Un record, le idee e un approccio innovativo.
Ad appena 37 anni, lo scorso 18 giugno Mario Aprile è stato eletto presidente di Confindustria Bari-Bat: è il più giovane di sempre alla guida di una territoriale. Laurea in Economia aziendale e Marketing («a Bari, lavorando già dall’età di 18 anni in azienda»), è ceo di Organizzazione Aprile (gestione documentale e archivi digitali) e componente del Consiglio generale di viale dell’Astronomia, nominato dal presidente Emanuele Orsini.
Di solito dell’Italia si dice che “non è un Paese per giovani”: lo raccontano anche i numeri, lei vuol smentire questo paradigma?
«Ringrazio gli associati che hanno creduto in me: una scelta non banale e non scontata. Sento grandissimo entusiasmo. E per fortuna le buone notizie non mancano: penso per esempio all’accordo col ministero dell’Università e della Ricerca per il credito d’imposta da 10mila euro per ogni assunzione a tempo indeterminato di dottori di ricerca. È un segnale: alziamo l’asticella nelle aziende, senza più farci una ragione dei troppi laureati che lasciano l’Italia. Faccio l’esempio della Puglia: tra il 2013 ed il 2022 quasi un laureato tra i 25-34 anni emigrato ogni mille abitanti. Qui li formiamo e poi li perdiamo: dobbiamo lavorare per trattenerli. Anche perché quando un laureato entra in azienda porta competenze, visione innovativa, competitività».
È una questione però di strumenti e opportunità.
«Al Sud e in Puglia abbiamo opportunità enormi e spesso sconosciute. Occorre un lavoro culturale sui giovani, spiegando bene anche alle famiglie qual è il mercato e quali e quanti settori vitali ci sono. Per le aziende ci vuole una “invasione pacifica” nelle scuole per far capire che ci sono tutte le condizioni per restare, tra Its, università e anche una academy di Confindustria alla quale a Bari stiamo lavorando. Sono stanco di sentir parlare di mismatch: Confindustria ha tutte le carte in regola per essere un driver rilevante. Dobbiamo essere un hub di talenti, pensiamo appunto anche a una scuola di formazione: sarebbe la prima iniziativa italiana del genere. Una “fabbrica delle competenze” con percorsi progettati dalle nostre imprese, anche più brevi rispetto a quelli di Its e università, superando la dicotomia tra imprese e società: se crescono le prime, crescono occupazione e territorio».
Spesso la difficoltà è proprio nel fare impresa: burocrazia, accesso al credito, infrastrutture sono vulnus insuperabili, ancora di più per un giovane imprenditore.Su cosa bisognerebbe intervenire?
«Il gap riguarda tanto il Sud rispetto al Nord quanto l’Italia rispetto ad altri Paesi europei. Confindustria può aiutare a creare nuove imprenditorialità, da noi succede con Binp, l’incubatore di start-up innovative partecipato dal Politecnico di Bari, e con Digithon, la più grande maratona digitale italiana».
Ma occorrono gli interventi di sistema.
«Confindustria da anni si batte per la riforma del cuneo fiscale, e poi bisogna avvicinare il mercato dei capitali, un giovane che ha un’idea vincente non può permettersi di partire da zero senza investimenti solidi. Così come è fondamentale la logistica di merci e persone».
E come si attirano nuovi investimenti, anche dall’estero?
«Lo scenario non è semplice. Sul nostro territorio, l’economia ha continuato comunque a crescere, ma a ritmo più lento. Le imprese hanno saputo cogliere le opportunità della domanda estera, in modo particolare nell’agroalimentare, nella chimica e nella meccanica non legata all’automotive. Oggi assistiamo al miracolo di turismo e digitale, ma dobbiamo replicare questo traguardo anche in ambito manifatturiero. Vogliamo perciò creare il city branding industriale di Bari attraverso un’agenzia per l’attrazione di investimenti, con ruolo proattivo per rintracciare opportunità e promuovere il territorio. Abbiamo filiere di valore e competenze».
Ha avuto la possibilità di raccogliere le redini dell’azienda di famiglia. Ma ciò non toglie che il contesto complesso renda le sfide comunque in salita.
«Anche un’azienda di terza generazione è come se fosse una start-up, tanto sono ormai rapidi i cicli: si resta facilmente fuori dal mercato. Bisogna aprirsi, e io ho avuto la possibilità di contaminarmi e contaminare: ho portato la blockchain nella nostra impresa, che consente di certificare come univoco un documento scansionato, e ora tocca all’intelligenza artificiale. Non sempre è facile far capire a tutti qual è la strada giusta, e anche il mercato non sempre è pronto: si deve lavorare tanto sul piano culturale».
Il Pnrr sta dando ossigeno? O resiste il freno della burocrazia?
«Se pensiamo all’edilizia, il rischio era che dopo l’ondata del Superbonus ci potesse essere una fase drammatica, invece i cantieri del Pnrr stanno trainando. Ci sono però altri settori che lamentano la difficile messa a terra delle misure, e mi riferisco al digitale: le imprese del settore hanno in pancia commesse, ma la macchina burocratica è ingolfata».
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