ROMA – A maggio 2025 gli occupati sono aumentati di 408 mila unità rispetto a un anno prima. Una crescita trainata soprattutto dai dipendenti a tempo indeterminato, mentre calano quelli più instabili. Non perdiamo di vista, però, ciò che i numeri non dicono a prima vista.
A crescere sono principalmente gli over 50: +572 mila occupati in un anno, molti di più dei 408 mila. Non è solo un effetto dell’invecchiamento della popolazione: contano anche la permanenza maggiore nel mondo del lavoro per l’elevamento dell’età pensionabile e per le difficoltà economiche che spingono molti a posticiparne l’uscita. Al contrario, i giovani entrano con fatica e in condizioni più precarie. E questo è un problema che ci trasciniamo da anni, i giovani erano stati più colpiti nel 2009, poi nel 2013, e anche nel 2020. Torniamo al 2008. Oggi, rispetto a quell’anno, il tasso di occupazione degli over 50 è cresciuto di venti punti percentuali, dal 46,7% al 66,9%. Quello dei giovani tra i 25 e i 34 anni è invece sceso di due punti. E questo in 17 anni e in tutte le ripartizioni.
Possibile che non siamo riusciti in tutti questi anni a risalire la china? Siamo ultimi in Europa per tasso di occupazione totale, femminile, maschile, giovanile. L’occupazione femminile è in crescita ma soprattutto tra le over 50. Tra gli occupati gli ultracinquantenni hanno raggiunto il 41,4%, nel 2008 erano il 23,9%. I giovani sono solo il 22%. Una generazione che rischia di sparire dal mondo del lavoro. E non solo per motivi demografici ma anche per un sistema che non riesce a offrire loro opportunità.
È una dinamica che dovrebbe preoccuparci molto di più. L’Italia continua a creare lavoro, ma prevalentemente nei settori a bassa produttività e bassi salari. Sono lavori che non costruiscono futuro. I comparti più dinamici e a alta produttività, quelli come l’ICT , potrebbero assorbire tanti giovani ma restano marginali. La spesa pubblica e privata in ricerca e sviluppo è ancora troppo bassa, penalizzando l’innovazione e con essa la qualità dell’occupazione. Sui servizi sociali e sanitari si continua ad investire poco e ciò penalizza non poco le donne.
Il nostro sistema produttivo è ancora troppo frammentato, composto da micro-imprese spesso escluse dai processi di digitalizzazione e innovazione. Non è un paradosso, quindi, se gli occupati aumentano, ma la capacità del sistema di generare valore resta debole. Crescono i numeri, ma non la qualità dell’occupazione. Senza un salto deciso nella produttività, rischiamo di creare solo lavoro povero: privo di diritti, prospettive, retribuzioni adeguate.
Ci vuole una visione di lungo periodo. Una strategia che affronti finalmente i nodi strutturali, che rilanci un nuovo modello Paese fondato sull’innovazione, sulla formazione, sulla valorizzazione delle competenze. Un modello che metta davvero al centro i giovani, le donne, il Sud, garantendo dignità e prospettiva al lavoro. Senza questa trasformazione profonda, non ce la faremo. Non basterà la crescita degli occupati trainata dagli over 50. Servono scelte coraggiose. E serve farle ora.
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