C’è un’Italia che corre, innova e costruisce futuro. È l’Italia delle startup tecnologiche, delle menti giovani e delle idee ambiziose che trasformano l’Intelligenza Artificiale da concetto astratto in strumenti concreti, capaci di rivoluzionare sanità, finanza, industria, educazione. Ma c’è anche un’Italia che frena. Che davanti alla rapidità del cambiamento risponde con la lentezza della burocrazia, l’opacità delle norme, la paura del rischio.
Lunedì 30 giugno 2025, alla Sala Stampa della Camera dei Deputati, queste due Italie si sono guardate in faccia. L’evento “L’IA è futuro, non burocrazia” – promosso dall’On. Andrea Volpi – ha dato voce a chi oggi innova non nei laboratori istituzionali, ma sul campo, nelle startup, nelle PMI, nei centri di ricerca applicata. È in quel contesto che è stato lanciato l’appello delle startup italiane: una richiesta chiara e determinata per sospendere l’applicazione dell’AI Act europeo per 24 mesi. Non per sottrarsi alla regolamentazione, ma per renderla efficace, realistica e sostenibile.
Le startup chiedono tempo. Ma non per fermarsi: per crescere. Per allinearsi con standard chiari, evitare costi e sanzioni paralizzanti, e – soprattutto – non perdere terreno rispetto a Paesi che hanno scelto un approccio più pragmatico. Regno Unito, Singapore, Emirati Arabi: non stanno aspettando l’Europa. Stanno costruendo ecosistemi competitivi, con governance leggere, sperimentazioni rapide e policy che ascoltano gli attori dell’innovazione.
Come ha detto Lorenzo Luce, CEO di BigProfiles, “l’AI Act nasce con obiettivi condivisibili: tutela dei diritti, trasparenza, sicurezza. Ma nella pratica, per molte imprese, si traduce in obblighi, costi e incertezza”. Incertezza che, in un mondo come quello delle startup – dove le decisioni si misurano in settimane, non in legislature – è il più grande nemico.
Nel 2025 non possiamo più permetterci regolamenti pensati per strutture industriali novecentesche. Oggi chi fa impresa nel digitale, come ha sottolineato Marco Scioli di Starting Finance, si confronta con modelli di business in continua evoluzione, mercati iper-competitivi e margini operativi strettissimi. Eppure, il peso della compliance rischia di diventare insostenibile, specialmente per chi è ancora in fase di seed o early stage.
Il punto, allora, non è se regolamentare l’intelligenza artificiale, ma come. Serve una governance dinamica, adattiva, che differenzi tra rischi concreti e rischi percepiti, tra grandi piattaforme e piccole imprese. L’attuale impianto normativo europeo, con oltre 35 standard da applicare in appena 6-8 mesi, si rivela sproporzionato. È una camicia di forza che può diventare trappola.
Gabriele Ferrieri (ANGI) lo ha detto chiaramente: “Il rischio è una fuga di cervelli e capitali”. E la fuga, in molti settori, è già iniziata.
Anche in ambito sanitario, come ha ricordato Fabio Vantaggiato (Easy Health), l’intelligenza artificiale è già una realtà concreta. Gli ospedali utilizzano algoritmi generativi, i medici si affidano a strumenti predittivi, eppure il sistema pubblico continua a investire poco e regolamentare troppo. “Non possiamo permetterci una sanità basata su algoritmi importati”, ha dichiarato. Eppure è proprio quello che accadrà se le nostre startup saranno costrette a delocalizzare.
Il paradosso è evidente: l’Europa, nel tentativo di proteggere i propri cittadini, rischia di esporli a un futuro sviluppato altrove, su altri server, con altri dati.
Manila Di Giovanni, CEO di DWorld, ha sintetizzato perfettamente il bivio in cui ci troviamo: “Ora è il momento di decidere se vogliamo essere protagonisti del cambiamento o limitarci a inseguirlo”.
Questo è il punto. Il vero snodo strategico.
Regolare, sì. Ma con visione. Con competenza. Con ascolto. Non possiamo lasciare che il futuro dell’innovazione venga scritto senza i suoi protagonisti. E i protagonisti oggi chiedono una cosa semplice: essere ascoltati prima di essere regolamentati.
Perché l’IA è il futuro. Ma se lo gestiamo con la burocrazia del passato, diventerà l’ennesima occasione perduta.
E l’Italia, di occasioni perdute, ne ha già abbastanza.
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