interno dei plant industriali. Con questi dispositivi è già possibile ottenere ottimi risultati, riuscendo a far girare modelli Llm (Large Language Model) e a integrarli nei processi produttivi. Posso quindi iniziare da subito ad adottare queste soluzioni: PC a basso consumo energetico che si collegano direttamente al mio plant».
Per quanto riguarda invece i dispositivi embedded, l’evoluzione tecnologica non è ancora del tutto matura per supportare IA generativa a livello locale. E qui emerge un altro tema rilevante: la tipologia di IA che queste Npu sono in grado di gestire. «Nella maggior parte dei casi queste unità sono progettate per AI predittiva, non per l’intelligenza artificiale generativa. La variabile chiave è rappresentata dalla quantità e velocità della ram disponibile. Si tratta del vero vincolo tecnico con cui dobbiamo confrontarci: per far girare modelli generativi servono grandi quantità di memoria veloce, esigenza che iniziamo a rilevare anche nel mondo industriale. I dispositivi del futuro dovranno necessariamente integrare più ram per supportare l’esecuzione di modelli IA sempre più complessi». Poi c’è un ultimo aspetto, legato invece allo sviluppo dell’IA. I modelli vengono costantemente ottimizzati per diventare più leggeri e performanti. E anche questa è un’evoluzione molto rapida, destinata a impattare il mercato industriale.
Dalla ricerca al mercato, ricette per il Made in Italy tecnologico: ripartire dal legame fra innovazione di prodotto e innovazione di processo
Cosa dovrebbero fare le imprese per coniugare correttamente i trend in atto e valorizzare adeguatamente anche queste esperienza di ricerca, che alla fine vengono immesse sul mercato? Dagli esperti del Mics arrivano diversi spunti. Mario Fedriga ritiene che si debba «eliminare la barriera fra discipline scientifiche e umanistiche. Esiste solo la disciplina dell’uomo, che vede un sistema umano al centro, non il singolo al centro, per la progettazione del futuro. In una parola sola, bisogna tendere a un tecno-umanesimo». Caporali punta a sua volta sull’interdisciplinarità, pur calandolo maggiormente nell’ambito aziendale dello sviluppo di prodotto: «oggi il prodotto non è più un pezzo di hardware, è un servizio a valore che viene anche da software, elettronica, IA. Quindi, ci vuole una conoscenza molto più aperta». Teodorico Caporaso punta sulla chiarezza degli obiettivi: «output di ricerca indirizzati verso esigenze concrete finalizzate a dare immediato slancio allo sviluppo de prodotto».
Paola Bertola, docente di design del Politecnico di Milano, propone una considerazione più ampia. «Al Made in Italy Innovation Forum si è parlato della difficoltà nel settore manifatturiero in Nord America dovuta alla separazione tra innovazione di prodotto e innovazione di processo. Nel dna italiano, invece, questo distacco non è mai esistito. Noi siamo in grado di fare progettazione, design e innovazione in modo integrato e distribuito. Ho avuto come mentore Ezio Manzini, che ha portato la sostenibilità al Politecnico di Milano e mi ha ricordato che un buon prodotto nasce da un buon processo. Questo ci porta a riflettere: come può il design ripensare un modello di processo che sia circolare? In questa fase ci siamo allenati proprio a progettare processi di questo tipo e abbiamo sviluppato diversi progetti pilota». Potrebbe sembrare una considerazione più adatta al mercato dei prodotti retail, e la docente si riferisce in effetti a progetti pilota che riguarda la creazione di nuovi tessuti per la moda. Ma la ricerca di materiali, come abbiamo appena visto con il prototipo della pinza robotica di Camozzi, è centrale anche nel mondo industriale del machinery e dell’automazione. E le tecnologie produttive di stampa additiva dei progetti pilota indicati per i tessuti sostenibili si utilizzano abbondantemente in tutto il manufacturing. Così come il tema degli scarti è centrale anche per i produttori di macchinari tessili.
La flagship del progetto Mics legata ai prodotti intelligenti: dai tessuti sensorizzati per la safety, alla cella robotica che si riconfigura in pochi istanti
Ma vediamo infine una breve panoramica di prodotti che escono dai progetti pilota della flagship che comprende i prodotti intelligenti.
Partiamo dagli indumenti intelligenti, che si inseriscono nel progetto Aurora. Caporaso sottolinea come la realizzazione di questi manufatti parta dalla raccolta dei dati della persone, procedimento non semplice anche perché non deve essere invasivo. «Alla fine questi indumenti sono in gradi di fornire a chi li indossa informazioni su come sta andando l’attività sportiva». Un esempio: scarpe che analizzano il passo e con una app suggeriscono come migliorarlo. Ma ci sono altre applicazioni possibili: sono tessuti con sensori stampati, che possono ad esempio monitorare la sicurezza sul lavoro. Oppure possono avere funzioni predittive che abilitano la sicurezza nell’automotive, nel caso della giacca da motociclista con un airbag che si attiva in 80 millisecondi.
Nell’ambito del progetto FuturE-Pack, che come Aurora si inserisce nella linea di ricerca dedicata a concept e progettazione avanzata, viene sviluppato un imballaggio intelligente che attraverso una scansione Nfc fornisce una serie di dati relativi ala sostenibilità: co2 risparmiata, istruzioni di riciclo. E fidelizza il rapporto fra produttore e cliente, aggiungendo quindi valore al prodotto.
Nell’ambito dell’advanced human-machine interaction for Continuous Transformative Manufacturing and Robotic Systems, è stata realizzata una cella robotica che si riconfigura in pochi millisecondi. Usa la realtà aumentata per guidare l’operatore, e l’intelligenza artificiale per ottimizzare energia e tempi.
Il progetto Wasteless studia circuiti e sensori prodotti strato per strato, senza l’uso di acidi, e con la possibilità di passare dalla progettazione al prototipo in una sola giornata.
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