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Michael Lynk: «Israele non può più essere un’eccezione del diritto»


Legali e avvocati europei, statunitensi e canadesi, membri di organizzazioni internazionali e di fondazioni: tutti messi al bando da Israele. Il ministero per gli affari della diaspora ha emesso una direttiva con cui etichetta «persona non grata» decine di esponenti della società civile internazionale.

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Nell’elenco la Hind Rajab Foundation, la branca europea della ong palestinese Al-Haq, i collettivi legali Law for Palestine e Lawyers for Palestinian Human Rights. C’è anche l’ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa Josh Paul, oggi consigliere di Dawn, la ong statunitense fondata dal giornalista saudita Jamal Khashoggi.

Le accuse: aver chiamato al boicottaggio di Israele, negato l’Olocausto e gli attacchi di Hamas del 7 ottobre ma anche aver sostenuto iniziative per portare di fronte a un tribunale internazionale soldati o cittadini israeliani. Ne abbiamo parlato con Michael Lynk, giurista canadese, accademico e Relatore speciale dell’Onu per i Territori palestinesi occupati dal 2016 al 2022.

In una dichiarazione a caldo, si è chiesto retoricamente di cosa abbia paura Israele per «vietare l’ingresso a chi lavora per associazioni pacifiche».

Ero Relatore speciale, ho scritto rapporti sull’illegalità dell’occupazione, sull’esistenza di un regime di apartheid e sulla necessità di giudicare i leader israeliani e non sono mai stato bandito. Ora lavoro per il consiglio di una piccolissima organizzazione britannica di avvocati specializzati in diritto internazionale, tutti messi al bando. Non ha senso. Lo assume se si comprende il paradosso: Israele si sente minacciato da una piccola organizzazione che si rivolge al governo britannico in merito alle tante trasgressioni israeliane. Se tutto ciò è visto da Israele come enorme minaccia, significa che inizia a essere disperato.

Michael Lynk

Siete accusati di negare l’Olocausto e di antisemitismo, accuse ormai note. Più interessante è l’ultimo punto: messi al bando per aver chiesto di giudicare cittadini israeliani per crimini internazionali. Non è un reato.

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Appunto. È per questo che dopo la seconda guerra mondiale abbiamo creato un sistema legale internazionale. Ed è anche questo il motivo per cui nel 1998 la stragrande maggioranza dei paesi del mondo ha dato vita alla Corte penale internazionale con lo Statuto di Roma. A monte stava la lezione dei tribunali di Norimberga e di Tokyo, e più tardi di quelli per il Ruanda e la ex Jugoslavia che hanno condotto alla fondazione della Corte internazionale. Israele non ha l’intenzione politica di vedere i propri leader e soldati giudicati per violazioni internazionali, eppure è nell’arena globale che si individuano le responsabilità. La soluzione per Israele non dovrebbe essere cacciare organizzazioni e individui, ma comprendere lo stato di diritto e smettere di essere un’eccezione.

Il ministero della diaspora è anche quello a cui il governo ha affidato l’approvazione delle ong che possono lavorare in Israele, e di conseguenza nei Territori occupati. Non si vogliono testimoni?

Israele ritiene di avere sovranità sui Territori palestinesi, che è esattamente l’asserzione di ogni occupante illegittimo. È un’occupazione: lo dicono l’Assemblea generale Onu, il Consiglio di Sicurezza, la Quarta convenzione di Ginevra. L’affermazione di poter decidere chi entra e chi no nel territorio occupato è essa stessa illegale.

Da relatore speciale avvertiva della natura criminale e permanente del colonialismo, dell’esistenza di un regime di apartheid e dell’inazione della comunità internazionale. Quanto ha inciso quell’inazione sulla situazione attuale?

Quando ho lasciato l’ufficio, nel 2022, non c’era ancora un genocidio. La mia successora si trova in condizioni incommensurabilmente peggiori. È sbalorditivo come l’Europa giustifichi tutto ciò dopo aver detto per 80 anni «mai più». Il punto della Convenzione sul Genocidio del 1948 non è fornire prove agli storici del futuro perché stabiliscano se questo o quello era o no un genocidio. Il punto è prevenirlo. I leader del nord del mondo non hanno imparato la lezione: stanno seduti a guardare un genocidio in diretta senza prendere alcuna azione decisiva né contro Israele né contro gli Stati uniti.

A proposito di Stati uniti, è di ieri la notizia che a colpire il café al-Baqa, lunedì, è stata una bomba Usa. Ciò avviene mentre Trump promette cessate il fuoco. Un mediatore così coinvolto e complice che credibilità può avere?

Uso un’espressione nota: gli Stati uniti non sono un mediatore onesto. Agiscono come avvocati di Israele e suoi fornitori. I 21 mesi di offensiva a Gaza non sarebbero avvenuti senza l’attiva complicità statunitense sotto l’amministrazione Biden e oggi sotto quella Trump. L’articolo 3 della Convenzione del 1948 vieta chiaramente anche la complicità nel genocidio. I principali esperti di genocidio del mondo dicono che in corso c’è un genocidio, persino funzionari del Dipartimento di Stato riconoscono che sono in atto crimini di guerra e contro l’umanità. Gli Usa lo sanno, eppure continuano a fornire armi. Questa decisione li rende complici del crimine di genocidio.

Che effetti può avere tutto ciò? Si dice ormai da tempo che la Palestina non si ferma ai propri confini.

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Questo è un incredibile punto di svolta della storia moderna. Se la straordinaria architettura legale che abbiamo costruito negli ultimi 80 anni sarà smantellata da Israele, saremo tutti in una posizione molto peggiore. Gaza è il punto di rottura della legge internazionale: se le regole molto severe su come si conducono guerre e occupazioni non vengono osservate e addirittura apertamente violate, la crepa sarà fatale e distruggerà il diritto internazionale e le Nazioni unite.



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